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Lucrezia Colombotto Rosso, golf: “Alle Olimpiadi voglio giocarmela. Questo sport ha tanti costi a inizio carriera”

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L’anno scorso è balzata agli onori delle cronache prendendosi di forza un posto da qualificata per lo US Women’s Open, il primo Major della sua vita. Lucrezia Colombotto Rosso, però, non è soltanto questo: a 24 anni sta cercando di scalare le gerarchie del golf femminile. Aveva anche iniziato molto bene la stagione, prima che lo stop per l’emergenza sanitaria bloccasse il circuito europeo, nel quale lei concorre abitualmente. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per un’intervista in cui ci ha parlato dell’interruzione, del suo 2019 e di numerose tematiche legate a uno sport che, in Italia, può certamente avere uno spazio migliore di quello che attualmente ha.

Come hai vissuto l’interruzione sul piano sportivo?

“È stato molto difficile, nel senso che ho dovuto organizzarmi per allenarmi in casa, quindi mi sono dovuta procurare una rete, sistemare un po’, avere l’attrezzatura per poterlo fare. Sono arrivata quando stavano chiudendo tutto, e negli ultimi giorni ho dovuto comprare tutto rapidamente perché Amazon non consegnava più e sono successe varie cose. Però per fortuna posso allenarmi all’interno”.

Per quanto può essere limitante, almeno quello è meglio di niente.

“Si può lavorare un po’ di più sulla tecnica. Ovviamente non vedi il volo della pallina, però ti puoi comunque allenare un po’ “.

Quali sarebbero stati i tuoi programmi per quest’anno senza lo stop?

“Dopo il Sudafrica, dove mi hanno fermato, sarei andata in Arabia Saudita, poi aprile sarebbe stato più tranquillo e da maggio in poi non avrei avuto una settimana di stop. Fino a ottobre sarei stata in giro tutte le settimane”.

Con al massimo una-due settimane di stop, pause estemporanee.

“C’era un mese di pausa ora, ad aprile, e poi piena stagione”.

Ed era un anno che stava prendendo una bella piega, con il settimo posto in Sudafrica, dove sei rimasta in lotta per la vittoria molto a lungo.

“Fino alla 14 dell’ultimo giro. Poi mi sono emozionata un attimo e purtroppo non sono riuscita a finire bene. Però ho finito prima del lockdown con fiducia”.

A proposito di buone sensazioni, venivi da un ottimo 2019 in cui avevi fatto una bella scalata e soprattutto eri riuscita a qualificarti per lo US Women’s Open.

È stato pazzesco. Ho iniziato il 2019 in modo un po’ tentennante, non stavo giocando benissimo. Avevo belle sensazioni, ma non riuscivo a fare score, poi mi sono qualificata per lo US Open. Non è andato benissimo, anche perché ero emozionata e non m’era mai successo. Sono una non molto emotiva, però lì mi sono emozionata. Tiravo 20 metri più lunga dall’adrenalina. Arrivavo in posti dove non dovevo giocare, ad esempio il drive lo tiravo più lungo e arrivavo in dei punti in cui mi dicevo che non ero nemmeno io. Non riuscivo a controllare niente. Sembrava che non avessi mai giocato a golf, però è stata un’esperienza bellissima”.

Anche perché si tratta di un salto rapido in un mondo completamente diverso.

“Però alla fine quell’esperienza mi ha dato da una parte una mazzata, dall’altra la consapevolezza di non essere così distante per arrivare al gioco che hanno loro, a quel livelli lì. Tu pensi ‘ah, son dei mostri’, e invece no: sbagliano anche loro. Solo che lo affrontano in modo migliore. Le coreane sono passive, non hanno nemmeno un’emozione, nella loro anticamera del cervello non passa niente, lo vedi che sembrano veramente così. Però non è impossibile. Infatti lì mi è scattata la molla e da metà stagione in poi sono andata benissimo, ho fatto 8 top ten su 12 gare, che sono tantissime”.

Così è arrivato il terzo posto nell’Access Ranking del Ladies European Tour.

“Esatto”.

Dicevi delle coreane: hanno un settaggio mentale che è impressionante.

“Infatti ce ne sono tantissime fortissime e sono nelle prime venti. Non so se è la loro cultura, o se le preparano fin da bambine a essere così, però sono veramente quasi delle macchine, dei robot”.

Fra l’altro nella qualificazione per lo US Open non avevi una caddie qualsiasi, ma Diana Luna.

“Lei è diventata responsabile della squadra femminile pro. Aveva chiesto l’autorizzazione alla Federazione se poteva accompagnarmi. Io ho sempre avuto un bel rapporto con lei, mi alleno ad oggi sempre con il maestro che l’allenava. Mi ha chiesto ‘Cosa ne pensi se vengo su con te?’, io ho sempre mio papà che fa da caddie normalmente, però le ho detto ‘Sì, dai’. Ed è un aiuto incredibile, anche perché con il percorso che ha avuto lei in certi momenti uno si fa prendere dall’adrenalina, magari vuole essere più aggressivo. Invece lei dice ‘No, gioca a centro green, così fai due putt, non importa’. Io sono una che a volte si fa prendere dall’adrenalina e a volte anche con un legno 5 vorrei tirare in asta. Lei invece mi ha detto che esiste una parte più di sicurezza, perché comunque se prendi sempre il green, fai due putt e vai alla buca successiva”.

Anche con le altre italiane sul tour hai buoni rapporti?

“Sì, pur se abbiamo i nostri diversi punti di vista. Per esempio Stefania Avanzo: viaggiavo con lei, solo che poi come ritmi non abbiamo gli stessi. Io preferisco giocare molto presto al mattino, lei dormire un po’ di più. Sono ritmi un po’ diversi. Quindi alla fine mi sono organizzata in altri modi. Però ho buoni rapporti, non posso parlar male di nessuna”.

Ricordi il secondo posto del 2014 allo European Junior Team Championship?

“Sì, ovviamente. Sono emozioni che non si scordano. È stato incredibile. Le francesi ci hanno bastonate, avevano vinto tre match, poi nei singoli avevamo giocato meglio, ma comunque sono emozioni incredibili, come quelle di rappresentare il tuo Paese”.

Tu sei stata, dopo 26 anni, la prima a vincere il campionato italiano sia nello stroke play che nel match play. Tu quale dei due preferisci?

“Io preferisco lo stroke play, perché mi reputo molto consistente. Non ho molti alti e bassi. Però il match play per il carattere che ho mi motiva ancora di più. Sarei un po’ indecisa, però un po’ di più lo stroke play”.

Sono poi due golf completamente diversi: in un caso competi con te stessa, nell’altro con l’altra persona.

Però giochi sempre tu stesso contro il campo. Diventi un po’ più aggressivo come gioco, e io che sono una molto calma, riflessiva, a volte sullo stroke play mi dico di fare due putt e andare alla prossima buca, invece nel match play puoi tirare, non hai niente da perdere”.

La tua descrizione di te stessa, quasi di una pensatrice sul campo, farebbe quasi pensare a una scacchista.

“Esatto. Bisogna sempre avere un po’ di strategia. Il golf è molto di testa. Tutti sanno tirare la palla, però chi vince è quello più lucido mentalmente, perché devi esserlo durante cinque ore, ogni colpo, fino all’ultimo”.

Cinque ore, quattro giorni, sette chilometri al giorno.

“Più le due prove campo, in cui devi essere lì vicino per vedere i posti giusti dove andare”.

Hai mai pensato di andare negli Stati Uniti?

“Sì. Tre anni fa avevo fatto le qualifiche in America, volevo provare a giocare sul Symetra Tour. Però sono andata per fare esperienza, vedere come funziona, come sono le cose. Non avevo però il gioco e la mentalità di adesso. Oggi fisicamente e tecnicamente mi sento meglio, ho più fiducia in me stessa. Quando sono andata lì mi dicevo che ero corta, e invece non era così. Anzi, negli ultimi anni ho preso 15 metri, e cambia molto. Lì poi cambiano i campi, anche quando riprendo le mappette di certi campi di tre anni fa in cui giocavo e guardo le misure che ho adesso cambia molto. Però tante ragazze europee vanno a giocare sul Symetra, anche mie amiche e giocatrici che hanno vinto sul tour europeo, che vanno in America. Dev’essere anche una questione di piacere di vivere dall’altra parte, perché non è facile. Questo già è uno sport dove viaggi da solo e molto, sei sempre fuori casa. Andare anche a vivere di là, con un’altra cultura, non è da tutti“.

Sono due sforzi in uno, dato che cambia anche la mentalità.

“Esatto, e devi avere anche dei buoni sponsor, perché devi affittarti la casa, dato che se non sei americano devi fare così, devi affittarti un caddie e via dicendo. Alla fine i costi diventano il doppio”.

Alla fine dei conti finisce per essere meglio fare la scelta di vita di, per esempio, Giulia Molinaro, benché lei abbia un percorso diverso.

“Lei è sempre stata in America, ha fatto il liceo e l’università lì”.

Fra l’altro sono sempre di più quelli che scelgono di andare in America, e non solo nel golf, come percorso formativo.

“Ad esempio quando ho fatto la scelta tra passare professionista o andare negli States ho preferito rimanere di qua. Tante vanno all’università per cercare di imparare l’inglese, io fortunatamente penso di parlarlo bene e l’ho studiato moltissimi anni, perché facevo la scuola americana. Allora mi son detta che andare di là, dove magari capiti in una squadra in cui non giochi (perché lì ci sono qualifiche tutte le settimane) se ti prendono male, perché non stai giocando benissimo, non ti fanno giocare per anni. O puoi stare ferma, o capiti in una squadra in cui il coach non è un giocatore di golf, ma un ex di basket che sì, può aiutarti mentalmente, ma ti devi comunque trovare lì un altro maestro. Devi essere molto indipendente. A quel punto ho preferito passare pro e farmi l’esperienza“.

Adesso che è tutto fermo, su quali aspetti tecnici del gioco stai lavorando?

“Sto lavorando molto sullo swing, e anche sulla preparazione fisica, adesso che ho un po’ più di tempo. Fisicamente bisogna sempre continuare a lavorare, magari adesso puoi fare dei lavori un po’ più sugli sforzi. In gara sei talmente stanco che magari fai solo più stretching o esercizi di corpo e non fai pesi, cose più forzate, di resistenza o cose così”.

Quest’anno sul tour europeo ci doveva essere una cosa molto valida come idea: lo Scandinavian Mixed ospitato da Henrik Stenson e Annika Sorenstam. Tu come la vedevi come idea?

“È un’idea molto buona. Ad esempio, l’anno scorso ne hanno fatta una in Giordania, con insieme Senior Tour, Challenge Tour e Ladies European Tour”.

In questo caso avrebbero fatto un passo in più a livello promozionale.

“Ovviamente questo avrebbe dato molta più visibilità alle donne, e non ne abbiamo tanta. Competere con i maschi è una bella sfida“.

Potrebbe magari anche diventare una consuetudine nel futuro, nonostante i tanti possibili ostacoli, di ordine economico e di altro genere per organizzare contemporaneamente anche un torneo femminile.

“Devono avere anche gli spazi e le strutture per farlo. Ad esempio in Marocco funziona benissimo. Non è mista come gara, però ci sono i maschi su un percorso e noi su un altro. Alla fine ci ritroviamo tutti insieme. Non competiamo per lo stesso montepremi, però è una bella organizzazione”.

Ultimamente stanno cercando di migliorare le cose in questo senso anche i Major maschili, anche se a livelli un po’ diversi. Ad esempio il Masters ha la gara femminile amateur.

“Che non esisteva quando ho iniziato io. Sono passi che stanno facendo per valorizzare di più il golf femminile, e trovo che funzioni, perché da molta più visibilità alle ragazze, che prima non c’era”.

A livello internazionale, se Tiger Woods lo conoscono tutti, già un nome come quello di Annika Sorenstam è più noto agli addetti ai lavori.

“Non tutti sanno chi è”.

Peraltro lei ha cercato di competere con i maschi.

“Ma anche Michelle Wie, in un open alle Hawaii ha anche passato il taglio. Ha giocato il Monday Qualifier del PGA Tour e ha passato il taglio”.

Che è una cosa sottovalutata, ma date le differenze esistenti tra uomini e donne è già qualcosa.

“Infatti in Svezia avevano problemi per mettere i tee al punto giusto per avere lo stesso rapporto. È ovvio che dove un uomo tira il ferro 4 una donna tira un legno 3. Raramente si è visto un uomo che, per prendere un par 5 in due, prende un legno 3, per dirne una. Ha quasi sempre dei ferri in mano. Una donna è quasi sempre con il legno 3 in mano. E poi un anno mi aveva raccontato Davide Lanto che avevano fatto un torneo in cui le misurazioni delle donne le avevano fatte identiche a quelle dei maschi, per avere gli stessi ferri, ed è successo un casino mediatico: dicevano che avevano fatto il campo troppo facile, han vinto con -22, ‘non è possibile’, avevano fatto il campo dei Puffi. Devono fare attenzione anche a quello”.

Quali sono state le persone per te più importanti nel percorso di formazione da golfista?

“Mio padre. Ho la fortuna che mi segue molto ed è con me anche agli allenamenti, riesco a portarlo con me. Il mio maestro, Roger Damiano. Mia madre e mia sorella, che mi sopportano e aiutano nei momenti difficili. Soprattutto la famiglia, moltissimo”.

Quali sono i giocatori e le giocatrici che ti ispirano di più?

“Sicuramente il mio idolo è Lauren Ochoa, perché lei è riuscita a raggiungere in sei anni il suo sogno di raggiungere il suo obiettivo di numero 1 al mondo e ha detto ‘arrivederci, grazie, ho lavorato come una matta, ho fatto quello che volevo riuscire a fare, ho mantenuto quella posizione per 158 settimane’. È un idolo, è pazzesca. E poi Tiger, soprattutto in questo momento. Con tutta la pressione mediatica che ha avuto, con tutti quelli che dicevano “ah, tanto non tornerà mai”, la grinta che ha avuto per tornare… sono fenomeni, persone fuori dal mondo. Umani, attenzione: non è che è una cosa irrealizzabile, hanno pure loro due gambe e due braccia, ma è mentalmente che hanno una forza incredibile”.

Parlavamo del golf in Italia: sta cercando di smuoversi già a livello maschile, mentre a livello femminile la situazione si è fatta un po’ difficile, anche perché è complicato dire a una ragazza italiana, tra le mille scelte, che può giocare a golf e anche bene.

“Quello è chiaro, però più che altro bisogna avere la fortuna di avere tanti sponsor e di avere molta visibilità già quando sei amateur, così quando passi professionista hai una base dietro, perché gli spostamenti costano cari allo stesso modo degli uomini. Costa tutto uguale. Lo chiamano Ladies European Tour, però devi farti un mese in Australia. A volte te ne devi andare in albergo, devi pagare la macchina, se non hai 25 anni hai un problema di assicurazione, ti partono già solo di quella 500 euro. È un bel carico. All’inizio ti pesa, perché non hai tante entrate e o esplodi subito, perché sei un fenomeno, oppure io che sono una che metto mattonella per mattonella e per ogni anno cresco costantemente all’inizio dicevo ‘mamma mia’. Al secondo anno sul tour su 8 gare ho superato 5 tagli, però rimanevo sempre cinquantesima, sessantesima. Sono andata fino in Thailandia e ho guadagnato 680 euro. Non mi pago nemmeno il volo“.

Sotto una certa quota il pareggio rischi di non raggiungerlo, è sempre una situazione economica di rischio.

“I primi anni sono veramente da investimento e non devi guardare i costi, però lo sai perché due conti in tasca te li fai prima di partire per la stagione, poi decidi quali gare fare e quali no”.

Infatti il problema del coronavirus, per molti, è questo: siamo sicuri che alcuni potranno ripartire?

“Esatto. Anche perché i voli costeranno il triplo. Se non possono caricare gli aerei e fanno entrare solo metà delle persone, comunque la compagnia aerea deve guadagnare. Magari iniziano a fare più gare in Europa, dove ti sposti in macchina”.

E lì possono capitare dei viaggi da raccontare.

“Sì, te li fai in due giorni, ma sai che arrivi insieme alla sacca, perché a volte hai anche quel problema lì. Devi cercare di evitare gli aeroporti e prendere i voli diretti, che ti costano di più, ma almeno la sacca arriva”.

In macchina però ne può anche capitare un’altra: finire senza benzina…

“Esatto!” (ride).

Quali sono i tuoi obiettivi futuri?

“Quest’anno erano le Olimpiadi, ma sono state spostate al 2021 e non si sa nemmeno se anche l’anno prossimo le faranno. Poi di finire almeno nei primi 30 posti del Ladies European Tour”.

A proposito delle Olimpiadi, con la tua crescita nel corso dell’anno stavi arrivando vicina a guadagnarti la chance a cinque cerchi.

“Dovevo vedere anche come sarebbe andata la stagione. Però avendo giocato molto bene a fine stagione, tutti i punti li ho presi lì, quindi scalerebbero tutte quelle che hanno guadagnato. Però non è una cosa che mi preoccupa, nel senso che se ci andrò, lo farò per competere per una medaglia. Preferisco non giocarle e farle tra un po’ di anni, sapendo di essere pronta al 100%, sapendo di essere lì, per vincere una medaglia. Sì, è una bellissima esperienza partecipare, però anche competere e soprattutto vincere una medaglia è un bel sogno nel cassetto”.

L’anno prossimo poi sarebbe un anno un po’ particolare, perché ci sarebbero sia le Olimpiadi che la Solheim Cup.

“Vedremo cosa succederà. Tutto dipenderà da quando riprenderanno le cose. Io non voglio essere pessimista, ma in termini di ripartenza noi teoricamente ce l’avremmo a luglio, e prima era giugno, però non penso ci si riuscirà prima di settembre. D’altronde in Italia il basket ha già cancellato la stagione. Per noi lo US Open l’hanno messo a dicembre, l’ANA Inspiration è stato spostato anche quello, si sarebbe dovuto giocare ora”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Ladies European Tour

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