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Guido Migliozzi, golf: “Non pensavo di entrare sull’European Tour con due vittorie. Giocare i Major? Le possibilità ci sono sempre”

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Un nome ha letteralmente fatto irruzione nel mondo del golf italiano nel 2019: è quello di Guido Migliozzi. Vicentino di nascita, ma padovano per formazione sportiva, a 23 anni può già fregiarsi di due titoli conquistati sul tour europeo nell’anno d’esordio, circostanza che lo ha portato a stazionare per tre settimane non consecutive nei primi 100 giocatori del mondo. Sempre più vicino a veder ripartire la propria stagione, si trova in questo momento a Dubai in attesa della ripresa delle operazioni in chiave European Tour. Ed è proprio in una delle città simbolo degli Emirati Arabi Uniti, sede del torneo che conclude la stagione europea ogni anno (per i migliori 60), che lo abbiamo raggiunto per un’intervista telefonica nella quale ci ha raccontato la sua carriera, i suoi piani e il suo golf.

Come hai vissuto lo stop e quali sarebbero stati i tuoi piani?

“Prima dello stop i miei piani sarebbero stati di giocare i tornei che erano in calendario, specialmente in Kenya, il primo cancellato. Dopo sarei venuto a Dubai, dove avrei voluto trasferirmi. Questa idea ce l’avevo prima ancora di tutto quello che è successo. Una volta cancellato il Kenya, eravamo in Qatar, siamo venuti qui una settimana prima, abbiamo iniziato le pratiche per il trasferimento sia io che Renato Paratore, che è anche lui qui. Poi è successo quel che è capitato, e non è stato semplice organizzare tutte le cose, perché c’erano molte restrizioni e le tempistiche andavano a rilento, quindi in qualche modo abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare perché tempo ce n’era in abbondanza. Sono qui da oramai più di tre mesi e tra non molto tornerò anche in Italia”.

E adesso si riprenderà in Austria e Gran Bretagna. Però, nel riprendere, si è creata una specie di incongruenza: il PGA Tour è ricominciato insieme al Korn Ferry, l’European è fermo, ma intanto è ripartito il ranking. Secondo te quanto pesa il fatto che l’OWGR sia ripartito senza che tutti i tour siano ripresi?

“Voce in capitolo non ne ho tanta, però si sa che il PGA Tour ha giustamente ripreso prima, qui in Europa ci sono un po’ più di restrizioni. Bisogna mettere in comunicazione più Paesi, è una situazione un po’ più difficile”.

L’inizio di 2020 per te era stato un po’ complicato, perché c’erano stati quattro tagli, intervallati però dal quarto posto in Oman. Poteva essere un indice del fatto che stessi entrando in forma?

“Quattro è il mio numero magico, quattro tagli mancati e un quarto posto. Avevo cominciato non benissimo, ho cambiato caddie e subito alla prima gara sono arrivato quarto con un buon gioco, sempre in contention, che è quello che ogni settimana bisogna portare a casa: essere nella lotta di testa negli ultimi giorni. Poi dopo c’è stato invece un altro calo, avrei voluto continuare, entrare più in fiducia e in armonia con il nuovo caddie. Quando riprenderà il tour avremo modo di conoscerci meglio”.

Facendo un passo indietro, nel 2019 sei entrato nel tour europeo con il botto, con quei due successi. Te l’aspettavi di cominciare così?

“No, l’obiettivo principale era quello di mantenere la carta e di giocare tornei importanti, l’anno scorso, come qualcuno delle Rolex Series, ed entrare a far parte di un field importante. Poi c’è stata la vittoria in Kenya che mi ha permesso di entrare in tutti i tornei importanti in Europa, e poi anche la seconda vittoria che è stata magica, che ha regalato un sacco di emozioni a me, al mio team, e poi sono arrivato fino alla finale a Dubai, che è sempre un gran traguardo per i giocatori europei”.

A prescindere dal vincerlo, ti è piaciuto il formato del Belgian Knockout?

“Secondo il mio parere sì. È stata una gara molto veloce, rapida, anche se le critiche televisive erano che non c’era molto spettacolo. Più avanti si va e meno match si giocano. La tempistica televisiva non era perfetta per quel genere di torneo, però da giocatore è stato molto divertente, perché è un match rapido, di nove buche, match play in cui ogni colpo conta. È stato molto divertente, vincere ancora di più”.

Parlavi del tuo finale di 2019, con la qualificazione al World Tour Champinoship di Dubai, il torneo finale del tour europeo. Hai dimostrato di sapertela giocare con gente molto quotata, perché arrivare sedicesimo in un torneo che vince Jon Rahm non è poco.

“L’anno scorso è stato un anno di tanta esperienza, in cui ho avuto la fortuna di disputare tornei e giri con grandissimi campioni come Jon Rahm, Fleetwood, Justin Rose, Justin Thomas. Giocare con loro fa un grande effetto. Ti senti un po’ in dovere di fare del tuo meglio, e mi ha dato molta energia positiva e molta esperienza. Anche guardare i campioni che fino all’anno prima guardavo solo in tv è stato molto istruttivo a livello golfistico”.

Sempre di 2019 parlando, un anno dominato da Wiesberger che però è stato acchiappato all’ultimo da Rahm, parlando di European Tour.

“Sì, quando si tratta di campioni come Rahm non sai mai cosa potranno fare. E comunque è stato sorpassato da due grandi campioni nelle ultime gare”.

Da amateur hai fatto parecchie esperienze importanti. Quali sono quelle che ricordi di più o con maggior piacere?

“Le gare a squadre. I Campionati Europei che ho fatto con la Nazionale tuttora sono dei momenti che ricordo con molta gioia. Abbiamo vinto anche una medaglia d’oro con la Nazionale europea. Sono momenti bellissimi che al giorno d’oggi, da professionista, non puoi provare se non giochi la Ryder Cup, perché tornei del genere sono molto emotivi e ti fanno divertire tantissimi”.

Poi è arrivato il 2018 che per te è diventato l’anno fondamentale, perché hai ottenuto la carta.

“Sì, il 2018 è stato l’anno di svolta. L’ottenimento della carta era l’obiettivo principale. Pur non avendo giocato bene i tornei precedenti del Challenge Tour. Anche se avevo ottenuto dei bei piazzamenti e delle belle vittorie sull’Alps Tour, sul Challenge non sono riuscito a performare al meglio. Poi sono entrato alla Qualifying School con molta determinazione. Fortunatamente ero anche in un periodo golfistico ottimo. Il gioco era pienamente sotto controllo e sono riuscito a ottenere la carta”.

Quest’anno avresti potuto andare alle Olimpiadi, solo che poi sono state spostate. Eri nella lotta. Cosa pensi del rinvio?

“Penso sia stato più che giusto. Una situazione del genere non si può sottovalutare e bisogna prendere le misure opportune, è giusto così”.

Anche perché ci sarebbe stato un problema con le qualificazioni. Si sarebbe dovuto andare a Tokyo con un calendario ridotto.

“Esatto, non essendoci nemmeno le gare a disposizione per accedere, non sarebbe stato giustissimo”.

Per il prosieguo dell’anno l’obiettivo di giocare un Major quanto è realistico?

“Non lo so. Dipende anche dalla quantità di gare che si potranno giocare prima dei Major stessi. Le probabilità e le possibilità ci sono sempre, bisogna performare bene per potersi qualificare”.

Probabilmente più US Open o Masters, perché il PGA Championship è a giro troppo stretto.

“Il Masters però credo che lo giocheranno coloro che potevano giocarlo ad aprile. Ora non so se siano cambiate le regole, però in aprile avevano fatto la borderline”.

Quali sono le cose che vuoi ancora migliorare nel tuo gioco?

“La parte intorno al green sicuramente è sempre la più importante a livello golfistico. Anche se il drive in questi anni è stato sulla bocca di tutti, il gioco corto è sempre quello che fa la differenza. C’è sempre margine di miglioramento in quel settore del gioco”.

Quali sono i motivi che ti hanno spinto verso il golf quando hai voluto praticarlo?

“I motivi partono dal fatto che è uno sport bellissimo dal mio punto di vista, e anche dal punto di vista di molti altri. È sempre una sfida contro il campo, ma anche contro se stessi, all’aria aperta e a contatto con gli amici e con la natura. Per coloro che amano la sfida e la pressione giocare a golf è un sogno”.

A proposito di rapporti, quali sono i giocatori con cui ti sei trovato meglio all’interno dei circuiti?

“Io sono praticamente cresciuto con Renato Paratore. È da quando avevo 14 anni che ci conosciamo, che gareggiamo insieme. Quando facciamo le gare sono molto spesso con lui, anche in albergo condividiamo la stanza, giochiamo, ci alleniamo insieme. Sono diventato molto amico anche con Pablo Larrazabal, che è una persona speciale e un ottimo amico”.

A chi vorresti rubare un po’ del gioco, di mentalità o di entrambe le cose?

“Se si potesse, vorrei rubare un po’ del gioco corto e del putt a Jordan Spieth. Però non si può e quindi ci lavoreremo sopra”.

C’è un punto di riferimento che hai avuto nella tua crescita, in termini di giocatore che ti ha creato ispirazione?

Tiger Woods è stato lo sportivo che mi ha ispirato. Ha una fame e una voglia di vincere e di essere il migliore, ma dimostrandolo in campo. A me ha sempre affascinato questo suo lato estremamente positivo”.

E continua a tutt’oggi.

“Nonostante tutto quello che gli è successo, si è rivelato ancora il campione che è. Per me è un esempio, un idolo”.

Sono veramente pochi, del resto, quelli che riescono a fare quello che ha fatto lui al Masters l’anno scorso. Uno che è andato vicino a fare un’impresa ancora più incredibile è stato Tom Watson, ma stiamo davvero parlando di personaggi che fanno delle cose enormi.

“Imprese”.

Tu cosa pensi del momento felice del golf italiano, con buoni giocatori che stanno venendo su dai junior?

“Sebbene i numeri non siano elevatissimi, come Paese, la Federazione italiana ha sempre fatto nascere degli ottimi giocatori dalle premesse. Il golf italiano, per quanti pochi giovani rispetto ad altre realtà ci siano, ne produce. Alcuni sono molto promettenti, e sono molto curioso e fiducioso che un giorno possano cavalcare l’European Tour e vincere dei tornei”.

Anche perché state veramente arrivando in tanti. O qualcuno sta tornando, come Francesco Laporta quest’anno.

“Giocatori italiani si stanno facendo avanti. Diciamo che dal mio punto di vista la vittoria di Francesco Molinari all’Open è stata una spinta un po’ per tutti noi italiani. Ci ha fatto credere di più nelle nostre potenzialità. Adesso stanno venendo fuori”.

Gli effetti della vittoria di Chicco si potrebbero vedere non soltanto nell’immediato, ma anche nei prossimi 5-10 anni, perché poi magari uno si sente dire ‘Ho cominciato perché ho visto Francesco Molinari vincere l’Open’.

“Certamente”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Getty Images / per gentile concessione di Guido Migliozzi

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