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Calcio, ripresa della Serie A? Motivazioni economiche e sociali, ma poco di sportivo

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Il calcio deve essere sospeso“; “Lo sport è un optional nel calcio professionista. Uno schifo. Speriamo che tutto venga sospeso per ripartire in maniera migliore“; “Non si può giocare, quando la gente muore per il Covid-19″. Sono un po’ queste le considerazioni che si sono raccolte sul web, relativamente alla ripresa o meno del campionato. Tra qualche ora sapremo il giudizio del Governo in merito per mettere la parola fine sulla querelle “calcio sì, calcio no”.

Se ne sono dette scritte e dette tante. Indubbiamente, la decisione che spetta all’Esecutivo non è semplice perché in un contesto in cui il rischio “zero” dei contagi non c’è, è necessario conciliare aspetti in contrasto. Ci si riferisce a fattori legati strettamente alla salute e all’economia. Su questi due fronti le divisioni non mancano: il partito del “No” e del pensare prima alla sicurezza; il partito di chi non vuol fermare la macchina per paura di avere danni peggiori in futuro. Qual è allora la verità? Nessuno può arrivare a tanto e nessuno può pensare di averla in tasca in una società complessa come quella italiana, divisa tra mille contraddizioni. Si possono quindi analizzare le motivazioni dell’una e dell’altra parte e trarre delle conclusioni.

PERCHE’ SI DEVE GIOCARE?

Si parte da un quesito: quanto vale il calcio? Secondo i dati riportati da calcioefinanza.it, parliamo di 28 milioni di tifosi, 4.6 milioni di praticanti, quasi 1.4 milioni di tesserati e circa 568.000 partite ufficiali disputate ogni anno (di cui il 64% di livello giovanile). Numeri che si riferiscono al Report Calcio della Figc, che tengono conto di un peso economico del “Pallone” in crescita a livello professionistico: nel 2017-2018, il valore della produzione dei tre campionati professionistici ha superato per la prima volta i 3.5 miliardi di euro, con una crescita del 6% rispetto all’anno precedente. Si è registrato anche un aumento dell’incidenza del valore della produzione sul PIL nazionale, passato dallo 0,17% del 2013 allo 0,19% del 2017. Questa crescita è stata sostenuta in particolare da un aumento delle componenti dei ricavi da stadio (+22.4%) e dei ricavi da sponsor e attività commerciali (+9.5%). In poche parole, tutto il Sistema Calcio (calcio professionistico+Figc+Leghe+campionati dilettantistici e giovanili) arriva a un fatturato pari a 4.7 miliardi di euro, riconoscendovi una delle 10 principali industrie italiane.

Dando ulteriori numeri, secondo l’algoritmo Social Return On Investment Model, l’impatto socio-economico del calcio italiano risulta pari nel 2017-2018 a circa 3.01 miliardi di euro. I settori coinvolti sono quello economico (742,1 milioni di contributo diretto all’economia nazionale), sociale (1.051.4 milioni di risparmio economico generato dai benefici prodotti dall’attività calcistica) e sanitario (1.215.5 milioni in termini di risparmio della spesa sanitaria), insieme a quello delle performance sportive. La Serie A ha una rilevanza pari al 72% della contribuzione complessiva, con un dato pari a 856.5 milioni di euro (la crescita media annua dal 2006 al 2016 è stata pari al +6.3%). Considerando il solo calcio professionistico, rispetto al 2015, è aumentato in termini significativi il reddito da lavoro dipendente del settore (+7.5%, per un totale nel 2016 pari a 1.452.7 milioni di euro) e il numero di contribuenti (dai 9.371 del 2015 ai 9.899 del 2016). I lavoratori dipendenti con redditi superiori a 200.000 euro sono le 993 unità, il dato record tra quelli registrati negli ultimi 11 anni, mentre secondo le stime di Openeconomics i numeri sarebbero pari a 139.000 unità di lavoro qualificato e a 113.000 unità di lavoro non qualificato.

Il calcio professionistico continua a rappresentare il principale contributore del sistema sportivo, con un’incidenza del 70% rispetto al gettito fiscale complessivo generato dal comparto sportivo italiano e del 36% nell’ambito del macro settore economico relativo alle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e di divertimento (il secondo settore, relativo a lotterie, scommesse e case da gioco non supera il 17.2%).

Questi dati fanno capire come il fenomeno economico e sociale rappresentato dal “Pallone” rafforzi la necessità di una ripresa. Solo guardando alle perdite per i diritti televisivi, in caso di stop definitivo, ci sarebbe un danno di circa 255 milioni di euro.

PERCHE’ NON SI DEVE GIOCARE?

I fermi oppositori al ritorno in campo, anche tra i più accaniti tifosi, hanno una posizione per certi versi un po’ “romantica” e nello stesso tempo volta a dare altre priorità. Indubbiamente le conseguenze sui giocatori potrebbero essere non di poco conto. Il rischio contagi e di infortuni “classici” è alto e l’incolumità degli atleti è un fattore che fa pendere la bilancia dalla parte del “No”. Inoltre si assisterebbe a partite senza pubblico e dal valore sportivo completamente diverso. Questo aspetto conferisce ai match eventuali un significato diverso che altera decisamente il valore degli stessi. Senza l’apporto dei tifosi, il famoso fattore campo di fatto viene azzerato e sotto il profilo motivazionale i calciatori dovranno affrontare uno sforzo completamente diverso. Campionato falsato quindi dal punto di vista squisitamente sportivo? La risposta è affermativa ed è anche questa la ragione per la quale una percentuale non certo trascurabile di supporters non veda di buon occhio un ritorno dei calciatori in campo. Ciò va legato alla rappresentazione del calcio come a un mondo di privilegiati. In un Paese che ha avuto e sta avendo difficoltà nell’eseguire i controlli e i tamponi, il “Pallone” se lo può permettere solo perché ha grandi disponibilità? Questo è uno dei quesiti di chi valuta negativamente il contesto descritto.

CONCLUSIONI

Le conclusioni che ci si sente di dare sono le seguenti: non esiste una soluzione ideale perché, allo stato attuale delle cose, in un verso o nell’altro qualcuno o qualcosa potrà rimetterci. Partendo da questo presupposto, qualunque sarà la decisione del Governo, il calcio dovrà riflettere su una situazione nella quale le questioni economiche e sociali erano già complesse prima della pandemia. La situazione di emergenza, se vista in un’ottica intelligente, può essere un’opportunità per dare quel sostentamento soprattutto ai contesti non illuminati dalle luci della ribalta e ignorati dalla collettività. E’ da capire se questa analisi verrà fatto o si andrà avanti secondo una logica a brevissimo termine.

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giandomenico.tiseo@oasport.it

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Foto: LaPresse

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