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Tiro a volo, Giovanni Pellielo: “Gesù ci salva. Sto vivendo in maniera monacale. A 50 anni sono ancora qui perché ho imparato a perdere”

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Giovanni Pellielo Tiro a volo

E’ uno dei totem dello sport italiano, eppure quando chiamiamo Giovanni “Johnny” Pellielo (Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre) per intervistarlo ci concede immediatamente di dargli del tu accogliendoci, è proprio il caso di dirlo, nella sua vita. Già con la prima risposta un po’ spiazza, un po’ affascina.

L’idea iniziale era quella di una conversazione incentrata sul tiro a volo, attività che pratica a livello internazionale e con straordinari risultati da 30 anni circa, e invece non è stato – solamente – così. Il piemontese infatti vive la sua vita in diversi ambiti dando un peso a tutte le componenti, fra cui c’è sicuramente quella preponderante della fede cristiana.

Nessuno spoiler, solo un consiglio: serve una lettura attenta e spesso riflessiva per comprendere al meglio il tutto. Buon viaggio nel mondo di Giovanni Pellielo.

Siamo entrati nella tanto attesa Fase 2: come hai trascorso o stai trascorrendo il tuo tempo?
“Mi sono dedicato molto alle letture teologiche. Sono una persona che nella vita ha fatto un percorso religioso e che quando si trova a vivere una ‘Quaresima così lunga’ si addentra ulteriormente nel suo cammino di fede soffermandosi su alcuni testi già analizzati in passato, ma che ripresi oggi hanno un significato diverso”.

Dal punto di vista sportivo invece su cosa ti sei concentrato?
“Ho lavorato concentrandomi sull’aspetto atletico della disciplina utilizzando gli attrezzi di una piccola palestra che sono riuscito a ricreare in casa. Da lunedì 4 maggio poi, secondo le disposizioni governative, sono tornato ad allenarmi anche dal punto di vista tecnico”.

Un atleta della tua esperienza che ne ha viste tante in pedana e nella vita come ha metabolizzato questo strano periodo?
“Sto vivendo questo periodo in maniera monacale. Sembra di essere tornati un po’ ai periodi delle catacombe: il culto ha attraversato una fase privata, un po’ com’era nei primi trecento anni dopo Cristo. Ho riscoperto una tradizione antica relativamente alle preghiere, che mi ha riportato a quando si vivevano eventi realmente accaduti nel corso della storia come carestie, persecuzioni o altri periodi sanitari difficili: per certi versi mi è parso di trovarmi nella sceneggiatura di un film di Zeffirelli. Dal punto di vista spirituale la definirei un’esperienza notevole, dal punto di vista umano invece non posso che soffermarmi sulla quantità di dolore a cui tutti siamo stati purtroppo sottoposti. Nessuno era mai arrivato a un punto tale di sofferenza e dolore: su tutto quello che è successo dobbiamo profondamente riflettere, sia sul presente sia sul futuro. Serve prudenza nella valutazioni, essere un po’ più autogeni, introspettivi. Pensare a se stessi senza dare giudizi sugli altri. Come abbiamo potuto constatare, ci è voluto pochissimo per cambiare le nostre condizioni di vita. La forza della natura ha preso il sopravvento e le nostre certezze sono state messe da parte: abbiamo dimostrato di non essere in grado di sostenere nulla, anche la scienza in un’era tecnologica così avanzata si è comunque trovata per certi versi impotente davanti a quello che è successo. Ciò detto va sottolineato l’impegno umano di medici e paramedici in prima linea: donne e uomini si sono messi a disposizione, nonostante a volte i mezzi non fossero ottimali, per aiutare e cercare di salvare quante più vite possibili. Questo è stato ed è sicuramente lodevole”.

Questa risposta nella sua interezza ci ha fatto capire che la tua vita non è quindi legata “meramente” al tiro a volo: è stato questo uno degli aspetti preponderanti per arrivare ad avere una carriera così lunga?
“Assolutamente sì. Nel recente passato ho letto articoli che dicevano che fossi da tanto a secco, che non avessi più la precisione di un tempo e che analizzavano le mie statistiche in maniera fredda. I numeri però messi lì così dicono poco e lo abbiamo potuto vedere anche negli ultimi mesi.
Attualmente sono, insieme ai miei compagni, campione d’Europa e del mondo a squadre, ho vinto un GP internazionale a Lonato, ho ottenuto la medaglia d’argento ai Giochi Europei di Minsk 2019 (nel Mixed Team di trap, insieme a Jessica Rossi,ndr) faccio parte del club olimpico italiano e sono in lizza per ottenere la qualificazione a Tokyo. Vorrei che prima di scrivere di un mio eventuale ritiro le persone mi conoscessero e non si basassero solo sul fatto che ho 50 anni e che il mondo ha preso una diversa direzione in determinati ambiti.
Lo sport può essere vissuto come compimento da alcuni o come ragione di vita da altri, ma non per questo nel mio caso io ci metto, ci metterò o ci ho messo meno impegno, anzi: in pedana sono sempre stato l’espressione di me stesso.
Ci terrei comunque a ricordare a tutti che stiamo parlando di una cosa che dev’essere vissuta in maniera positiva, che ti aiuta ad allungarti la vita, non che ti porti alla negatività: lo sport, se interpretato nella maniera giusta, fa bene alla vita, la allunga. Una vittoria o una sconfitta, andare o non andare alle Olimpiadi non può pregiudicare la vita. Spesso si parla di attimi, di momenti di gloria: questi sono tali perché rappresentano l’esternazione di un particolare contesto, che nel mio caso va dalle quattro medaglie olimpiche ai quattro Mondiali (unico insieme allo spagnolo Michel Carrega, ndr), passando per i dieci titoli italiani, i cinque titoli europei e le sette Coppe del Mondo, tutte cose superiori a persone che sono state immense.
I momenti vanno vissuti in quanto tali, anche perchè nel 90% dei casi il resto della vita è impegno e sofferenza. Come ci dice Gesù: tenetevi il momento della pace e della consolazione, per quei giorni in cui ci sarà il buio. Ecco questo è un invito preciso nella nostra esistenza per non esaltarci con grandi salti e non abbatterci con grandi pianti. Ci vuole razionalità, senza temere di metterci in gioco accettando i giudizi. Qualcuno vince e qualcuno perde: tutti cercano di esprimere una capacità. Mi sembra eccessivo riservare la ghigliottina (mediatica, ndr) a chi non riesce ad arrivare a un determinato risultato non rompendo un piattello o sbagliando un gol. Ci sono cose che, abbiamo visto, lo meriterebbero di più”.

Abbiamo visto che nella tua carriera ti sei ripetuto più e più volte: in considerazione di quanto detto in precedenza, riesci a darci un’ulteriore chiave di lettura dei tuoi successi?
“Nello sport individuale riuscire a imporsi più volte è sempre molto difficile, a volte basta un’errore per determinare una vittoria o una sconfitta. Tutti dobbiamo essere disposti ad accettare la sconfitta e io sono ancora qui a cinquant’anni perchè ho imparato a perdere”

Veniamo invece al rinvio delle Olimpiadi: tu come hai accolto questa notizia?
“In modo sacrosanto e questo lo sostenevo anche nei giorni precedenti alla notizia. Era assolutamente assurdo e folle poter pensare a un’Olimpiade nel momento in cui i carri dei militari portavano via le bare dei civili morti. Sarebbe stato un qualcosa che definirei inumano e anche condannabile: nel corso della nostra esistenza dobbiamo porre a noi stessi delle priorità e io credo che la priorità della vita umana sia la più importante in senso assoluto, se invece avessimo dato precedenza alle finanze e all’economia allora avremmo dato spazio all’organizzazione delle Olimpiadi in questo 2020 e questo sarebbe stato deplorevole”.

Ci fai una fotografia dei tuo ricordi e dei valori olimpici?
“Il simbolo dell’olimpismo è sicuramente la condivisione, a prescindere dal colore, dal partito politico o dalla condizione militare di un Paese.I Giochi hanno senso quando c’è questo: vincere una medaglia senza aver la possibilità di stringersi la mano, complimentarsi, ma facendolo a distanza con mascherina e guanti non può esistere; sarebbe come andare in chiesa e non poter fare la comunione. Mancherebbe qualcosa di straordinario, direi l’essenza”.

Stringiamo il focus sull’attualità: al trap maschile italiano è rimasta una sola possibilità di qualificazione, al netto dei complementi legati al ranking, ai Giochi di Tokyo 2020. Come state vivendo questo periodo in squadra? Siete arrivati tante volte vicini all’obiettivo, ma non siete mai riusciti a cogliere un pass.
“Anche qui va fatto un distinguo. Per qualificarsi a Rio 2016, il trap maschile aveva messo in palio 38 carte olimpiche che ora, dopo l’introduzione nel programma della parità di genere, sono scese a 28. Il contrario invece è avvenuto nel settore femminile dove da 18 sono passate a 28.
Nessuno di noi, e ci tengo a sottolinearlo, è contro la parità di genere anzi ben venga, ma sicuramente ci sono dei numeri da dover mettere in ordine.
Nel trap maschile concorrono a livello internazionale circa 150-170 atleti, mentre in quello femminile poco più di 60: ora capite bene che c’è una sproporzione. Il paradosso è che per introdurre la parità di genere è stata fatta una discriminazione verso qualcun’altro. 
Inoltre vorrei ricordare che di queste 28 carte olimpiche a disposizione non su tutte i tiratori possono competere: quelle dei Campionati Asiatici, delle gare dell’Africa e delle Americhe ovviamente non saranno destinate a noi. Restringendo il campo diventano poi poche le chance vere di accesso. C’è qualcosa che stona nel sistema, anche perchè in Europa c’è il 90% dei tiratori che poi vanno a medaglia nei grandi eventi e in Italia oltretutto la concorrenza interna è alta: questo comunque non deve sottrarci ai nostri doveri, all’interno di un ragionamento razionale”.

Giovanni, l’ultima domanda: i primi mesi del 2020 ci hanno fornito quella che per molti è già stata definita la ‘fotografia del secolo’, con Papa Francesco a pregare in una Piazza San Pietro deserta. Qual è la tua lettura di questa immagine?
“Ho sicuramente provato una grande sensazione di tristezza, anche perchè nel corso della storia è la prima volta che le chiese vengano chiuse. Di solito, quando si verificano eventi tragici, come ad esempio le carestie, le chiese si aprivano per aiutare le persone anche a ritrovarsi con la fede in momenti molto difficili. Pensate un po’ a luoghi come Lourdes, dove migliaia di persone si riversano. E’ stato un momento difficile e contestato anche dalla CEI, che ha detto che non si può arrivare a privare del culto una persona, anche perchè gli spazi dove spesso si prega sono infinitamente più grandi di supermercati o altri edifici, pensate a 100 persone nel Duomo di Milano o a 100 persone in un supermercato, è tutto un po’ paradossale.
Non dobbiamo dimenticare, con gli occhi della fede, che Gesù salva, compie miracoli: se abbiamo paura di questo, chiudiamo le chiese o ci facciamo impaurire dal virus.
Vietare i sacramenti nel momento in cui servono, perchè in questo l’estrema unzione o la confessione possono aiutare chi è impegnato nella sua battaglia, mi sembra difficile da pensare. Immaginare uomini morire da soli e bruciati: uno scenario apocalittico, che mi auguro non si debba ripetere mai più.  Inoltre auspico che non si arrivi più al momento in cui un povero medico sia costretto a scegliere chi salvare e chi fare morire: una tragedia, una responsabilità morale spaventosa addossata alle persone, come siamo stati costretti a leggere. Una coscienza e un rimorso sicuramente non facili da superare: sono uomini e donne”.

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michele.cassano@oasport.it

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Foto: LaPresse

1 Commento

1 Commento

  1. OLIMPIONICO

    14 Maggio 2020 at 16:38

    Grandissimo Campione e grande Uomo, altro che le dichiarazioni e le scelte di cagnotto, pellegrini, ferrari e c. !

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