Sci Alpino

L’Italia è grande: la prima gemma mondiale di Deborah Compagnoni nel gigante di Sierra Nevada 1996

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Mondiali sci alpino, Sierra Nevada, 1996. Il tabù oro-iridato, che al femminile mancava da 64 anni, è stato spezzato al primo giorno di gare da Isolde Kostner in superG. Ora è il momento dell’altra grande speranza femminile italiana, Deborah Compagnoni. Oro olimpico in carica, 6 successi in Coppa del Mondo (due in superG, che sta per abbandonare definitivamente), ma viene da due stagioni tribolate: ha vinto ad Haus nel gennaio ’95 ed è stata nuovamente operata al ginocchio destro, il primo infortunato (a Zinal, nel 1988), nel settembre successivo.

E’ tra le favorite, assieme alle solite sospette, Anita Wachter, Martina Ertl, Katja Seizinger e due giovani svizzere molto promettenti, la 20enne Karin Roten, e la 24enne Sonja Nef, fresca di primo successo in Coppa del Mondo al Sestriere, in slalom, poche settimane prima. Deborah sta lentamente ritrovando la condizione migliore, non è e non può essere ancora al top fisicamente e in stagione non ha ancora ottenuto vittorie, solo un secondo posto a Maribor a gennaio dietro la citata Ertl. Ma è donna da grandi eventi.

La pista “Fuente del Tesoro” ha un nome profetico. Deborah cerca infatti la gemma vincente nell’ennesima annata difficile. Freddo polare: meno venti gradi. Mezza Spagna è bloccata dalla neve. L’ aria è talmente gelida da tagliarti la faccia. E pensare che un anno prima i Mondiali erano stati cancellati per… mancanza di neve. Sono le nove e quaranta del mattino, prima manche: la svizzera Sonja Nef partita col pettorale numero uno guida già la classifica provvisoria con un vantaggio smisurato su Martina Ertl e Anita Wachter. Sembra avere l’oro in tasca. Il sole comincia appena a far capolino sulla pista. Deborah, la quarta a scendere, poggia i bastoncini oltre la sbarra del cancelletto di partenza. Scuote la testa verso destra, poi verso sinistra. Gli scarponi le sembrano un freezer. Il ginocchio destro operato a settembre terrà? Aggressiva. Attenta. Precisa al millimetro. I tre muretti iniziali divorati. Sei minuscoli centesimi di ritardo al primo intermedio. Miglior tempo nel tratto centrale ondulato dove conta lasciar scorrere gli sci. A tre quarti manche è avanti di dieci centesimi sulla Nef. Resterà il passaggio migliore. Ma la fatica, la stanchezza di una notte passata quasi in bianco, il grande freddo incominciano a pesare sui muscoli di Deborah. Arriva in ritardo di linea ad una porta rossa. Per correggere la traiettoria è costretta a stringere. Sobbalza, quasi inforca la porta blu successiva. Si rialza. Perde un secondo. Ma perde anche la velocità. Per fortuna c’ è lo schuss finale. Il danno è limitato. Un secondo e 14 centesimi di ritardo dalla Nef. Sogni d’ oro svaniti?. Rabbia di Deborah. Pietrogiovanna la raggiunge. La rincuora. Le dice: “Aspetta. La seconda manche l’ ho tracciata io, è adatta alle tue caratteristiche. Puoi recuperare. Puoi pensare alla medaglia. Può succedere pure che capiti alla Nef quel che è successo a te“.

Ha ragione, Pietrogiovanna. A fine manche i primi conti rilanciano speranze di podio. La Compagnoni quarta, a due centesimi dalla austriaca Wachter. “Possibile“, dice ancora il Tino. Possibile cioè batterla. Quarantun centesimi dalla svizzera Karin Roten: “Possibile“, ribadisce il barbuto volpone del Circo Bianco. La Nef? “Non ha saputo vincere quando a Maribor era rimasta in testa nella prima manche, figurati per un titolo mondiale in ballo“. La sfida è raccolta.

Deborah stavolta non sbaglia nulla. Ha solo una piccola incertezza a metà gara. Taglia il traguardo con 74 centesimi di vantaggio su Martina Ertl, autrice di una strepitosa rimonta e già argento olimpico ’94 proprio dietro Compagnoni. Esulta, Deborah, solleva le braccia. E aspetta le rivali. La veterana Wachter non regge alla distanza. Scivola ad oltre un secondo dalla Compagnoni. Il bronzo è già in tasca. L’ argento arriva più rapido del previsto: Karin Roten accusa l’ emozione. Scende senza grinta. Passa dietro, anche se non di molto, lasciando però in totale 8 decimi alla valtellinese (ne aveva 4 di vantaggio), ma esulta: a 20 anni, l’argento non si disprezza affatto. Anzi. Tocca alla bella Sonja Nef, nettamente favorita a questo punto. Ha più di un secondo di vantaggio su Compagnoni, che però è un ombra che si agita dietro di lei, come un fantasma. Una, due, tre porte, solleva sbuffi di neve, che sono indizi di errori, di correzioni. Otto secondi d’ illusione: e Sonja sprofonda come una grossa nave che prima d’ inabissarsi, s’ impenna. E’ oro! Deborah urla: “Che culo!“. Più tardi, l’ esclamazione verrà riveduta: “Che fortuna!”. Brava e onesta. Compagnoni è per la prima volta campionessa del mondo, in slalom gigante. Sfruttando anche gli errori delle avversarie, per carità. Ma non poteva essere ancora al top della condizione dopo l’operazione e sicuramente non ha mostrato nemmeno metà del vero potenziale. Rivincerà il titolo al Sestiere, nel 1997, dominando, e farà lo stesso ai Giochi di Nagano ’98.

Quanto a Sonja Nef, classe ’72, gran bel talento accostata parzialmente al connazionale Michael von Grünigen, il tempo le renderà giustizia: impiegherà tre anni per riprendersi e per tornare a vincere in Coppa del Mondo, ma poi lo farà per 15 volte in totale, conquistando la Coppa di gigante nella stagione 2000-2001, letteralmente dominata, il titolo iridato a St. Anton, sempre nel 2001, e il bronzo olimpico a Salt Lake City 2002.

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gianmario.bonzi@gmail.com

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FOTO: LaPresse

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