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Giulia Molinaro, golf: “Sempre più italiane credono nella strada del college. In America più semplice studiare e fare sport”

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Nell’anno del ritorno del golf alle Olimpiadi, il 2016, a Rio c’era anche lei: Giulia Molinaro, cittadina del mondo partita dall’Italia. Ormai protagonista in pianta stabile da anni sui green americani, ha affrontato un periodo piuttosto lungo di passaggio tra Symetra e LPGA Tour, prima di riuscire a stabilizzarsi negli ultimi anni e infilare un 2019 molto positivo. Lo stop legato all’emergenza sanitaria l’ha costretta a Scottsdale, dove in questo periodo le temperature sono già piuttosto roventi. L’abbiamo raggiunta per un’intervista telefonica, in cui ha raccontato il suo viaggio nel golf, il momento della pausa e considerazioni sulle possibilità del golf femminile di trovare una convergenza con il maschile.

Come hai vissuto l’interruzione?

“A me non è pesata tantissimo. Siamo talmente poco a casa, siamo talmente tanto con la valigia in mano, dentro e fuori gli aeroporti, che non è che mi abbia pesato troppo. Certo, ho giorni migliori degli altri, momenti in cui vorrei riuscire a viaggiare, fare altre cose, uscire di casa liberamente, però sono felice di stare a casa. Mi alleno, qui i campi da golf sono aperti, però il mio in particolare è uno di quelli più famosi dell’Arizona ed è sempre pieno di gente. I tee times costano tantissimo, quindi, visto che bisogna avere le distanze aumentate su un campo pratica, quello è riservato a chi li ha. Perciò io ho una rete, a casa, e c’è un tappetino che fa da putting green dove faccio tecnica, tanto non giocheremo ancora fino al 13 luglio. Abbiamo tutto il tempo del mondo per fare solo tecnica, allenarci così e quando si avvicineranno le date del torneo ovviamente andrò in campo. Però per adesso rete e tappetino vanno benissimo”.

Lì negli States, peraltro, ci sono regole molto variabili per i campi da Stato a Stato.

“In Arizona ora sono completamente aperti. In verità non hanno mai chiuso, perché lo reputano un business essenziale. C’è da ridire su ciò, però questo è quanto. Qui adesso poi fa già molto caldo, c’è già una media di 100° Fahrenheit (più di 37° Celsius, N.d.R.), quindi da mezzogiorno in poi è difficilissimo stare fuori casa”.

Olimpiadi a parte, quali erano i tuoi programmi prima dello stop?

“Calendario normale. Avevo fatto tre gare, Florida e due in Australia, si doveva ripartire a Phoenix, ma purtroppo o per fortuna hanno cancellato per il virus. Abbiamo però sempre il calendario più o meno uguale ogni anno, io gioco sempre, preferisco fare tutte le gare. Se a un certo punto dell’anno vedo che sono messa comodamente e ho il lusso di prendermi una settimana ‘off’ prendo quella decisione, ma a inizio anno calcolo di poter fare tutte le gare”.

Del rinvio delle Olimpiadi cosa ne pensi?

Lo trovo giusto. Avrei reputato impossibile giocare in Giappone adesso, ad agosto. Anche se la LPGA ha 3-4 gare in Asia a ottobre e sono ancora sul calendario. Se si giocheranno non lo sappiamo, però adesso sono ancora lì. Non sarebbe stato giusto farle con gli atleti in Italia che non si possono allenare, oltre che per il problema delle qualifiche. E poi anche per gli altri sport: fanno quattro anni di sacrifici enormi per quella settimana lì e non poter arrivare al massimo per via di uno stop lo troverei ingiusto”.

Hai citato il problema della qualificazione, perché, ranking bloccato a parte, con molti meno tornei sarebbe stata falsata tutta la situazione relativa.

“Assolutamente. Vale per noi come per tutti gli altri sport. Trovo giustissimo posticipare fino all’anno prossimo. Secondo me però il futuro è talmente un punto di domanda che dobbiamo vedere giorno per giorno. Anche noi con il rinvio a luglio sì, in teoria è quello, però se qui cominciano a riaprire gli Stati e ripeggiora tutto e richiudono tutto… non si sa niente. Secondo me fino a quando non si ha il vaccino non si può contare su molto“.

Sempre di Olimpiadi parlando, c’è il ricordo di Rio 2016 in cui hai fatto un finale in crescendo, pur se alla fine hai chiuso al 53° posto.

“Io ho trovato il campo difficile. Se mancavi il fairway finivi su una zona di bunker con passi del pubblico ovunque. Un campo difficile. La settimana è talmente un avvenimento pazzesco, tutta l’emozione di esser lì, le cose nuove, che purtroppo non è andata bene quanto mi sarebbe piaciuta. Però ho solo ricordi positivi di quella settimana, un sogno avverato”.

Un turbinio tale da impedire di concentrarsi sul golf.

“Sì. Il campo era difficile, il golf è uno sport in cui se giochi bene giochi bene, altrimenti è difficilissimo controllarlo e mantenere uno score decente. L’emozione di avere tutto il movimento, le Olimpiadi, il campo, tutti gli altri sport, è talmente una situazione nuova che è stata divertentissima, ma anche difficile da assorbire”.

Quest’anno c’è il coronavirus, ma in quell’anno molti si spaventarono per il virus Zika. In realtà, però, a ben vedere in quel periodo, in Brasile, era difficile che attecchisse.

“Io non ho visto una zanzara. Che io sappia, nessuno si è ammalato quando eravamo lì”.

Tu sei una padovana, ma di fatto anche una cittadina del mondo perché sei stata in Kenya e poi negli Stati Uniti.

“Sono nata a Padova, mia mamma è di Treviso e mio papà di Torino. Abbiamo sempre avuto una casa a Treviso, e tornavo sempre in Italia d’estate, giocavo con la Nazionale, mi allenavo con Enrico Trentin. Durante l’anno scolastico, però, io sono cresciuta in Kenya, dove vivo da quando avevo due mesi. Tuttora ho casa e famiglia in Kenya. A 16 anni ho raggiunto gli Stati Uniti prima per la high school in Florida, poi per l’Arizona State, poi mi sono trasferita qui a Scottsdale”.

Prima di arrivare al golf, hai provato con il tennis. Tennista mancata?

“Adoravo il tennis, mi divertivo e secondo me è uno degli sport più belli al mondo. Mi ricordo che a 11 anni ci giocavo in Sudafrica. Mancata è un’esagerazione, non sarei mai stata forte. Non sono esattamente leggera sui piedi. Ho i piedi di piombo (ride), per quello ho scelto il golf”.

Arizona State, un’esperienza in un ateneo che per il golf è stato di prestigio, perché ci sono passati nomi come Paul Casey, Jon Rahm, Anna Nordqvist, Grace Park.

“È stato fantastico, mi sono divertita un sacco. Suggerirei a tutti i ragazzi e le ragazze di andare a fare un’esperienza al college perché è perfetta. Non solo per passare pro, ma anche per l’esperienza del college in quanto tale. Dal punto di vista del passare pro ti prepara a un golf più simile, specialmente per le donne, a quello che io reputo sia sull’LPGA Tour. Campi americani, viaggi, ti abitui all’America, in tutto questo studi e hai un diploma che non fa mai male. Non si sa mai come va nel golf, magari ti fai male o ti stufi, almeno hai un qualcosa che dice che sai fare qualcos’altro che tirare palline. Quella è sempre stata una cosa importante per i miei genitori, che io studiassi e finissi l’università. E poi è un’esperienza divertentissima. Io sono andata a scuola con Azahara Muñoz, Carlota Ciganda, quando ci allenavamo lo facevamo con Jon Rahm, Phil Mickelson a volte torna, Paul Casey ci si allena. Negli ultimi due anni si son trasferiti in un campo nuovo, con una facility nuova disegnata da Mickelson. Dicono che è costata dieci milioni di dollari, per dare un’idea di che spettacolo sia questo posto per allenarsi”.

Dieci milioni per un campo disegnato da Phil Mickelson ci stanno tutti.

“Però non è che li ha messi tutti lui, è più tra lui e i donor dell’università, però è un posto fantastico. Non hai nessuna scusa per non volerti allenare sei ore al giorno”.

Hai accennato al fatto che l’hai proprio visto passare alle volte all’università.

“Lui viene spesso ai raduni di squadra, o a vedere le partite di football. L’avrò visto 5-6 volte, però è qui, è presente. Quando lo chiamano e quando gli chiedono di presenziare, c’è sempre, come Casey e ora Rahm”.

Poi hai cominciato con il LPGA Tour e nei primi anni hai spesso fatto su e giù con il Symetra.

“Non è facile. Alla fine ogni anno migliorano. Se tu l’anno prossimo torni allo stesso livello di quello prima, torni indietro e non ce la fai. Le ragazze lì son fortissime, è spaventoso il livello. Per passare i tagli devi fare sotto il par, i campi sono tostissimi ed è un gran livello. Sono andata avanti e indietro nei primi due anni anche perché non ero tecnicamente pronta, avevo bisogno di più lavoro e di essere più solida, più consistente. E poi principalmente a livello mentale devi credere di meritare di essere lì e di giocare con queste persone”.

In quegli anni di su e giù, però, c’è stato l’ottavo posto al Walmart nel 2016.

“Per fortuna, mi ha salvato! Con quello mi sono anche assicurata le Olimpiadi. È stata una gran settimana”.

A livello di stagione, a ben vedere, il 2019 è la migliore.

“Senza ombra di dubbio. Anche se lo status è considerato pieno, non ho potuto giocare fino alle Hawaii, in aprile. Con una quantità limitata di tornei sono riuscita a giocare molto bene, con tante top 10 o top 20, sempre ottimi risultati, mantenendo la carta e assicurandomi un ottimo status per il 2020. Quindi è stato un gran anno non solo di golf, ma anche mentalmente per me e per fare un passo in avanti nel mio golf”.

La geografia del golf femminile è diversa da quella conosciuta al maschile, perché in testa ci sono le asiatiche, le europee stanno facendo fatica e anche le americane lanciavano più segni positivi di adesso qualche anno fa.

“Le asiatiche sono forti, fortissime. Perché? Hanno una disciplina del lavoro che secondo me è superiore alla maggior parte di noi, americane, europee, tutte. Allo stesso tempo, grazie alle asiatiche abbiamo sempre più soldi sul tour, quindi non possiamo neanche lamentarci di ciò. Abbiamo 6-8 tornei in Asia di un minimo di due milioni di dollari. Grazie ai loro sponsor il tour sta migliorando. Grazie a loro, essendo a un livello eccezionale, il nostro sta migliorando parallelamente. In realtà poi ce lo chiediamo anche noi perché siano più forti, perché giochino meglio. Non lo so, sono più consistenti mentalmente, sono delle macchine, si allenano molto più di chiunque altro e con ciò fa migliorare anche noi altre. Ci compariamo a loro, che sono nettamente, per numero e per vittorie, le più forti”.

Quest’anno è stato anche sfortunato per un altro motivo: in Europa avrebbero tentato l’esperimento dello Scandinavian Mixed ospitato da Henrik Stenson e Annika Sorenstam.

“Ne ho sentito parlare, sarebbe stato fantastico. Secondo me dovrebbero provare a fare dei tornei misti, per esempio una delle nostre gare in Australia è mista (l’ISPS Handa Vic Open, N.d.R). Giochiamo su due campi diversi, ce li alterniamo, un gruppo uomini, uno donne. È divertente. È bello vedere i ragazzi praticare in campo pratica, è una cosa diversa. Secondo me se riusciamo ad arrivare al punto di fare più gare miste con i ragazzi, o di squadra, sarebbe fantastico”.

E aiuterebbe tantissimo il golf femminile, perché se ne sente spesso parlare troppo poco, perché c’è una predominanza molto grande del maschile.

“Da un certo punto di vista mi reputo molto fortunata, perché è uno dei pochi sport, con il tennis, in cui le donne possono giocare da professioniste, viverci, fare degli ottimi soldi non mi lamento assolutamente. Però sarebbe bello riuscire ad arrivare, un giorno, a un punto in cui non dico saremo alla pari, non so se mai succederà, però almeno a far sì che sia più apprezzato”.

A proposito di popolarità, anche in Italia la situazione non è semplice. Nel femminile è difficile avere anche le pagine di giornale, ce la fece con grandi sforzi Diana Luna.

“So che per i giornali italiani forse parlare di noi ragazze che siamo negli Stati Uniti suona quasi distante, non crea una storia perché non stiamo lì vicino e non ci possono vedere. Non so esattamente perché non si parla più delle donne. Diana è stata un’ottima giocatrice che ha fatto ottime cose per il golf italiano e la possiamo solo ringraziare per questo. Vedo che sul sito della Federazione si parla molto di più delle ragazze al college di prima, il che è fantastico perché ce ne sono tante di più. Quando c’ero io ero l’unica, o forse eravamo 2-3. Adesso ce ne sono un sacco ed è una cosa di cui sono molto felice. Apprezzo molto quest’intervista, sono felicissima di parlare con chiunque mi voglia chiedere qualsiasi cosa del tour, della LPGA, del golf negli Stati Uniti, qualsiasi cosa”.

Hai citato questa spinta sempre più grande verso gli States, verso i campionati NCAA. Sono sempre di più gli italiani che ci credono, ci vanno e cercano di farne una ragione di mix studio-sport che riescono a gestire meglio che in Italia, dove è purtroppo difficile.

“In Italia è difficilissimo. La scuola in Italia è anche nettamente più difficile di quella americana, e anche solo per quel fatto è molto più facile studiare a livello universitario e giocare a un livello NCAA, è possibile qui. Io direi sempre di più a ragazzi e ragazze di venire, e vedo che lo stanno facendo, quindi è fantastico. Ne sono felicissima”.

Tu in questo periodo su quali aspetti del gioco stai lavorando con più intensità?

“Sullo swing. Sto lavorando sulla tecnica. Ho una rete, mi filmo continuamente lo swing, disegno tutte le linee che devo controllare e con il coach li mando avanti e indietro. Certe volte facciamo delle sessioni su FaceTime. È tutta tecnica, solo tecnica perché adesso che ho quello che secondo me è anche un vantaggio di potermi allenare senza vedere dove vola la palla, quindi non posso farmi influenzare dal risultato del colpo, quindi mi concentro solo ed esclusivamente sullo swing e su quello che vedo dalla telecamera. Più che un punto di svantaggio secondo me è anche un vantaggio perché è un’estensione dell’offseason. Mai abbiamo avuto tutto questo tempo per lavorare sullo swing, perché finiamo a novembre, si riparte a gennaio, puoi fare un break ma non hai tutto questo tempo per tornare a casa. Adesso abbiamo mesi e mesi per lavorare sulla tecnica e sul fisico. Almeno io riesco a fare tanto lavoro su quello, oltre che sullo swing, per creare delle basi ottime per quando si riaprirà”.

Quali sono le persone più importanti nel tuo percorso di sviluppo come golfista?

“Adesso come adesso tutta la mia fiducia è sul mio coach qui, che è Jorge Parada, un ragazzo spagnolo che lavora al Liberty National nel New Jersey e viaggia tantissimo per tutte le gare perché lavora con sei di noi. Nel passato devo dire un grazie enorme alla Federazione, perché senza di loro il mio golf non avrebbe mai preso questa via, questa strada, e allo stesso tempo un’influenza enorme è stata quella universitaria, dove fai quattro anni di golf sulla piattaforma più simile, specialmente per noi donne, al golf professionistico”.

Quali sono le giocatrici e i giocatori che ti hanno ispirata di più, o che comunque sono i tuoi preferiti?

“Domanda difficile. Chi è che non ammira Tiger e la sua forza mentale sconvolgente? Lui sul campo da golf è solo, non c’è nessun altro. Quando ho avuto l’opportunità di guardarlo giocare sono rimasta sconvolta. C’è lui e poi solo il suo caddie. Tra le donne Suzann Pettersen, ho avuto anche l’opportunità di giocare e allenarmi con lei, visto che pure lei si allena, o allenava, con il mio coach. È stata veramente un’influenza ottima e un punto di riferimento ad altissimo livello”.

Tiger, che quante volte s’è visto mettere pressione mentalmente agli avversari, e il modo in cui è tornato è stato poi impressionante.

“Potrebbe essere l’atleta migliore che abbia mai visto in qualsiasi sport. Ovviamente ci sono i fenomeni di basket, calcio, tennis. Però… forse perché sono golfista, tutti noi lo ammiriamo noi”.

Un po’ quello che è Michael Jordan per il basket, o Roger Federer (e Rod Laver) per il tennis.

“Questi fenomeni sono un piacere in qualsiasi disciplina. Adesso sto guardando il documentario di Michael Jordan, ‘The Last Dance’. È pazzesco. Questi fenomeni sono fantastici”.

Tu qualche volta hai anche giocato dei Major. Quanto è diverso giocare quei tornei lì rispetto al circuito normale?

Quella è un’altra cosa che mentalmente bisogna superare. Bisogna vederlo come un altro torneo. Almeno inconsciamente lo sai che non lo è, perché il setup è più grande, ci sono tribune su tutte le buche, entri, arrivi al torneo e già sai che sei in qualcosa di più importante per come è organizzato, dai campi che scelgono. L’anno scorso sono riuscita a fare il passo avanti che è il torneo con più soldi, quindi a un livello più alto. Nonostante non sia un Major sono riuscita a giocarlo molto bene. Il prossimo passo è riuscire a fare i Major con la stessa tranquillità e la stessa concentrazione degli altri tornei. È una cosa su cui ancora ci sto lavorando”.

Quasi il completamento del viaggio partito dal Symetra Tour 2013.

“Parti lì, all’inizio reputi il Symetra Tour il top, quelle gare ti danno un livello di nervi, passi al prossimo, ti rendi conto che quello non era il massimo. Non c’è gara che io arrivi sul tee della 1 e non sia nervosa. Non so se mai cambierà. Secondo me lo sarò per sempre. E i nervi non vanno mai via, qualsiasi gara sia. Alla prima dell’anno sono super nervosa, lo ero anche quest’anno. Il perché non lo so. Dovrebbe essere la più rilassata, in teoria. Ho un anno intero, mi sono allenata, sono pronta. Niente. Super nervosa. Più parlo di questo con altre giocatrici, o vedo interviste, per esempio di recente un live tra Matteo e Dodo (Manassero ed Edoardo Molinari, N.d.R.), e anche loro hanno detto la stessa cosa. Non c’è torneo in cui vai sul tee della 1 senza essere nervoso”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Gabriel Roux

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