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Calcio femminile, la Serie A si ferma definitivamente: un’occasione mancata? Il professionismo l’aspetto critico

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La Serie A di calcio femminile si ferma, niente ritorno in campo a metà luglio e niente ripresa. Ci si affida al chiacchierato algoritmo per non assegnare lo scudetto, ma le posizioni funzionali alle qualificazioni europee e alle retrocessioni. La Juventus, dunque, ha chiuso davanti a tutti senza tricolore, a precedere la Fiorentina (seconda e in Champions League) e il Milan. A sorridere alle viola è stata la miglior differenza reti, mentre retrocesse in B l’Orobica e il Tavagnacco. Napoli e il San Marino saliranno nella massima serie.

Questi dunque i verdetti. Si era pensato al meccanismo dei playoff/playout, ma in questo caso le giocatrici si sono opposte nel disputare la post season. Sul piatto ci sono state difficoltà nell’applicazione del protocollo e nella preparazione di buona parte delle atlete. Non è bastato, da questo punto di vista, il fondo d’emergenza di 700.000 euro che la Federcalcio avrebbe diviso tra le società. Le calciatrici hanno manifestato forte disagio per le “lungaggini burocratiche” e nello stesso tempo l’applicazione delle norme per tanti club dilettantistici era praticamente impossibile.

Alla fine della fiera tre squadre su dodici avevano ripreso gli allenamenti e questo evidenzia una criticità importante: nelle società professionistiche, che hanno spostato la causa delle affiliazioni con il mondo femminile, c’è stata poca convinzione. In sostanza si torna sempre al solito tema, ovvero quello del professionismo. La pandemia globale, di fatto, ha evidenziato le grosse lacune nel sistema calcio che riguardano il mondo del “Pallone in rosa”. E’ vero, dei passi in avanti sono stati fatti sul piano della visibilità e dell’attenzione mediatica, soprattutto grazie al Mondiale 2019 in Francia, nel corso del quale l’Italia di Milena Bertolini seppe spingersi fino ai quarti di finale (sconfitta contro l’Olanda).

L’interruzione è un’occasione persa perché la ripartenza avrebbe potuto dare maggior risalto al calcio femminile nella sua interezza, ma evidentemente le condizioni non c’erano ed erano le stesse società ad evidenziarlo. E quindi? Andrebbe fatta un’attenta riflessione, consapevoli che un possibile passaggio al professionismo vorrebbe dire la sparizione di tantissime realtà del panorama nazionale. Per effettuare un cambio epocale, servono le coperture economiche non solo in fatto di stipendio, ma anche dal punto di vista previdenziale. Il prodotto “Pallone-donna” in Italia, purtroppo, vende ancora troppo poco e questo stop non aiuta. Da questo punto di vista, le giocatrici hanno fatto il loro, ma ora spetta alla Federcalcio e al Governo attivarsi per dare un connotato diverso a questa specialità. Nello stesso tempo, anche da parte dei club professionistici è doveroso dare un segnale forte e non solo dal sapore “politicamente corretto”.

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Foto: Francesco Scaccianoce/LPS

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