Formula 1

F1, Gerhard Berger: il pilota che ha risvegliato la Ferrari dai due peggiori incubi della sua storia

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La figura di Gerhard Berger è una delle più iconografiche della Formula 1 di fine anni ’80 e inizio ’90. L’austriaco, ottimo pilota trovatosi a confrontarsi con fuoriclasse assoluti, ha comunque saputo ritagliarsi una carriera di tutto rispetto, legando peraltro il suo nome anche alla Ferrari. Il dato più interessante riguardo il tirolese e il suo rapporto con il Cavallino Rampante è relativo al fatto di essere l’uomo che, vincendo un GP, ha saputo porre fine alle due serie negative più lunghe nella storia del team di Maranello.

Gerhard Berger firma per la Ferrari sul finire dell’estate 1986. Quasi per caso, perché il team di Maranello era convinto di avere ingaggiato Nigel Mansell, il quale però stava solo giocando al rialzo con Frank Williams per ottenere un salario migliore. Così, trovandosi piantato in asso dal britannico, il Cavallino Rampante decide di scommettere sull’austriaco, che ha 27 anni ed è la rivelazione della stagione. Gareggiando per la Benetton, ambizioso team anglo-italiano nato dalle ceneri della Toleman, il tirolese si è già messo in mostra in più di un’occasione. A Imola ha corso da protagonista e con intelligenza, tanto da riuscire a vedere la bandiera a scacchi nonostante la rottura della frizione e, approfittando dei tanti ritiri, si è piazzato terzo. In Belgio si è qualificato secondo, ma una collisione al via con Prost e Senna ha rovinato la sua gara. A Zeltweg è rimasto in testa per metà Gran Premio, sino a quando un problema elettrico gli ha tarpato le ali. Dopo la firma del contratto con la Ferrari, Gerhard nel penultimo appuntamento stagionale confeziona uno splendido regalo d’addio alla Benetton e conferma che a Maranello ci hanno visto giusto. Si corre in Messico, quindi in altura. In tale contesto il propulsore Bmw, essendo dotato di soli 4 cilindri, soffre di una perdita di potenza decisamente inferiore rispetto ai V6 che equipaggiano le altre monoposto di vertice. Inoltre, sull’asfalto dell’autodromo Hermanos Rodriguez, gli pneumatici Pirelli usati dal team anglo-italiano si rivelano decisamente più performanti rispetto ai Goodyear montati dalle altre squadre di punta. Forte di questo doppio vantaggio, Berger sa di essere il favorito e imposta la gara sul ritmo, senza strafare, in maniera tale da non doversi mai fermare ai box per cambiare pneumatici, a differenza di tutti gli avversari. Se la macchina non lo tradisce, è fatta. La vettura regge e arriva autorevolmente la prima vittoria in Formula 1.

Approdato alla Ferrari, sulla stampa c’è chi lo definisce “il nuovo Lauda”. Per la verità, a parte il passaporto, i due hanno ben poco in comune. Niki, il “pilota computer”, è fisicamente minuto, freddo, razionale, calcolatore. Uno stratega prestato alla pista. Gerhard invece è un guascone, alto quasi un metro e novanta, dal piede pesante e sempre pronto a dare battaglia senza troppi fronzoli. La “luna di miele” con i giornalisti dura molto poco, anzi a inizio 1987 Berger diventa suo malgrado un “nemico pubblico”. Il fatto è che il Cavallino Rampante è in piena ricostruzione e l’arrivo del progettista John Barnard, strappato alla McLaren, genera un terremoto mediatico. L’ingegnere non lesina critiche al lavoro svolto a Maranello nell’ultimo biennio, sottolineando in particolare l’arretratezza sul fronte aerodinamico rispetto ai team britannici, proponendo peraltro di costruire in Inghilterra diversi pezzi della monoposto. Le parole del tecnico vengono viste come una “bestemmia” dai giornalisti specializzati, che cominciano a fargli la guerra. Nel mezzo ci finisce anche il pilota austriaco, che dimostrandosi velocissimo mette in secondo piano il compagno di squadra Michele Alboreto. Così la stampa inizia ad accusare il tirolese di essere “il cocco di Barnard”, il quale invece trascurerebbe il pilota milanese, alla sua quarta stagione in “Rosso”. A dispetto delle critiche effettuate per partito preso, la bontà del lavoro di Barnard è apprezzabile, poiché la Ferrari migliora le sue prestazioni di gara in gara. Tuttavia, l’affidabilità è un disastro. Nei primi undici Gran Premi, Alboreto arriva due volte terzo e si ritira in nove occasioni. Berger, invece, colleziona quattro quarti posti e sette ritiri. Ciononostante la popolarità di Gerhard tra i tifosi si dimostra elevata, a dimostrazione di come la pretestuosa campagna di stampa di inizio anno non abbia rovinato la sua immagine. Il Cavallino Rampante, però, sta vivendo la serie nera più lunga di sempre. L’ultimo successo è stato conquistato da Alboreto nel GP di Germania 1985 e la proverbiale sequenza negativa di 25 gare senza affermazioni, verificatasi tra il 1968 e il 1970, è ormai stata di gran lunga superata. Cionondimeno, le migliorie apportate alla monoposto danno i loro frutti in Portogallo, dove l’austriaco riporta la Ferrari in pole position per la prima volta dopo due anni e mezzo. In gara resta a lungo al comando e ingaggia un intenso duello con Alain Prost, che nel finale si incolla al tirolese, il quale, sotto pressione, commette un errore e finisce in testacoda. Riparte, ma il transalpino è ormai volato via. È un secondo posto amaro, che sa tanto di vittoria mancata, però i tempi per il primo successo in rosso sono maturi. In Giappone, sulla nuovissima pista di Suzuka, Berger stampa una pole position da urlo con ben sei decimi di vantaggio sul secondo, ovvero Prost. Domenica 1° novembre 1987 il cielo è plumbeo, ma la pioggia non ha nessuna voglia di cadere. Si gareggerà sull’asciutto. Alla partenza il Professore scatta benissimo, ma Gerhard respinge il suo attacco e rimane al comando. Nel corso della seconda tornata, il francese però rallenta sensibilmente a causa di una foratura al pneumatico posteriore sinistro. Di colpo l’austriaco si trova in fuga, con ben 6 secondi di margine sulla Benetton di Thierry Boutsen! Il suo vantaggio sugli inseguitori cresce di giro in giro, toccando anche i 15 secondi. Il tirolese cede il comando per una sola tornata, quando si ferma ai box per cambiare le gomme, ma dopo il pit-stop di Senna torna leader. Tuttavia in classifica qualcosa è cambiato, poiché si ritrova braccato dalla McLaren di Stefan Johansson, il quale ha anticipato la sua sosta e sfruttando bene la pista libera unita alle gomme fresche, si è avvicinato tantissimo alla prima piazza. Lo scandinavo prova per qualche giro a tenere il ritmo del battistrada, ma ben presto si rende conto che così facendo consuma troppo carburante, rischiando di non averne a sufficienza per terminare il GP. Così lo svedese alza il piede dall’acceleratore. Gerhard è padrone della corsa, stavolta non c’è Prost a minacciarlo in ogni curva come all’Estoril. Al box del Cavallino Rampante si prega, i numeri dei precedenti quattordici gran premi stagionali dicono che le “Rosse” hanno visto la bandiera a scacchi solo 7 volte, collezionando ben 21 ritiri! Però quel giorno non può sfumare tutto, sarebbe ingiusto, il lungagnone di Wörgl sta dominando. Infatti la vettura non tradisce e Berger passa per primo sotto la bandiera a scacchi, riportando la Ferrari alla vittoria dopo 37 Gran Premi. Il digiuno più lungo nella storia è spezzato. In Europa è l’alba e a Maranello le campane suonano a festa. L’austriaco in conferenza stampa è euforico e, parlando del suo successo, dice con il suo solito stile guascone: “sono sicuro che il Vecchio dormirà meglio quest’inverno, ora che siamo tornati alla vittoria”. “Il Vecchio” sarebbe Enzo Ferrari in persona, ma il Drake non se la prende per il goliardico epiteto e telefona direttamente a Suzuka per congratularsi di persona con il suo pilota, il quale, giusto per sottolineare che il successo non è stato un caso, due settimane dopo ad Adelaide sbaraglia la concorrenza realizzando un “Grande Slam” (pole position, vittoria, giro più veloce e gara condotta dall’inizio alla fine).

Gerhard trascorre altri due anni in rosso, chiudendo terzo il Mondiale 1988 e vincendo altre due gare. Poi si trasferisce alla McLaren, dove passa un triennio come fedele scudiero di Ayrton Senna, facendo poi il suo ritorno a Maranello nel 1993. La Ferrari sta attraversando la crisi peggiore di sempre e la serie negativa di 37 GP senza vittorie viene nettamente superata, allungandosi a dismisura. Quantomeno nel 1994 la vettura e il motore si rivelano decisamente più competitivi rispetto al recente passato. Così, in alcuni contesti, si può provare a rivaleggiare con la Benetton di Michael Schumacher e le Williams. In tal senso gli infiniti rettilinei di Hockenheim, dove i cavalli e il piede pesante contano più di ogni altra qualità, appaiono terreno fertile per le “Rosse” spinte dal poderoso V12, che avrà anche parecchi difetti, ma in tema di potenza non ha rivali. Venerdì la pole provvisoria è di Damon Hill, ma sabato le Ferrari mettono tutti in riga, monopolizzando la prima fila. Berger è in pole position, Jean Alesi al suo fianco. Non capitava da quasi quattro anni! Domenica 31 luglio 1994 Hockenheim è letteralmente una bolgia infernale. Primo perché il caldo è mostruoso (si registrano più di 40°C), secondo perché sugli spalti ci sono 150.000 spettatori che sperano di assistere al successo di Schumacher, ormai diventato una star assoluta in Germania. Quando scatta il semaforo verde, si scatena il pandemonio. Due distinti incidenti eliminano la bellezza di dieci vetture, a cui si aggiunge la Ferrari di Alesi, fermata da un problema elettrico! Le Williams non si ritirano, ma sono entrambe malconce, così sia Hill che Coulthard devono effettuare una lunga sosta ai box, uscendo di fatto di gara. Al comando c’è proprio Berger, il quale è seguito come un’ombra da Schumacher. Molti addetti ai lavori alzano il sopracciglio. Com’è possibile che il Ford V8 della Benetton possa tenere testa al V12 della Ferrari? La risposta è semplice. La vettura del tedesco è leggerissima, poiché è partito per effettuare tre soste, mentre l’austriaco ne ha programmata una sola. L’obiettivo della strategia impostata da Ross Brawn è quello di tenere un ritmo da qualifica per tentare di scavalcare il tirolese strada facendo. Una tattica coraggiosa, che potrebbe anche pagare, ma ha come controindicazione quella di sforzare all’inverosimile il propulsore Zetec-R, il quale infatti a metà distanza finisce in pezzi, eliminando dalla contesa l’idolo di casa. Siamo al 20° dei 44 giri in programma, Berger rifornisce e si trova con mezzo minuto di vantaggio sulla Ligier di Olivier Panis, il quale non può certo essere considerato un pericolo. Le Benetton e Coulthard si sono ritirati, Hill è doppiato. Insomma, per vincere bisogna “solo” arrivare al traguardo. Per tutti i tifosi del Cavallino Rampante le tornate mancanti sembrano eterne e non perché la pista di Hockenheim è lunga quasi sette chilometri. L’euforia per un successo ormai molto probabile si mischia al terrore di un’atroce beffa rappresentata da un guasto meccanico. Le preghiere si sprecano e passano quaranta lunghissimi minuti prima che Gerhard, in splendida solitudine, tagli il traguardo. L’incubo è finito, la Ferrari torna a vincere per la prima volta dal Gran Premio di Spagna 1990. Sono passati 3 anni e 10 mesi, pari a 58 gare! Ai box del Cavallino Rampante l’emozione è palpabile, tra i meccanici c’è anche chi si commuove e lo stesso Jean Todt ha gli occhi lucidi. Il tirolese, ormai più maturo e ancora segnato per la morte del grande amico Ayrton Senna, commenta in maniera molto più diplomatica rispetto a sette anni prima. “Aspettavamo questa vittoria da tempo immemore, nell’ultimo anno e mezzo abbiamo fatto un lavoro enorme che finalmente ha pagato”.

Da allora è passato più di un quarto di secolo, durante il quale la Ferrari ha inanellato al massimo una sequenza di 34 gare senza vittorie (dal Gp di Spagna 2013 a quello di Malesia 2015). Dunque, ancora oggi, Gerhard Berger detiene il curioso record di essere stato il pilota che ha riportato il Cavallino Rampante al successo dopo la serie negativa peggiore di sempre non una, ma ben due volte! Non avrà mai vinto un titolo mondiale, ma l’austriaco ha di sicuro ottenuto dei successi oltremodo emozionanti per il loro peso specifico nella storia della Ferrari.

I DIGIUNI PIU’ LUNGHI NELLA STORIA DELLA FERRARI
58 gare (Gp Spagna 1990 – Gp Germania 1994), interrotto da Gerhard Berger
37 gare (Gp Germania 1985 – Gp Giappone 1987), interrotto da Gerhard Berger
34 gare (Gp Spagna 2013 – Gp Malesia 2015), interrotto da Sebastian Vettel
27 gare (Gp Singapore 2015 – Gp Australia 2017), interrotto da Sebastian Vettel
25 gare (Gp Francia 1968 – Gp Austria 1970), interrotto da Jacky Ickx

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paone_francesco[at]yahoo.it

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Foto: Martin Lee, Wikipedia

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