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Tennis, Paolo Bertolucci: “Jannik Sinner, mai visto un italiano così a 18 anni. Stagione già chiusa? Non mi meraviglierei”

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La pandemia di Covid-19 ha letteralmente sconvolto le nostre vite e non ha risparmiato il mondo dello sport, costretto a fermarsi praticamente ovunque per salvaguardare la salute degli atleti e per frenare il contagio. Non fa eccezione il tennis, che nella giornata di mercoledì ha ufficializzato il prolungamento dello stop quantomeno fino al 12 luglio con la conseguente cancellazione di Wimbledon, torneo che non era stato disputato soltanto in occasione delle due guerre mondiali. Paolo Bertolucci, figura iconica del tennis italiano e commentatore tecnico per Sky, ha analizzato con noi questa situazione anomala, provando a delineare i possibili scenari futuri.

Paolo, partiamo dalla notizia più fresca, ossia la cancellazione di Wimbledon, a cui si è subito affiancata la sospensione dell’intera stagione sull’erba. Decisione inevitabile?

“Sì, a mio parere il tennis si è mosso molto bene. È stato il primo sport che ha bloccato tutto, prima per sei settimane facendo saltare la primavera europea sulla terra battuta e poi cancellando anche l’erba. Io credo che ci vorrebbe un miracolo per ripartire sul cemento americano, ma è molto più probabile che si arrivi almeno a settembre”.

Credi che lo stop possa protrarsi anche per tutto il 2020 e che, di conseguenza, la stagione possa essere già finita?

“Non me lo auguro assolutamente ma, se l’epidemia continua in questo modo e non riescono a trovare un rimedio efficace in tempi brevi, credo che sia difficile ricominciare. È vero che il tennis non è uno sport di contatto, però si tratta di giocatori che ogni settimana si muovono da un continente all’altro: sono gli spostamenti il vero problema, non tanto il gioco in sé. Si potrebbe optare per le porte chiuse oppure per un distanziamento degli spettatori, ma la vedo dura. Ripartire sul cemento mi sembra un’idea estremamente ottimistica, farlo in Asia ad ottobre è qualcosa di più realistico, ma in fondo non mi meraviglierei se saltasse l’intera stagione”.

Cosa pensi, invece, della scelta degli organizzatori del Roland Garros di ricollocare il torneo tra il 20 settembre e il 4 ottobre, decisione che ha suscitato non poche polemiche in seno al mondo del tennis?

“Hanno fatto i furbetti. È vero che gli Slam hanno una corsia preferenziale e vengono prima di tutto. Sapendo che Wimbledon non avrebbe potuto utilizzare quello slot perché presumibilmente a Londra non ci sarebbero state le condizioni per giocare all’aperto e intuendo che gli US Open avrebbero potuto slittare di qualche settimana e accaparrarsi quel periodo, hanno deciso di giocare d’anticipo e di posizionarsi in quell’intervallo di tempo a discapito dei tornei asiatici. Disputare eventualmente due Slam uno dopo l’altro prima sul cemento e poi sulla terra è una difficoltà che riguarderebbe tutti i giocatori, quindi non lo vedo un grosso problema, fa parte del gioco”.

Capitolo Federer. Non è un mistero che lo svizzero avesse come grandi obiettivi del 2020 Wimbledon e i Giochi Olimpici, entrambi ufficialmente venuti meno. Credi che continuerà anche nel 2021? E a che livelli, vista anche la recente operazione al ginocchio destro?

“Sì, credo proprio che continuerà anche nel 2021. A che livelli è difficile dirlo. Alla sua età ogni anno conta quanto quelli dei gatti, vale per sette. Mentre per i giovani saltare un anno non fa differenza, quando cominci a superare la soglia dei 30-32 ogni anno diventa sempre più complicato, ancor di più se ti avvicini ai 40. Questo discorso vale principalmente per lui, un po’ meno per Nadal, ancor meno per Djokovic. È vero che sono campionissimi e saranno in grado di gestire al meglio tutti questi mesi di inattività, però inevitabilmente pagheranno. D’altra parte, i giovani che avrebbero avuto bisogno di giocare tante partite per accumulare esperienza non potranno farlo, ma credo comunque che il gap diminuirà”.

Visto il Djokovic insuperabile di quest’inizio di 2020, ritieni che il suo regno sia destinato a durare ancora a lungo?

“Ad eccezione di quella sbandata del 2017 in cui per sei mesi fu irriconoscibile, sono cinque anni che, grosso modo, domina la scena. Nessuno come lui vince sull’erba, sul cemento e sulla terra. Mentre Federer vince di più sull’erba o indoor e Nadal sulla terra, lui vince ovunque. Qualcuno malignamente ha anche detto che a casa Federer abbiano brindato per la lunga pausa perché probabilmente Djokovic quest’anno sarebbe riuscito a conquistare un paio di Slam che lo avrebbero avvicinato notevolmente al record dello svizzero”.

Tra i vari Thiem, Tsitsipas, Medvedev e gli altri giovani che si stanno affacciando sulla scena chi pensi possa riuscire a raccogliere l’eredità dei Big Three e affermarsi ai vertici della classifica mondiale?

“La classifica dice Thiem, perché è più avanti, ha accumulato maggiore esperienza e sono ormai cinque anni che gioca su quei livelli. Di conseguenza, se dovessero venire a mancare quelli davanti a lui, a rigor di logica dovrebbe arrivare in cima. Questo discorso è valido, però, se il ricambio avverrà nel giro di un paio d’anni, perché dopo, a mio avviso, ci sono degli avversari che hanno qualcosa in più di Thiem e l’austriaco rischierebbe quindi di essere superato sul filo di lana. Zverev è uno che ha già vinto parecchio, ma ha qualche problema caratteriale di gestione. Mi piace molto Tsitsipas per la completezza, perché è un bel personaggio, perché viene da una nazione senza tradizione tennistica e perché ha un gioco che gli può permettere di vincere su tutte le superfici e raccogliere punti tutte le settimane. Mi piace anche Shapovalov, però è destinato a vincere molto meno perché il suo è un gioco troppo rischioso. Molto valido anche Auger-Aliassime, mentre noi italiani possiamo sperare in Berrettini e Sinner. Dipenderà poi tanto dagli infortuni, perché molti giocatori, sebbene talentuosi, non hanno la cilindrata per reggere a certi livelli”.

Veniamo agli italiani. In quest’inizio di 2020 abbiamo visto pochissimo in campo Berrettini a causa del problema agli addominali. Ritieni che questa sosta possa agevolarlo da questo punto di vista e quanto scommetteresti su una sua riconferma ad altissimi livelli dopo un 2019 a dir poco sorprendente?

“In questa prima parte del 2020 lui non aveva punti da difendere, quindi la cosa più importante era risolvere il problema fisico. Da questo punto di vista l’infortunio non è stato un grosso problema, perché è a partire dalla fine di aprile che lui cominciava a dover pagare le cambiali dello scorso anno. Tra i primi dieci in classifica è però quello che ha giocato nettamente meno partite degli altri e ha quindi bisogno di accumulare esperienza. È un ragazzo serio, che lavora duramente. Non so se sarà in grado di ripetere la scorsa stagione, però non si arriva per caso alla posizione numero 8 del mondo. Anzi, davanti a lui c’è qualcuno che, per raggiunti limiti di età o per altri fattori, potrebbe anche permettergli di fare un piccolo salto in avanti nel prossimo futuro”.

A tuo avviso dove può arrivare Sinner e quali sono gli aspetti principali su cui deve lavorare?

“Avrebbe avuto bisogno di giocare tanto quest’anno, ma è talmente giovane che può anche permettersi di perdere un anno. Guarderà tante partite e studierà tatticamente, so che divora match uno dopo l’altro. Io non ho mai visto un ragazzo italiano esprimersi a quei livelli a 18 anni. Deve sicuramente lavorare su ogni aspetto, ma ha margini di miglioramento enormi. Deve potenziarsi fisicamente, alzare la percentuale di prime palle e la percentuale di risposte, deve imparare a trovare nuove soluzione offensive e a conoscere zone del campo che finora ha frequentato poco. A mio avviso è un giocatore più adatto al cemento, ma può esprimersi bene anche sulla terra e sull’erba. Però queste sono cose che scoprirà soltanto più avanti, tra qualche anno. Si potrà cominciare a tirare le prime somme nel 2023, dopo che avrà affrontato quattro anni nel circuito maggiore”.

Un’ultima domanda è sulla Coppa Davis. Nelle qualificazioni l’Italia ha superato senza patemi la modesta Corea del Sud. Nel caso si disputasse, dove pensi possa arrivare la nostra selezione?

“Innanzitutto, io cambierei il nome di questa manifestazione. La Coppa Davis è morta e sepolta, con due singolari e al meglio dei tre set mi rifiuto di chiamarla così. In ogni caso, l’Italia al completo ha buone chance, perché non ci sono tante nazioni che possono schierare due giocatori nei pressi dei primi 10 del mondo e una buona coppia di doppio come Bolelli-Fognini. Poi, giocandosi velocemente nel giro di una settimana, ci vuole anche fortuna, è fondamentale che i due singolaristi siano in perfetta forma, cosa che, ad esempio, non è avvenuta l’anno scorso. Però, con Berrettini e Fognini a posto sia fisicamente che mentalmente, l’Italia ha ottime possibilità di successo”.

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