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Martina Spinelli, basket femminile: “Sto valutando di andare a giocare al college negli USA. I due ori europei Under 16 e Under 18 non li realizzo ancora”

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Una prima volta in Serie A1 a 6 punti e 2.8 rimbalzi, con un valido spazio all’interno delle gerarchie di Costa Masnaga, è il biglietto da visita di Martina Spinelli nell’universo che conta del basket italiano. Il suo nome è già legato a successi importanti, poiché fa parte di quell’annata 2002 che ha vinto due Europei in altrettanti anni consecutivi, Under 16 prima e Under 18 poi. A campionato ormai abbondantemente concluso, l’abbiamo raggiunta per un’intervista telefonica nella quale ha parlato non soltanto dell’annata 2019-2020 e del suo percorso cestistico, ma anche di possibili futuri sviluppi di una carriera che potrebbe parlare non solo italiano.

Come hai vissuto lo stop e tutto quello che è successo?

“È stato difficile, perché a livello giovanile arrivavano le ultime partite del girone regionale, e poi ci sarebbero stati gli interzona e le finali nazionali. Puntavamo in alto, è stato un dispiacere grande. Stessa cosa con la Serie A1, in cui arrivavano subito le partite più importanti per la salvezza. Vista la crescita durante l’anno sapevamo di dover fare bene e ancora dimostrare tanto, nonostante la nostra giovane età. Dimostrare, in pratica, che ce l’avremmo potuta fare, anche se con l’esperienza eravamo migliorate tanto rispetto all’inizio dell’anno”.

Costa Masnaga era una squadra giovane, che però stava pian piano riuscendo a inserirsi nella Serie A1, che è per forza di cose diversa dall’A2.

“Io personalmente trovo tanta differenza, ma è più che normale. All’inizio, essendo una squadra molto giovane, abbiamo fatto fatica, poi abbiamo preso un po’ il ritmo, ci siamo adattate anche al livello fisico dell’A1, che è molto diverso da quello dell’A2, e dopo neanche un mese si era già visto un salto di qualità rispetto all’inizio dell’anno. E quindi è stato un dispiacere a maggior ragione, perché sarebbe stato bello continuare il lavoro iniziato a settembre”.

Fra l’altro con parecchie vittorie importanti tra quelle necessarie per cercare la salvezza.

“Diciamo che le partite che serviva vincessimo siamo riuscite a vincerle più o meno tutte, però era solo una parte. Mancavano partite importanti che erano proprio a fine campionato, per quello sarebbe stato bello giocare con squadre come Battipaglia, Empoli, il derby contro il Geas”.

E con il Geas sarebbe stato quasi un derby tuo personale.

“Sì, perché ci ho giocato due anni prima di andare a Costa, quindi è un’emozione rientrare in quel palazzetto e giocarci contro”.

Come riesci a conciliare lo sport con lo studio?

“Faccio il Liceo Artistico, sono al quarto anno. È difficile, perché la scuola richiede tanto tempo e impegno, e la stessa cosa vale per il basket, ancor più quest’anno con l’A1. Serve tanta organizzazione. Se riesci ad organizzarti bene, alla fine risolvi bene. Poi il sacrificio, nel senso che io sono lontana da Costa, per andare ad allenarmi ci metto sempre un’ora e un quarto, e di conseguenza torno un’ora e un quarto dopo. Quindi mi trovavo fuori da scuola ad andare direttamente in palestra, e alla sera, dopo l’allenamento, stare su fino alle 2-3 di notte per studiare per il giorno dopo. Però sono sacrifici che ci fanno. Se ci tieni ci credi, ed è un qualcosa che si può fare”.

Anche se poi adesso le cose a livello scolastico sono diventate piuttosto complicate, stante l’attuale situazione. Quanto è complesso studiare in questo modo, da lontano?

“Di sicuro non è bello. Devo però dire che per quanto riguarda la mia scuola sta andando bene, nel senso che magari ci sono situazioni di difficoltà in altre scuole, anche a livello di mezzi. Qualcuno può non avere il computer. Per quanto riguarda me, la mia scuola sta comunque facendo un ottimo lavoro, stiamo andando avanti col programma. Si fanno cose in modo diverso rispetto a quelle che si farebbero in classe, però siamo riuscite a portare avanti bene il lavoro”.

Prima ancora del Geas, come hai cominciato con la pallacanestro?

“Io sono nata a Bernareggio, nella squadra maschile. Fin da piccola ho sempre giocato lì, e finché ho potuto l’ho fatto, perché credo che sia una preparazione totalmente diversa. Anche nell’impatto con il femminile, forse, avevo qualcosa a livello tecnico che nel femminile non si apprende molto. E poi Bernareggio mi ha fatta crescere tanto e devo loro moltissimo. Quando torno in palestra, che è vicino casa, magari vado a trovarli, a vedere le partite della Serie B come se fossi una di loro. È rimasta una sorta di seconda famiglia. Poi ho alternato gli ultimi anni della maschile facendo un campionato con la femminile, con il Milano Basket (?!? chiedere), dove in realtà facevo solo le partite. Poi, quando mi sono dovuta per forza staccare dalla squadra maschile, sono andata al Geas e poi qui a Costa”.

Bernareggio che, peraltro, è dove vanno a finire molti che hanno giocato nel settore giovanile dell’Olimpia Milano.

“Sì, perché hanno fatto per più di un anno l’accordo con il quale, avendo la Serie B, è un buon livello per i giovani per iniziare ad approcciare il mondo senior”.

Passando alla Nazionale: esordio nel 2017 nelle grandi manifestazioni giovanili, poi nel 2018 e 2019 doppio titolo europeo.

“Sì, è sempre una grande emozione. Il mio primo Europeo ero stata un po’ anche colta di sorpresa, nel senso che non mi aspettavo di essere convocata, quindi è stato ancora più emozionante. E poi siamo anche arrivate al terzo posto, quindi anche lì è stato un impatto bello forte fin dall’inizio. Poi nel 2018 la vittoria agli Europei Under 16, che penso di non aver realizzato così come quella dell’Under 18 l’anno scorso. È un mix di emozioni che faccio probabilmente ancora fatica a metabolizzare. Non so quando mi renderò davvero conto di quello che abbiamo vinto. E vale lo stesso per i Mondiali, dove anche senza aver vinto una medaglia siamo arrivate quinte nel 2018, un gran risultato. E poi scontrarsi contro Stati Uniti e Australia è un altro mondo”.

Quinte trovando l’Australia nei quarti. Chissà cosa sarebbe stato trovando un’altra squadra…

“Esatto. Siamo arrivate quinte e nemmeno ci è andata molto bene, quindi avremmo potuto fare anche meglio”.

Anche perché Stati Uniti e Australia ormai sono le due scuole principali.

“Nell’annata 2001 anche la Francia era molto forte. Già l’avevamo incontrata agli Europei del 2017. Però Stati Uniti e Australia sono sempre due punti fissi nella parte alta della classifica a livello mondiale”.

Tornando agli Europei, li avete giocati in luoghi che hanno una certa storia, perché a Kaunas avete giocato nell’ex palasport dello Zalgiris e a Sarajevo nell’arena intitolata a Mirza Delibasic, che peraltro è stato spesso vuoto eppure si sentiva che aveva un vissuto.

“In ogni caso è comunque un’emozione, perché per come noi siamo abituate in Italia non abbiamo grandi palazzetti, e purtroppo neanche tanto pubblico. Giocare in palazzetti storici, grandi, con tanti tifosi soprattutto, è molto bello. Quando abbiamo disputato i Mondiali a Minsk abbiamo giocato contro la Bielorussia, in casa loro. C’erano i militari tutti a tifarci contro, ma è una carica secondo me in più, e sentiamo molto la differenza”.

Concentrandoci sul 2019, la cosa più impressionante dell’Under 18 è che ha vinto con otto 2002 contro squadre con molte più 2001. A volte non ci si rende conto di quanta possa essere la differenza tra un anno in più e uno in meno a 17, 18 anni.

“La differenza è tanta fisicamente. Poi noi italiane siamo piccole rispetto alle altre squadre, però alla fine la voglia di vincere che avevamo dentro sia di noi 2002 che delle 2001 sovrastava tutto, fisicità e tecnica. Nonostante fossimo davvero una squadra piccola magari è stato anche qualcosa a nostro favore, perché magari qualcuno ha sottovalutato la partita contro di noi, pensando proprio al discorso dell’età. Invece abbiamo fatto vedere che è un po’ diverso, e ce l’abbiamo fatta a vincere“.

Infatti, finale a parte, l’Italia ha dato 20 punti abbondanti a quasi tutte.

“Sì, non ce l’aspettavamo. Almeno io no. Sapevamo che potevamo far bene, eravamo una squadra forte, ma dare 20 punti a tutte non lo pensavo. È stato bello, soddisfacente”.

Poi però non c’è stata soltanto la Nazionale giovanile, perché qualche volta hai avuto a che fare con il progetto Ragazze in tiro di Marco Crespi quando era allenatore della maggiore.

“Facevamo, solitamente una volta al mese, un ritiro di un paio di giorni, dove ovviamente si lavorava sempre sul tiro. Era un’esperienza diversa, perché si affrontava con uno spirito differente. Molto bella, un’esperienza nuova, mai fatta, quella di fare 2-3 allenamenti sulla tecnica è una cosa che serve sicuramente perché ovviamente, durante i raduni normali per Europei o Mondiali ci si cerca di concentrare più sull’aspetto di squadra. Sono stata fortunata ad avere l’opportunità di affrontare quell’occasione di un paio di giorni, di poter lavorare sul tiro, di potersi confrontare con Crespi, di avere a disposizione un numerosissimo staff tra medici e nutrizionisti, potendo così anche chiedere loro informazioni”.

Non ti sei cimentata soltanto con il basket normale, ma anche a livello di Nazionale 3×3 con l’Under 18.

“Sì, l’anno scorso ai primi di agosto a Rieti ho fatto le qualificazioni per gli Europei. È stato bello, diverso. Non avevo mai giocato nel 3×3 quindi non sapevo cos’aspettarmi. Mi ero vista un po’ di partite, poi frequentando Giulia Rulli che aveva vinto i Mondiali la seguivo un po’, quindi sapevo a grandi linee come fosse, ma non l’avevo mai provato davvero. È stato diverso sia l’allenamento che anche il gioco, che è molto più veloce. E’ stato bello, una bella esperienza. Purtroppo non ci siamo qualificate, però è una cosa che mi porto dentro e spero che possa ripassare un’altra occasione”.

Sei d’accordo con l’affermazione per cui sembra un altro sport rispetto al basket normale?

“Sì, può sembrare brutto da dire che non c’entri niente, ma è così. È un altro mondo, un gioco diverso di velocità, tattica, sorprendere l’avversario. Se sbagli non puoi perdere tempo a rimuginare, ma devi subito provare a recuperare il pallone”.

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

“Spero di andare avanti con la carriera del basket, voglio farne la mia professione fino a quando potrò. Sto valutando bene di andare a giocare negli Stati Uniti, al college, ed è una scelta importante. Si spera magari anche di tornare in Eurolega, che sarebbe una grande cosa, e poi il sogno di tutte le giocatrici, la WNBA, però penso sia normale sognare qualcosa di questo genere. Per quel che riguarda l’università, sto avendo diverse richieste. È una scelta difficile, bisogna pensarci bene, perché si va per quattro anni dall’altra parte dell’Ocean e non è una scelta proprio banale. Credo che là abbiano una mentalità diversa, una concezione di sport del tutto differente che in Italia, ma anche in Europa non si abbia. Devo dire che la loro mentalità mi attira parecchio, quindi c’è la forte possibilità che io vada di là”.

Lì poi c’è un discorso di studenti prima, atleti poi. Students-athletes.

“In America c’è una concezione diversa. Ci tengono molto allo studio, ma non creano il tuo programma. Con i tutor si capisce qual è la scelta migliore da fare, così da portare avanti bene sia lo sport che lo studio, perché per loro è importante davvero tutto. Si vede anche da quanto è seguito il fatto che lo sport sia importante”.

Questo tuo pensare al mondo americano ti ha portata anche a sentire qualche ragazza che già sta dall’altra parte dell’Oceano?

“Personalmente no, però ho ascoltato diverse interviste di giocatrici che sono andate di là per vedere magari anche le cose più banali, come lo stile di vita, che però sono quelle cose che se non raccontate da una persona che le ha vissute non le riesci a capire. Poi anche tramite il mio allenatore, che conosce una ragazza che ha giocato lì, ho avuto alcune informazioni. Quindi ne sto ricavando, anche se non direttamente”.

A livello cestistico a chi ti ispiri, se hai un modello?

“In realtà non ce l’ho un giocatore o una giocatrice a cui mi ispiro. Da sempre preferisco guardare diverse giocatrici e diversi giocatori e prendere magari le diverse caratteristiche. Non mi piace tanto basarmi su uno o una, preferisco prendere nel complesso”.

Quest’anno hai avuto l’opportunità di giocare con dei personaggi non da poco.

“Quello sì, è importante, confrontarsi con giocatrici con tanta esperienza è la cosa più importante per noi giovani. Quindi basarmi su una la vedo come una scelta che è un limite, nel senso che voglio avere una visione un po’ più ampia”.

L’anno prossimo resti a Costa?

“Sì, penso di sì. Bisogna vedere come evolve la situazione, nel senso che con questo virus è un casino. Quando si capirà qualcosa, verso l’inizio del campionato, ci si penserà”.

Quest’anno effettivamente sarà tutto problematico perché ci saranno tante questioni in arrivo, molto più grandi del puro fermarsi.

“Infatti non sappiamo ancora nulla. Vedremo. Ho letto che c’è la possibilità che si ricominci anche a gennaio, ma non abbiamo davvero certezze”.

Peraltro tu hai giocato a porte chiuse, e non dev’esser stato bello.

“La partita contro Ragusa, per di più in casa, che ha fatto anche più male. Noi siamo abituati a Costa ad avere tanto pubblico, anche se il palazzetto è piccolo, che ci sostiene. Quindi giocare in casa e vedere gli spalti vuoti è stata dura. È difficile non avere nessuno lì che ti incita, ma anche giocare fuori casa, avere il tifo contro a me gasa tantissimo, mi da ancora più energia quando fanno i cori contro. Andare lì a porte chiuse è molto difficile”.

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Credit: Ciamillo

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