Formula 1
Ayrton Senna e il tributo a un campione diventato leggenda a 26 anni dalla scomparsa
Televisore analogico 20 pollici, Roberto Baggio e il suo codino magico, Bon Jovi e la sua “Always”: 26 anni sono passati ed il mondo è decisamente cambiato, afflitto da una pandemia che ha riportato tutti indietro di un secolo. I ricordi però rimangono indelebili, scolpiti nella pietra, testimonianza chiara di ciò che è stato e di ciò che si è provato.
Ebbene quel 1° maggio 1994 di Imola ce lo ricordiamo tutti. Erano le 14:17, GP di San Marino, la curva quella del Tamburello e la Williams Renault del pilota più amato e carismatico della F1 Ayrton Senna, nato il 21 marzo 1960, terminava la sua corsa per sempre. Al settimo giro di pista Ayrton perse il controllo della sua Williams, schiantandosi contro il muro di protezione della curva citata. La causa del crash, si appurò anni dopo, fu la rottura del piantone dello sterzo, che non permise al pilota di curvare in tempo: Senna riuscì solo a frenare, riducendo la velocità dai 310 ai 211 km/h. L’impatto fu frontale e talmente violento da far “rimbalzare” indietro la vettura di Grove di circa 50 metri. Durante la collisione, una sospensione dell’auto si spezzò, portando con sé una gomma, che colpì il brasiliano alla testa, causandogli un grave trauma cranico. Inoltre il puntone della sospensione, spezzandosi, penetrò nel casco e trafisse fatalmente il tre volte campione del mondo. I soccorsi non cambiarono il suo destino ed alle 18.40, presso l’Ospedale Maggiore di Bologna, l’annuncio che nessuno avrebbe voluto dare ed ascoltare.
Un weekend maledetto costellato da tantissimi incidenti, quello di Imola, che costarono a Rubens Barrichello l’assenza dalla gara, ed allo sfortunato Roland Ratzenberger, pilota austriaco della Simtek, la vita: la sua vettura, resa incontrollabile per il distacco della parte superiore dell’alettone anteriore, impattò a 306 km/h contro il muro esterno della curva intitolata a Gilles Villeneuve. Un contraccolpo violentissimo e tragico. Episodio che colpì profondamente Senna, pronto a dedicargli la vittoria. Ayrton, infatti, aveva la bandiera del Paese di origine di Roland nell’abitacolo della Williams, per rendergli omaggio nel giro d’onore. Sfortunatamente l’epilogo fu diverso.
Tuttavia da quella domenica così tragica, la morte del pilota portò alla creazione della leggenda perché quel brasiliano dallo sguardo magnetico e dall’essenza mistica divenne fonte di ispirazioni per molti. Al di là dei suoi tre titoli mondiali, delle 41 vittorie, degli 80 podi e delle 65 pole-position, ultima delle quali proprio sul circuito Enzo e Dino Ferrari, Ayrton ha albergato, alberga ed albergherà per sempre nei cuori degli appassionati e anche di chi, attraverso filmati, testimonianze e narrazioni, si appassionerà alla sua storia.
Le imprese in F1 sono state diverse. Difficile dimenticare la sua sensibilità di guida sul bagnato, quando a Donington nel 1993 divorò asfalto e avversari con una facilità impressionante, oppure gli show a Montecarlo, regalando esibizioni da stropicciarsi gli occhi: sei vittorie e 5 pole, tra cui il time-attack del 1988 quando Ayrton rifilò al compagno/rivale in McLaren Alain Prost 1″427. Un confronto con il francese, quasi da romanzo, che sfociò negli scontri in pista di Suzuka (Giappone) nel 1989 e nel 1990 ma che poi, anni dopo, fu seguita dalla riconciliazione. Il transalpino è stato per Senna il migliore dei suoi “nemici” e se la sua storia è stata così gloriosa questo lo si deve anche al proprio avversario.
Una storia che ha in sé le grida di gioia del GP del Brasile del 1991. Una gara eroica con la McLaren Mp4/6, priva della funzionalità di alcune marce che costrinse il pilota sudamericano a guidare in condizioni fisiche e mentali difficilissime. A rendere il tutto ancor più epico, ci fu l’arrivo della pioggia. Ayrton si sbracciava platealmente per indicare ai commissari di gara che la pista era in condizioni critiche. Un modo per porre termine a quella sofferenza infinita ma niente da fare. Nonostante tutto, il momento del meritato trionfo arrivava e le emozioni ebbero libero sfogo.
Anche se l’inevitabile scorrere del tempo ha reso alcune immagini un po’ sfocate, l’affetto e l’ammirazione del pubblico è lo stesso. Un mito più forte dell’impatto violento contro il muro della curva Tamburello, un’icona per gli sportivi che di quel casco giallo hanno fatto un simbolo. La storia continua, ma il ricordo di ciò che è stato resta per sempre.
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giandomenico.tiseo@oasport.it
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Foto: LaPresse