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Ciclismo
Parigi-Roubaix 1966: quando Felice Gimondi domò le pietre e vinse da padrone
C’è stato un tempo, prima dell’avvento di Eddy Merckx, durante il quale a rivestire i panni di “cannibale” era Felice Gimondi. Il corridore di Sedrina, passato alla storia come uno dei giganti del ciclismo novecentesco, fece il proprio debutto tra i professionisti nel 1965 e, oltre a posizionarsi terzo al Giro d’Italia, stupì il mondo mettendo subito le mani sulla corsa più prestigiosa, il Tour de France. L’anno successivo Gimondi diede seguito al proprio dominio iscrivendo il proprio nome nell’albo d’oro della Parigi-Roubaix: un successo senza discussioni, in cui l’azzurro sembrò praticare un altro sport in confronto agli altri 133 ciclisti che parteciparono alla kermesse.
Fu l’unica affermazione di Gimondi nella celeberrima “regina delle classiche” e fu l’unica sua vittoria sul pavé. Era il 17 aprile 1966 e, come da tradizione nella corsa che viene anche chiamata “Inferno del Nord”, lo scenario era contraddistinto dalla pioggia e dal gelo. La disagevole situazione meteorologica non fermò il corridore della Salvarani, che si rese protagonista di una performance di altissimo livello, scattando in maniera perentoria nei pressi di Mons-en-Pévèle e percorrendo in fuga solitaria gli ultimi 43 chilometri dell’ostico tracciato che conduce a Roubaix.
Gimondi tagliò il traguardo con il tempo di 6h59’26”, con ben 4’08” di anticipo rispetto al secondo classificato, l’olandese Jan Janssen (che poi vincerà l’edizione del 1967). Sul gradino più basso del podio si posizionò il belga Gustaaf Desmet, primo dei sei connazionali che figurarono nella top 10 della corsa.
A distanza di anni, ecco quali erano i principali ricordi del lombardo correlati a quella trionfale Parigi-Roubaix: “Cosa mi ricordo di quel giorno? Il fango, un mare di fango. Ma anche il gelo, che però non m’impediva di mulinare sui pedali come pochi. Ricordo che un belga era all’attacco, aspetto che qualcuno si muova. Parte Dancelli e io gli vado dietro. In un amen torniamo sul fuggitivo, poi a Mons-en-Pévèle parto deciso e li lascio tutti lì. Gli ultimi 43 km li faccio da solo: arrivo al velodromo con oltre quattro minuti di vantaggio su Jan Jansen. Un bel ricordo“.
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antonio.lucia@oasport.it
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Foto: Olycom / LaPresse