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Luca Moroni, scacchi: “Giocare a tavolino è più bello, anche se poi con l’online non ci siamo davvero spostati. In Italia oggi situazione positiva”

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19 anni: tanti ne ha Luca Moroni, che arriverà a quota 20 il prossimo 1° luglio ed è il nome sul quale l’Italia punta per il futuro (che è già presente) degli scacchi. Diventato Grande Maestro e Campione italiano già a 17 anni, è da molto tempo vicino a superare quella quota ELO di 2600 oltre la quale, al momento, di italiano c’è solo Daniele Vocaturo. Come moltissimi scacchisti, nel periodo attuale si sta impegnando nel gioco online, che ha visto un autentico boom con i vari lockdown nel mondo, benché già in precedenza i siti scacchistici godessero di una popolarità non indifferente. Non vede l’ora, però, di ripartire con il gioco a tavolino, quello che lo ha portato in giro per il mondo a cogliere risultati già di ottimo livello. Di tutto questo, e di altri argomenti, ci ha parlato in questa lunga intervista telefonica, che ha svelato un ragazzo con la mente aperta anche nei confronti del mondo che è intorno a lui.

Una curiosità: nelle liste vieni indicato come Luca Moroni Jr. perché c’era già un altro Luca Moroni iscritto alla Federazione italiana e quindi hanno dovuto fare la distinzione.

“Tra l’altro ora ce n’è un terzo! È più piccolo di me, ma lui non è junior, è quello che fa ridere! Noi però ora abbiamo un ID che ci identifica, quindi adesso non serve più. Fino a una decina d’anni fa la registrazione era un po’ più difficile perché c’era la possibilità di confusione, adesso non succede più”.

Gli scacchi in questo momento sono l’arte più curiosa del momento: è sì tutto fermo a livello fisico, ma a livello pratico no, perché si gioca online, con tutte le differenze dal gioco a tavolino.

“Esatto, sono due cose diverse. Vorremmo tutti tornare a giocare a tavolino perché è più bello toccare il pezzo, fare le mosse con le proprie mani e non con il mouse. In realtà, a ben vedere, non è che ci siamo spostati: il gioco online già c’era, ha sempre funzionato bene. Adesso sta andando al massimo, perché chiaramente prima il gioco online veniva un po’ frenato da quello dal vivo, ora si può solo giocare in rete e quindi sta vivendo un periodo pazzesco. I siti infatti si stanno attrezzando perché ci sono tantissime partite in corso, c’è tantissima gente collegata e i server non erano abituati ad avere così tanta affluenza”.

Fra l’altro anche i superGM si sono cimentati, o hanno creato, grandi tornei: ci sono stati, per esempio, la Blitz Banter Cup, il torneo organizzato da Magnus Carlsen, l’Online Nations Cup.

“Io l’Online Nations Cup fra l’altro l’ho commentata. Sono stato contattato da chess.com, che la ospitava. E di tornei ne stanno organizzando ancora, adesso c’è il Campionato Europeo online”.

Che non sostituisce quello reale, a tavolino.

“Infatti, l’hanno rimandato, ma è una data simbolica, perché è altamente improbabile organizzare tornei internazionali a ottobre. Il Campionato Europeo riunisce centinaia e centinaia di persone, è difficile ritornare a giocare in sicurezza perché per prima cosa non dipende solo dal Paese organizzatore: ci sono più Stati con cui bisogna coordinarsi, la Federazione internazionale dovrebbe trovare il luogo per giocare in sicurezza. Nessuno sa esattamente come continuerà, però sarà una cosa lunga”.

Rimane che il problema è quello delle limitazioni sui viaggi, che rimarranno in certi casi per chissà quanto tempo.

“Ed è proprio per questo motivo che è improbabile”.

E a proposito di tornei discussi, quello discusso per eccellenza è stato il Torneo dei Candidati, che era l’unico evento ancora in corso quando si era fermato tutto il resto.

“È un argomento delicato, perché c’è stato anche il rifiuto di Teimour Radjabov che ha detto ‘ma siete impazziti? Non si può giocare un torneo del genere, al primo che tossisce in sala cosa facciamo?’. Era una situazione complicata, perché la FIDE con i giocatori diceva che comunque loro avevano delle clausole, se succedeva qualcosa spostavano il torneo, giocavano in sicurezza. Fondamentalmente per me non è stata un’idea buona farlo partire, anche perché il torneo è bloccato su una classifica nella quale alcuni giocatori erano più in forma di altri. Il torneo si dovrebbe giocare in quelle due settimane in cui anche la forma conta. Se all’inizio fai un tot di partite, poi lo rimandi, era meglio a quel punto non giocarlo. Loro hanno fatto le loro considerazioni, i giocatori erano d’accordo. Anche se hanno detto che in quelle condizioni non si riusciva a giocare a scacchi. C’era gente che diceva “sta morendo un sacco di gente nel mondo, l’ultimo pensiero adesso è muovere i legni”. Volevano solo tornare a casa sani e salvi”.

Qualcuno (Caruana) aveva difficoltà a tornare indietro. Fabiano ha dovuto fare un giro incredibile. Altri hanno testimoniato di non avere la testa al 100% sugli scacchi. È stata una situazione condizionante che fa chiedere se fosse davvero necessario.

“Per niente. Io sono tornato dalla Russia prima che fossero messe in atto tutte le restrizioni, a fine febbraio, perché avevo giocato l’Aeroflot (torneo molto forte che si tiene a Mosca dal 2002, N.d.R.), e proprio durante era scoppiato il caso del paziente uno a Lodi. Ero lì, sono tornato e c’erano già delle complicazioni, ti misuravano la febbre, qualche giorno dopo sarebbe stato difficile tornare. Loro hanno iniziato quasi un mese in dopo, quando c’erano delle condizioni che non stavano né in cielo né in terra. Se loro dicono di aver giocato in sicurezza e alla prima complicazione si sarebbe tornati tutti a casa, però si poteva evitare. E Radjabov in tutto questo è stato danneggiato. Probabilmente gli offriranno la wild card nel 2022, ma non è uguale. Si era qualificato quest’anno, era in forma quest’anno, voleva giocare quest’anno”.

E anche Ding Liren è stato in quarantena due settimane prima di iniziare, senza potersi preparare adeguatamente.

“No, infatti non dovrebbe succedere una cosa del genere”.

Tu quando hai cominciato a giocare a scacchi e quando hai iniziato a capire che per te potevano significare molto?

“Ho iniziato verso i 5 anni, quando ero piccolo. Avendo mio fratello che era del ’92, lui fin da bambino mi insegnava le cose per i grandi. A 5 anni sapevo contare. Tutte le sere mio nonno mi aveva insegnato a giocare a carte, visto che andavo da lui il pomeriggio dopo l’asilo. La sera, quando tornavamo a casa, volevo giocare a Scala 40, perché sapevo contare e conoscevo le regole. Una sera mia mamma ha detto a mio padre: “Non possiamo mica sempre giocare a Scala 40″. E allora mio padre voleva insegnarmi a giocare a dama. Avevamo la scacchierina con dama, scacchi e un altro gioco dietro. Ho iniziato da lì. Ho visto i pezzi degli scacchi che erano diversi da quelli della dama. Non sapendo niente, e avendoli visti diversi, ho detto: ‘Insegnami a giocare a questo’. Poi, in prima elementare, a scuola è comparso un volantino per un torneo. Ero a Cesano Maderno. Ho giocato, ho fatto una patta e tutte sconfitte. Da lì mi sono iscritto al circolo di Ceriano, che lo organizzava, e da lì ho iniziato a giocare tornei. La mia fortuna è stata che ho vinto fin da subito. Il secondo torneo che ho fatto è stato il Campionato regionale Under 8 e l’ho vinto. Quindi vincere il torneo, vincere la coppa, stimola a continuare a giocare. Se il bambino avesse perso tutte le partite dopo due mesi avrebbe cambiato gioco, no? Quindi è stata una fortuna. Ero sempre tra i primi in Italia della mia età e questo mi ha aiutato a prendere gli scacchi in maniera molto più seria. Mi è sempre piaciuto tantissimo. Poi nel 2015 sono arrivato secondo al Mondiale Under 16 e quello era stato un segnale importante per poi decidere, due anni dopo, quando ho vinto il Campionato italiano assoluto, per decidere di diventare poi professionista”.

Hai citato i tornei Under 8. Tu cosa pensi del fatto che si organizzino a livello internazionale i tornei per queste fasce d’età, Under 8, 10 e 12?

Sono un’opportunità grandissima. Mi hanno aiutato tanto. Io giocavo o i Mondiali o gli Europei, a seconda di come arrivavo al Campionato Italiano, perché il primo poteva scegliere se giocare l’Europeo o il Mondiale come rappresentante dell’Italia e il secondo si adattava al primo. Sono stati bellissimi, poi quando eravamo più piccoli c’era anche il fatto di portare un souvenir del Paese, che fosse una calamita stupida o altro. A volte si tornava pieni di gadget. Magari non tutti, però c’erano molti ragazzini che si prendevano la calamita o questi oggetti qui. Però è davvero una bella esperienza, perché poi si conoscono anche modi di giocare diversi, perché non tutte le nazioni giocano allo stesso modo. I ragazzini indiani e russi sono i più temuti, perché giocando tra di loro ed essendo forti poi, magari, hanno un ELO più basso di gente di altri Paesi, ma sono più forti. È davvero una bella esperienza che consiglio a tutti”.

Parli di India e Russia, fra l’altro con un discorso di infinitamente maggiore tradizione scacchistica, per varie ragioni.

“Non avendo il calcio, chiaramente, gli scacchi sono molto più importanti. Poi gli indiani sono un miliardo, quindi per la legge dei grandi numeri qualcuno deve pur venir fuori”.

Idem per la Cina, anche se poi la storia lì è più particolare.

“Lì è la stessa cosa, legge dei grandi numeri. Qualcuno di buono ne esce. Del resto sono un miliardo e mezzo su quasi otto. È chiaro che tra indiani e cinesi, che fanno un terzo della popolazione mondiale, i più forti siano loro, se si impegnano. Poi c’è una cultura diversa, gli indiani generalmente sono più poveri. Almeno all’inizio per gli scacchi serve solo una scacchiera. Loro però ora sono diventati forti anche online, perché prima magari, non essendoci i computer o dei corsi online o questa modalità di apprendimento bisognava prendere l’istruttore. Ora, con gli scacchi e i corsi online è molto più facile”.

In India, poi, un ruolo ce l’ha avuto Vishy Anand, che è diventato un eroe nazionale.

“Se non erro è stato anche supportato dal Governo, oltre che dalla sua Federazione”.

Grande Maestro a 17 anni, tra i più giovani in Italia (casistica di Caruana a parte), Campione d’Italia. Quelli sono stati gli anni della svolta.

“Esattamente. Faccio un esempio. Prendi il calcio: la svolta arriva quando si stanno finendo le superiori, perché lì devi decidere cosa fare nella vita. Bene o male, alle superiori, se hai un’attività sportiva la continui, poi quando finiscono le superiori devi decidere se diventare professionista o cercare un’altra strada, un altro lavoro. Questa è l’età in cui cambia tutto. La maggior parte dei ragazzi smettono negli ultimi anni di liceo, soprattutto quando c’è la maturità, si gioca di meno, poi vanno all’università e non giocano più o quasi”.

Hai quasi citato Francesco Rambaldi.

“Lui ha avuto una storia diversa. Non dipende solo dalla voglia di diventare professionista, ma da un sacco di fattori. Lui in realtà aveva preso un anno, finito il liceo, poi non gli è andato bene e si è trasferito negli Stati Uniti dove gioca qualche partita all’anno e niente di più. Sono scelte”.

Poi qualcuno riesce a farle convivere le due cose, lo sport e lo studio.

“Generalmente se uno vuole fare una cosa fatta bene deve fare solo quella. Non credo le persone riescano a fare più cose fatte bene. Chiaramente se le si vuole conciliare, entrambe non verranno fatte al massimo livello, perché chiaramente il tempo è quello che è, la giornata è di 24 ore. Se io 16 ore le uso per allenarmi nello sport e dormo le altre 8, o se 10 le uso per lo sport, 6 per lo studio e 8 per dormire, è matematico che chi usa 16 ore e ci si allena poi va più avanti. È un po’ quello che diceva Michael Phelps. Lui ha sempre detto, quando gli chiedevano come fosse diventato quello che è, rispondeva: “Quando gli altri a Natale sono a pranzo con la famiglia, io sono in piscina ad allenarmi”. È un o’ così che funziona se si vuole arrivare al top”.

L’ossessione dei grandi. Michael Phelps, Kobe Bryant.

“Ma anche Cristiano Ronaldo. I grandi campioni usano tutto il giorno per far quello. Poi non è detto che le due cose non si riescano a conciliare, ma per forza di cose non ci riesci al top. Magari ad altissimo livello ci arrivi comunque”.

Che è un po’ quello che riesce a fare Carlsen adesso.

“Sì, lo vedo che gioca e poi studia economia. Sicuramente saprà di economia, ma non andrà all’università prendendo il massimo dei voti a tutti gli esami. Semplicemente è una scelta di vita”.

Peraltro bisogna pur dirlo: lui riesce a vendersi bene anche a livello manageriale.

“Ha un team dietro, è il Campione del Mondo, è il personaggio, perché bene o male ha il suo caratterino. Non è come Fabiano, che è più tranquillo. Sembra più un tipo allegro”.

Quali ritieni i tuoi risultati più importanti a livello di singole partite?

“Penso la mia miglior vittoria sia stata a Baku, nel 2016, alle Olimpiadi scacchistiche. Era il mio esordio, avevo 16 anni e giocavo il penultimo turno. Eravamo contro la Moldavia. Giocavo contro uno del mio livello (Vladimir Hamitevici, N.d.R.), e fu una bella vittoria anche per la storia che c’è dietro. Io, pattando quella partita, avrei ottenuto la norma di Grande Maestro. Quella era l’ultima Olimpiade con il regolamento vecchio. Qualsiasi norma ottenuta valeva doppio. Con quella partita avevo una possibilità di fare due norme di GM, e già è difficile farne una. Giocavo con il Bianco e pensai: ‘Ok, gioco con il Bianco, tengo la partita abbastanza tranquilla, mi fido dei miei compagni, la portano sul 2-1 loro, poi patto io, facciamo 2.5-1.5 e siamo tutti contenti’. Arriva il meeting serale, per scegliere chi giocare, e il commissario tecnico dice subito: ‘Luca, tu giochi’. La prima cosa che ha detto. Poi, dopo le scelte, ha detto agli altri che potevano andare, quindi: ‘Luca, tu resti qua. Andiamo a fare una passeggiata’. Abbiamo fatto una passeggiata per Baku, che tra l’altro è bellissima, e mi fa: ‘Se tu domani ti presenti per pareggiare è l’ultima Olimpiade che farai con l’Italia. Le norme le potrai fare, tu qui stai giocando a squadre e qui domani giochi per l’Italia’. Giustamente. Il succo era che se ci fosse stato bisogno della patta, avrei pattato, se invece ci fosse stato bisogno della vittoria, avrei giocato per vincere. Giustamente, perché non eravamo lì ognuno per conto proprio. Il giorno dopo partiamo con una vittoria di Vocaturo con il Nero”.

Meravigliosa fra l’altro.

“Daniele è tosto. Quando è in forma può battere chiunque. Vinse con il Nero contro Viktor Bologan. Poi però arrivano la sconfitta di Sabino Brunello e la patta di Danyyil Dvirnyy in seconda scacchiera. Lì ho detto ‘ma no!’, il commissario tecnico mi ha portato il caffè ed era un chiaro messaggio psicologico, del tipo: ‘tu rimani qui’. Fra l’altro quella partita ebbe anche una conclusione abbastanza carina. E poi ci siamo giocati la medaglia contro la Russia, e infatti non l’abbiamo vinta, però è stato il risultato più bello sia per me che per la squadra”.

Poi nessuno forse pensava veramente di poter battere la Russia, anche visto il livello.

“Sì, però in un match può succedere di tutto. Vedi Steven Bradbury. A scacchi è un po’ diverso, ma può sempre succedere di tutto: uno fa un errore clamoroso, si va sotto 1-0 e poi può succedere di tutto. Certo, contro la Russia se ne giochiamo 100 le perdiamo quasi tutte, però può sempre accadere qualsiasi cosa”.

Ma anche l’Italia nel 2017 con l’Azerbaigian agli Europei.

“Sì, poi loro son diventati Campioni d’Europa. Era il primo turno”.

E quella è l’unica che persero.

“Poi infatti è venuto il loro capitano, uno simpatico, diceva: “Ah sì, gli azzurri, ci avete svegliati, poi le abbiamo vinte tutte”. Abbiamo giocato ancora l’anno dopo, però non andò proprio benissimo!” (ride)

L’anno dopo però arrivò anche la patta con Nepomniachtchi alle Olimpiadi Scacchistiche.

“Con il Nero. Un risultato eccellente a livello individuare. Farcela con lui, top ten, con il Nero, fa sempre piacere”.

A proposito di Europei: c’è stato quello rapid nel 2018 in cui hai finito 1°-4°, ma 4° per spareggio tecnico.

“Pazzesco! Avevamo appena finito il Campionato Italiano a Salerno. Era l’anno del Sud, dovevamo fare Italia-Macedonia. Salerno-Skopje. Arrivammo dopo un viaggio allucinante. Eravamo io, Alessio Valsecchi, Dvirnyy e un mio amico, Davide Podetti, che è venuto con noi, in un appartamento. Eravamo andati lì per divertirci, nel senso che avevamo appena finito un torneo e ci siamo detti: “Andiamo a giocare qualche giorno con gli altri Grandi Maestri, gente forte, giochiamo insieme, ci impegniamo, però ci divertiamo”. Gioco rapid, perdo la seconda, poi mi son messo a vincerle tutte (quasi letteralmente, N.d.R.) e dopo il penultimo turno contro Rauf Mamedov(azero, numero 2 del seeding, battuto anche lui, N.d.R.), guardo la classifica e sono primo a pari merito. Dal nulla. Io non sapevo neanche come fossero premi o cose del genere, perché davvero ero andato lì tranquillo. E mi sono ritrovato con un turno improbabilissimo contro il russo Valerij Popov, in un torneo in cui c’era gente come Artemiev, Mamedov, Navara. E la prima scacchiera era Moroni-Popov, che aveva fatto anche lui un torneo fantastico. Poi fu patta e lo spareggio tecnico, avendo perso il secondo turno, non mi ha aiutato, e quindi quarto”.

Questa è la storia di tutte le cose che nascono per caso.

“Ma sì! Eravamo lì per divertirci, ero lì nel palco con le telecamere a giocarmi un Europeo. Qualche ora prima non ero in modalità ‘vinco l’Europeo’. Dal nulla invece ero lì a provare a prenderlo”.

La classifica di solito quando la guardi?

“Dipende dal tipo di torneo. Lì davvero non la stavo guardando. Mai avrei osato immaginare. Oggettivamente, se vai a un torneo e arrivi 20°-25° non ti cambia molto. Lì eravamo per divertirci e giocare partite di alto livello. Chiaro che non vuoi arrivare 100°, però quando inizi tra i primi dieci e arrivi che sei secondo, lì è stato divertente, una scena simpatica”.

Cosa pensi del tuo 2019?

“Diciamo che è stato un anno abbastanza nero, in cui ho avuto una buona crescita, ma ho poi avuto un crollo pazzesco ad agosto. Ero vicino all’ELO di 2600 e poi sono crollato in un mese. La cosa positiva di tutto questo è che ogni volta che dovevo fare un salto come, per dire, 2300-2400, avevo un crollo e poi una risalita veloce. Questo è anche dovuto al fatto che gli avversari cambiano stile. Se prima contro di me provavano a vincere, e quindi si scoprivano, adesso giocando più cauti, io che poi sono uno molto combattivo e non voglio dove tutti e due stanno tranquilli, ho fatto fatica. Sono sceso negli ultimi mesi, poi nel 2020 ho avuto il primo mese, quando ho giocato a Gibilterra, in cui le cose non sono girate benissimo, e poi sono tornato a un buon livello. Poi siamo stati fermati. È normale che quando sei lì per raggiungere un livello sia difficile ottenerlo. Quando ho fatto 2500 poi sono arrivato a 2550 in un attimo. Sono quei due-tre punti che cambiano. Tra 2498 e 2500 ci si mettono mesi e poi dopo ce ne si mettono due”.

Un po’ come quando, tra il numero 11 e il numero 10 del ranking, passa un numero che è poco e tanto insieme.

“Esattamente. Si arriva a un punto in cui non si pensa più alla mossa, ma al risultato che condiziona il punteggio. È chiaro che poi siamo lì tutti a dire di non giocare pensando ad altro, ma bisogna poi trovarsi nella situazione. La differenza, per esempio, tra un Cristiano Ronaldo che tira l’ultimo rigore e altri è che lui li segna. Può essere l’ultimo rigore della Champions League, ma lo tira sotto il sette e lo mette. Bisognerà migliorare anche in quello, perché i grandi campioni queste cose non le sbagliano”.

Scacchi e preparazione fisica: un lato che è probabilmente da molti sottovalutato, ma è importante.

“È uno degli aspetti di cui mi stavo per occupare. Volevo iscrivermi a qualche corso in palestra, ma il virus ha deciso diversamente. Volevo una macchina, avevo preso la patente. Comunque è importantissimo, perché si bruciano talmente tante calorie quando si gioca a scacchi che se non ne hai di scorta non va bene. Ho giocato un torneo dove ho perso un chilo. Recentemente ho giocato un torneo di tre ore e pesavo un chilo in meno. Poi peso 56 chili e sono alto 1.75, già sono magrissimo e perdere un chilo è tanto. È dovuto anche alle calorie che si perdono, allo stress. Quindi è importantissimo avere una buona condizione fisica, perché se no la testa non va. Durante la partita, comunque, possiamo rifornirci mangiando: mentre tocca all’altro possiamo prendere uno snack, bere caffè senza zuccheri, però il fisico è importante. Chiaramente è una preparazione diversa, perché non dobbiamo avere il fisico di un giocatore di basket o di rugby, ma ne serve uno dove dobbiamo averne fino alla fine della partita”.

In genere quanto si allena un professionista, e quali sono le differenze tra quelli con ELO 2500-2600 e i vari Carlsen, Caruana e compagnia?

“Una delle cose che caratterizzano, per esempio, gli indiani, è il metodo. Fin da piccoli hanno un metodo che è durissimo, perché è pazzesco immaginare di far studiare così tanto un bambino, e farlo anche giocare così. In Italia non avremo mai questa cultura. Diciamo che ogni persona ha una routine diversa. Uno riesce a lavorare meglio il pomeriggio o la sera, uno si sveglia alle 6. Generalmente la preparazione è sull’area teorica, parte importantissima del gioco. C’è anche la fase in cui si gioca lampo, per staccare un po’ con qualche partita d’allenamento, e poi c’è quella dei tornei, in cui si allena la parte tattica, il calcolo. Se uno gioca tutti i mesi, come un professionista in genere fa, non ha bisogno poi di allenarsi con il calcolo, perché se giochi 100 partite l’anno quello viene allenato sempre”.

Poi se c’è un match per il titolo mondiale cambiano le cose.

“Sì, lì hanno sei mesi per prepararsi. Ma hanno anche chi lo fa per loro. Non immagino Carlsen che prende un’apertura e la studia da zero. Ha qualcuno che gliela studia, gli spiega come funziona e poi lui la studia. L’aiuto che serve a uno scacchista. Per quello prendono gli allenatori, i preparatori teorici”.

Hai seguito la vicenda di Alireza Firouzja?

“Sì, è una questione delicata. O meglio, più che delicata, vergognosa, perché non può essere che, nel 2020, quando c’è un turno Iran-Israele, l’israeliano vince a forfait. Non dipende neanche dal giocatore, che viene costretto a non giocare e nello sport non dovrebbe succedere. Si dovrebbe giocare indipendentemente dall’avversario che si ha davanti. Voglio dire, se avessi un pluriomicida davanti farei le mie considerazioni, ma hai una persona normalissima davanti. È giusto che la gente, se può andarsene da queste situazioni, se ne va, perché non va bene. Bisognerebbe trovare una soluzione. Però è anche vero che se punisci gli iraniani, che di loro non c’entrano niente, non ha senso. E non va bene nemmeno per quelli che vincono, perché non vogliono vincere così. So che Alireza adesso è a Parigi. Certo, è anche brutto che la gente cambi federazione di appartenenza, però in questo caso il problema si vede e probabilmente diventerà francese”.

Questo caso, o quello di Caruana che comunque aveva la doppia nazionalità, è diverso da quelli che cambiano Paese quasi senza una logica.

“Lo fanno per necessità. È chiaro che è diverso. Bisognerebbe essere nella situazione per capire se uno ha fatto bene o male, perché siamo tutti bravi con i soldi degli altri. Però è una situazione molto diversa”.

Attualmente si stanno facendo strada molti italiani, come te, Sonis, Lodici. Quanto è importante?

“La situazione è senza dubbio migliorata, e anche in Federazione le cose sono migliorate con l’arrivo di Pagnoncelli. Sono state introdotte misure che favorivano il professionismo, come borse di studio e simili. Di sicuro è positivo per gli scacchi italiani. Adesso serve quel passo in più per tornare ad avere qualcuno come Fabiano, perché sarebbe davvero bello”.

In sostanza, servirebbe quello che arriva almeno a 2700.

“Sì, però siamo in Italia. L’Italia è capace di tutto, no? Magari non dall’oggi al domani, ma pian piano”.

Cosa c’è nella tua vita oltre gli scacchi?

“Generalmente gioco a tempo pieno, poi vedo la ragazza, ma non c’è più di tanto. Seguo il calcio, vedo la F1 quando sono a casa, guardo volentieri i GP (che ora sono diventati virtuali, ma meglio di niente). Però adesso gli scacchi sono la cosa più importante”.

Lato tecnico: con il Bianco apri spesso con il Gambetto di Donna, con il Nero usi invece vari impianti. Quali sono le tue aperture preferite?

“Con il Bianco appunto il Gambetto di Donna, ma è stata un’evoluzione. Da bambino aprivo con e4, poi sono passato a Cf3, poi all’Inglese, poi al Gambetto di Donna. Mi piace, ci sono tutte posizioni dove si gioca di tecnica. Con il nero su 1. d4 gioco la Semi-Slava, che gioco da quand’ero bambino, ma ne ho di più a seconda dell’avversario con cui gioco. Se è qualcuno più debole, cerco di cambiare per sorprenderlo. Certo, l’avversario può prepararsi con il computer e quindi non vorrei trovarmi nella situazione in cui gioco contro l’avversario travestito da computer. Voglio trovarmi nella situazione in cui io gioco contro il mio avversario in quanto tale, e sicuramente è un vantaggio rispetto a una sfida tra il “mio computer contro il “tuo computer”. Quindi cerco di cambiare, ma contro quelli più forti di me di solito gioco la Semi-Slava con b5 e su 1. e4 da un po’ ho iniziato a giocare e5″.

Hai vissuto la piena evoluzione del passaggio dagli scacchi dell’era dei soli libri a quella digitale. Quale secondo te può essere un mix giusto?

“In realtà ho vissuto molto poco il periodo prima dei computer, perché già avevano preso piede. Ho iniziato a giocare a 6 anni, ma è chiaro che a quell’epoca non studiavo teoria. Anni dopo è iniziata la vera preparazione teorica seria. Prima si imparavano due cose base su che aperture giocare. Diciamo che c’è gente che critica, ma alla fine gli scacchi sono migliorati, perché se prendiamo le partite dei Campioni del Mondo precedenti alcune sono sbagliate, o comunque alcune sono meno precise. Se prendiamo Carlsen, è colui che gioca nella maniera più precisa di tutti. Se andiamo a vedere dal punto di vista del gioco, è migliorato. La preparazione fa parte di questo gioco, ormai è diventata molto più seria e quindi bisogna adattarsi, ma fa parte del gioco. Evolve e noi dobbiamo andare di conseguenza”.

Quali sono stati i tornei i tornei cui sei stato più felice di aver partecipato?

“Porto Mannu, perché i tornei al mare sono bellissimi, con la spiaggia, il bar la sera. Ad agosto si va a mare e quei tornei sono i più apprezzati. Anche se ho giocato anche a Bratto e Spilimbergo, che non sono al mare, ma nei quali mi sono comunque divertito. Quand’ero più piccolo c’era Porto San Giorgio, in cui s’incontravano un po’ tutti i ragazzini di tutte le parti d’Italia ad agosto. E poi i Campionati Italiani giovanili, si incontravano di nuovo gli amici di altre regioni che durante l’anno hanno un altro tipo di vita. Poi ci sono tornei all’estero che mi sono piaciuti tanto. In Qatar è stato bello. Anche perché avevamo l’albergo del PSG, quindi è stato bello trovarsi Ibrahimovic in ascensore, perché avevano un’amichevole con l’Inter e alloggiavano nell’albergo dove io e Rambaldi avevamo prenotato per caso, perché era uno degli alberghi 5 stelle qualsiasi di Doha, perché sono tutti 5 stelle. Abbiamo avuto il PSG per qualche giorno“.

Si saranno prosciugate le finanze…

“Diciamo che la Federazione ci ha dato una grossa mano, anzi ci aveva aiutato tantissimo. È stato un investimento importante. Chiaramente il Qatar non era economico, noi da comuni mortali andavamo al supermercato, ce n’era uno grandissimo e cercavamo delle cose economiche perché avevamo 15 anni. Però mangiavamo abbastanza bene. Diciamo che è chiaro che non è il posto più economico dove giocare. Il torneo era molto forte, c’era anche Carlsen. È stato il primo torneo di livello che abbiamo fatto sia io che lui. Giocavamo sempre nelle ultime scacchiere perché era fortissimo. È stato bello”.

Qual è il tuo mix personale del giocatore ideale, prendendo in considerazione le varie fasi del gioco?

“Da piccolo mi piacevano un sacco i finali di Capablanca. Se dovessi prendere un giocatore, Kramnik. Dal lato teorico prenderemmo Giri, ma in questo momento più Fabiano. Chiaramente Anish è molto ben preparato, ma in questo momento sembra che Fabiano con il Bianco sia una spanna sopra tutti. Prendendo il lato tecnico Carlsen, ma quello lo si potrebbe dire in qualsiasi fase di gioco. Però sarebbe banale. Fabiano con il Bianco. Kramnik mi è sempre piaciuto tanto per il suo lato tecnico”.

Cosa pensi del fatto che, in caso di parità, il match per il Campionato del Mondo si decida a cadenza rapida?

Il criterio di spareggio giusto non c’è mai. A calcio, per dire, si arriva ai rigori e pure lì è una lotteria. Non puoi però giocare la finale di Champions League e, se si pareggia, farne un’altra. Teoricamente sarebbe la cosa più logica, ma se uno ci pensa quella veramente più logica sarebbe giocare a oltranza. Chiaramente non è fattibile per tempistiche. Un criterio ci dev’essere, non c’è la monetina. I rapid fanno parte del gioco, così come a calcio chi tira meglio i rigori fa parte del gioco alla fine, a scacchi è così. Il basket da questo punto di vista è più fortunato, perché già è raro che si vada al terzo supplementare e ancor più raro che si sia in pareggio anche lì. Nel nostro caso uno spareggio con le rapid sembra onesto, perché fa parte del gioco. 12 partite andavano comunque abbastanza bene, ma anche le 14 decise da poco vanno bene”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Ezio Vallini

1 Commento

  1. OLIMPIONICO

    27 Maggio 2020 at 14:38

    Gli Scacchi restano un GIOCO non uno SPORT ! Questo nonostante l’ iscrizione al CONI. Non si hanno notizie di scacchisti capaci di prestazioni atletiche: e’ piu’ comodo stare seduti.

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