Rugby
Sara Tounesi “Il rugby mi ha salvato la vita, sarei diventata una delinquente. Prendevo a pugni i razzisti”
La terza linea del Colorno e punto fermo dell’Italdonne Sara Tounesi racconta in un’intervista esclusiva a OA Sport come sta vivendo questo periodo di stop dello sport a causa dell’emergenza sanitaria e racconta la sua vita, non sempre facile, e quell’amore esploso di colpo per il rugby.
Sara, prima domanda. Come stai, come stai vivendo questa emergenza e com’è la tua giornata tipo in questo difficile periodo?
“Sto bene, molto bene, grazie! Sono rinchiusa in casa, da sola, perché la mia famiglia vive a Cremona e mia mamma fa l’operatore sociosanitario. Quindi ho deciso di stare qui sola per non correre rischi. Ho cercato di mantenermi attiva, perché mi conosco e c’era il forte rischio che vincesse la pigrizia”.
Hai trovato un metodo particolare per battere la pigrizia…
“Con l’aiuto della Fir ho lanciato l’idea di allenarmi in video con altre ragazze in tutta Italia. È stata una figata pazzesca, ho conosciuto tantissimi ragazzi e tantissime ragazze e mi stimola molto ad allenarmi, potendolo fare ogni giorno con qualcuno di diverso. Ora mi prendo il weekend libero, ma prima facevo 7 su 7, anche grazie a Gina (Paola Zangirolami, ndr) che ripubblicava tutto, e Leila Pennetta che mi ha aiutato con il Comitato Sud. La mattina invece faccio volontariato con le altre ragazze, cerchiamo di aiutare la comunità, anche perché stare a casa è noioso”.
Oltre al rugby nella vita cosa fai, o cosa facevi prima dell’emergenza?
“Io normalmente lavoro in ufficio, con il Colorno, e mi occupo anche di un progetto di rugby per bambini. Dovrei studiare (Lingue e Letteratura straniera, ndr), ma dovendomi mantenere da sola sono un po’ indietro purtroppo”.
In azzurro hai esordito nel 2017 direttamente ai Mondiali a 22 anni. Che emozione si vive ad avere una prima volta del genere?
“Io ho iniziato tardi a giocare e l’ho fatto senza alcuna base motoria. Non ero un tipo sportivo, anzi. A 19 anni l’ho scoperto, partendo con rugby 7s, e mi sono messa sotto. È difficile iniziando così tardi, ammetto che ancora faccio un sacco di paperate di coordinazione, quindi mi sono dovuta impegnare tanto. Mi sono subito innamorata di questo sport e quando ho iniziato, come in tutte le cose che faccio, ci ho creduto, ma ci ho creduto veramente. Così dopo un anno sono riuscita a essere convocata. Un’emozione incredibile, anche se la mia famiglia non capiva bene. Mia mamma non capiva cosa fosse quella chiamata in azzurro, ma quando le dissi che dovevo andare via un mese con la Nazionale in Irlanda per i Mondiali ha capito che era una cosa seria. Poi c’erano le mie amiche di squadra convocate, quindi è stato qualcosa di bellissimo. Per me, poi, una convocazione così era la dimostrazione del lavoro fatto, uno sprono a continuare a crederci e a lavorare”.
Ti sei innamorata del rugby. Ma cosa è il rugby nella tua vita, quanto è importante?
“Decisamente mi ha cambiato la vita. Non mi vergogno a dirlo, lo penso da sempre, ma non avessi giocato a rugby sarei finita a fare la delinquente. Ero stupida, facevo la stupida e il rugby mi ha insegnato moltissimo, quello che forse non mi avevano mai insegnato prima. Mi ha salvato la vita”.
Usciamo dal campo di rugby. In Italia, purtroppo, vediamo molti casi di razzismo, di intolleranza. Tu sei nata a Cremona da genitori marocchini, hai mai avuto problemi di intolleranza nei tuoi confronti?
“Ecco, ti ho detto che il rugby mi ha salvato la vita? Per farti capire di cosa stavo parlando posso dirti che non ho mai avuto problemi di razzismo nei miei confronti perché rispondevo con un pugno a ogni offesa. Ci rido sopra adesso, ma ero veramente uno stronza, ero arrabbiata con tutto e tutti. Io ho sempre avuto una grande foga, una gran rabbia, il rugby per me è stata una favola vincente. Mi ha fatto incanalare la rabbia e sono convinta che tutti debbano trovare un modo per farlo, per sfogarsi, dando tutto in quella che è la loro per non finire di sfogarsi con chi non se lo merita”.
Veramente una favola con lieto fine, bellissima. Torniamo al rugby giocato. Il rugby femminile è quello che negli ultimi anni in Italia sta dando maggiori soddisfazioni. Come mai – senza voler far confronti con i colleghi maschi – secondo te siete così vincenti?
“Secondo me il motivo è che siamo tutte unite dal sacrificio, dal valore del sacrifico. Tutte facciamo salti mortali per poterci allenare, per essere pronte. Magari rispetto ad altre nazioni dove le ragazze sono più facilitate a fare sport, noi invece tra lavoro, studio e famiglia dobbiamo impegnarci di più, sacrificarci tanto. Siamo tutte sulla stessa barca. E poi per noi è un grande onore, quindi dai sempre qualcosa in più di quello che hai”.
Cosa servirebbe in Italia per far fare ancora più un salto di qualità al rugby (ma anche allo sport in generale) femminile?
“Manca la professionalità. O meglio, noi siamo professionali in qualcosa che non è una professione. Cerchiamo di dedicare il tempo al rugby come fossimo professioniste, ma ci mangiamo ferie, lavoro, esami e impegni famigliari. Ma non dev’essere una giustificazione, perché ce la facciamo, perché ci piace farlo, però dobbiamo organizzarci moltissimo per fare tutto e non sempre ci si riesce. Io, come ti ho detto, devo sacrificare lo studio per portare avanti rugby e lavoro”.
In questo periodo di lockdown vanno di moda le video-interviste sui social gestite da grandi campioni. C’è Bobo Vieri che spopola, ma anche altri sport vedono giocatori ed ex giocatori intervistare propri colleghi. Se facessi delle interviste social anche tu quale rugbista, di oggi o del passato, vorresti intervistare e con quale sportivo o sportiva di un’altra disciplina vorresti fare una chiacchierata?
“Se dovessi intervistare qualcuno del passato Mariagrazia Cioffi o Gina, che, anche se è un po’ sparita dallo schermo, sta facendo tanto per noi. Di un altro sport intervisterei… non lo so… mi viene in mente qualcuno che fa la ginnasta, come Carlotta Ferlito. Anzi no, rettifico, mi piacerebbe chiacchierare con Sara Gama, l’azzurra del calcio”.
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Foto: Martina Sofo