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Ciclismo
Giro d’Italia 2020: alcune squadre al via con le seconde scelte. Pesa la vicinanza con il Tour de France
La startlist del Giro d’Italia 2020 non si preannunciava stellare sin dal principio. Con la pandemia e il conseguente stravolgimento del calendario la situazione non è cambiata, anzi, la Corsa Rosa, al momento, ha visto anche Romain Bardet, che lo scorso inverno aveva annunciato il suo esordio sulle strade del grande giro nostrano, dare forfait. E’ fisiologico avere annate con startlist di qualità inferiore alla media, ma indubbiamente, in questo caso, agiscono anche fattori esterni.
Il World Tour prevede che diciannove squadre abbiano accesso agli eventi più importanti del calendario, inclusi i tre grandi giri. Non tutti e diciannove i sodalizi, però, hanno un organico abbastanza lungo per poter portare formazioni competitive in tutte e tre le gare di ventuno giorni. La loro presenza, tuttavia, leva un posto ai team che non fanno parte del World Tour. Oltretutto, la nuova riforma dell’UCI prevede che la prima classificata della graduatoria delle professional del triennio precedente abbia la possibilità di partecipare a tutti i gli eventi del World Tour che vuole.
Per medi e piccoli sponsor che vogliono investire sul ciclismo a livello soprattutto nazionale, il Giro in Italia come la Vuelta in Spagna sono vetrine fondamentali. Ma dato che il sistema rende terribilmente difficile prendervi parte, sono sempre meno le aziende disposte a sponsorizzare una squadra ciclistica. Ciò ha portato alla distruzione dei movimenti autoctoni e questo si riflette soprattutto su Vuelta e Giro, gare spogliate dei tanti scalatori, velocisti e passisti locali che per decenni hanno dato spettacolo insieme ai fuoriclasse stranieri.
L’Italia nel 2004, prima della nascita del Pro Tour, versione embrionale e meno tossica dell’attuale World Tour, aveva tredici team tra prima e seconda divisione. Oggi, tra professional e World Tour, ha tre squadre più alcuni sodalizi con sponsor stranieri, ma di matrice in buona parte italiana. La Spagna, sempre nel 2004, aveva otto team. Oggi ne ha la metà. Solo l’anno scorso hanno chiuso una squadra italiana, la Nippo, e una Spagnola, l’Euskadi-Murias.
Se andiamo a vedere il contingente straniero che dovrebbe prendere parte alla Corsa Rosa, scopriamo che, poi, non è nemmeno così povero come lo si descrive. Innanzitutto ci sono tre corridori che sono indubbiamente delle stelle del ciclismo contemporaneo: Richard Carapaz, che è comunque il campione in carica, Peter Sagan, su cui non c’è proprio nulla da dire, e Remco Evenepoel, sicuramente uno degli atleti del momento.
Inoltre, al fianco di questi dovrebbero esserci tanti altri ottimi pedalatori: Pascal Ackermann, Rafal Majka, Fabio Jakobsen, Caleb Ewan, Simon Yates, Dylan Groenewegen, Rohan Dennis, Jakob Fuglsang e Wilco Kelderman. Sarà un Giro più carente rispetto al solito a livello di uomini di classifica, ma il problema principale è che il Bel Paese, oltre a Nibali, al momento non ha nessun altro corridore in grado di puntare a un podio in una gara a tappe di tre settimane.
A cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60 il Giro era per club e il Tour per nazionali. Questa suddivisione permetteva ad ambedue le gare di avere tutti o quasi i migliori al via. Nel 1960 la Corsa Rosa ebbe addirittura in esclusiva Jacques Anquetil. In quella stessa annata, peraltro, il grande giro nostrano partorì il miglior podio della sua storia: Anquetil primo, Nencini secondo e Gaul terzo. Tredici Grand Tours in tre.
Nel 1962, però, il Tour rivoluzionò il suo regolamento e tornò corsa per club. La conseguenza di quella decisione fu che il Giro vivette un periodo di crisi a livello di partecipazione straniera che ebbe il suo culmine nel 1963. In quell’annata un solo straniero arrivò tra i primi trenta della Corsa Rosa. Tre anni prima furono undici i non azzurri che chiusero la gara nei primi trenta. Al tempo, però, il movimento nostrano era abbastanza forte per poter reggere un emorragia del genere.
I seguenti sono i nomi dei primi nove classificati del Giro del ’63: Franco Balmamion, Vittorio Adorni, Giorgio Zancanaro, Guido De Rosso, Diego Ronchini, Vito Taccone, Imerio Massignan, Guido Carlesi e Graziano Battistini. Tre di essi sono arrivati sul podio anche al Tour de France. Uno, Massignan, lo ha sfiorato e ha conquistato due maglie a pois. Un altro, Adorni, è stato campione del mondo. Tutti quanti ad eccezione di Taccone, inoltre, sono arrivati almeno una volta in carriera sul podio di un grande giro.
Se succedesse oggi che tutti i campioni stranieri decidessero di non venire al Giro, il movimento nostrano non avrebbe la possibilità, ma nemmeno il modo, di metterci una pezza. La presenza al Giro di squadre come la FDJ o la Ag2r, se non schierano Pinot e Bardet, non è solo inutile, ma anche dannosa. Portano formazioni non all’altezza e levano il posto a chi, italiano o straniero che sia non importa, vorrebbe utilizzare la corsa rosa come vetrina per il suo marchio. Ciò scatena un effetto domino che finisce per indebolire fortemente il ciclismo locale.
Facciamo un altro esempio: la Vuelta è nata molto più tardi di Tour e Giro e questo ha, da sempre, influito sul suo fascino. Di rado i più forti campioni stranieri vi prendevano parte. Addirittura Miguel Indurain, il più grande spagnolo di sempre, nei suoi anni d’oro preferiva presentarsi al Giro piuttosto che alla gara di casa. Per questo motivo, negli anni ’80, gli organizzatori della gara spagnola iniziarono a rivolgersi a mercati poco considerati dagli altri grandi giri. Squadre colombiane, portoghesi e, addirittura, la selezione dell’URSS, ove lo sport professionistico non esisteva, presero parte al grande giro spagnolo. E portavano formazioni altamente competitive, piene di grandi corridori, che miglioravano notevolmente le startlist della manifestazione iberica. Nel 1990 furono addirittura tre i sodalizi colombiani invitati alla Vuelta.
Oggi una strategia del genere è totalmente impraticabile. Un grande giro può scegliere due o al massimo tre team che prenderanno parte alla gara e lasciare fuori le poche squadre locali rimaste è molto complicato. La stagione particolare ovviamente peserà sulla startlist del Giro come su quella della Vuelta, ma il problema alla base è un altro.
Il ciclismo si basa su un sistema oligarchico che sta annientando gran parte dei suoi attori e ha, come effetto collaterale, il fatto che il Giro o la Vuelta debbano rinunciare ad avere al via squadre interessate a sfruttare la vetrina che offrono, per vedere, invece, l’Ag2r o la FDJ di turno che portano le seconde linee. In sostanza la startlist del Giro 2020 sarà più scarna del solito non solo per la vicinanza al Tour, ma anche perché, innanzitutto, non esiste un movimento nazionale abbastanza solido che possa garantire una buona presenza di campioni locali al fianco di quelli stranieri, e, poi, perché l’organizzatore può scegliere solo una minima parte dei partecipanti ed è totalmente dipendente dalle decisioni, in merito ai programmi degli atleti, delle squadre World Tour.
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luca.saugo@oasport.it
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Foto: Valerio Origo