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Lorenzo Gagli, golf: “Avevo trovato buoni feeling a inizio 2020. Gruppo italiano ben affiatato. Tiger? Il più grande di tutti”

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Il cammino di Lorenzo Gagli, all’inizio del 2020, era stato tra i migliori in assoluto nel panorama del golf italiano: 10° posto in Oman e 12° in Qatar. La sua parabola golfistica ha attraversato, e attraversa tuttora, la stessa generazione dei Molinari, ma è passata da diverse difficoltà nel corso di una carriera in cui ci sono state delle soddisfazioni più che importanti. A 34 anni, il toscano non ha ancora nessuna intenzione di demordere e, al momento del rientro, cercherà di riprendere quel filo che stava iniziando a tessere per tornare a scalare l’OWGR (dove è ora 364°, ma che nel 2011 lo vedeva 128°). Abbiamo raggiunto Gagli per un’intervista telefonica in cui, con il suo stile conciso, ma di estrema chiarezza, ci ha raccontato numerosi aspetti del suo percorso e tracciato delle riflessioni su diversi momenti e uomini da lui vissuti.

Come hai vissuto la pausa da Coronavirus?

“Sono rimasto a casa come la maggior parte degli italiani, direi. Ho cercato di tenermi allenato tecnicamente, ho comprato una rete, l’ho messa in giardino e due-tre volte a settimana mi ci allenavo. Poi venivo a fare un’oretta al giorno di palestra in casa, ma mi sono arrangiato”.

Su cos’hai lavorato (per quanto hai potuto) in questo periodo di stop?

“Ho cercato di lavorare sempre sulle stesse cose, mantenendo quel feeling che avevo a inizio anno. Ho tentato di tenermi in forma fisicamente per farmi trovare pronto alla ripresa”.

Giocherai anche i tornei in Austria o ripartirai direttamente dal Regno Unito?

“Ancora non ho preso una decisione: bisognerà vedere cosa succederà, dipende da se nel Regno Unito c’è quarantena. Se c’è, vado in Austria, viceversa non vado in Austria e debutto lassù”.

Come pensi che sia stato sviluppato il nuovo calendario, in base a quello che si è dovuto giocoforza sperimentare?

“Penso che abbiano fatto il possibile. Non è facile trovare sponsor che fanno delle gare, quest’anno è andata com’è andata. L’importante è rigiocare delle gare da qui alla fine dell’anno”.

Anche se poi gli sponsor sono rimasti quasi tutti.

“Sì, è vero. Poi quest’anno nessuno sale, nessuno scende, per cui le gare che faremo da qui alla fine avranno il termine nelle finali di Dubai, ma manterranno tutti la carta. Sono gare “di allenamento” per il prossimo anno”.

Eri partito anche bene nel 2020, un solo taglio mancato, 10° in Oman e 12° al Qatar Masters.

“Ero partito bene, avevo trovato dei buoni feeling, il giusto ritmo gara, stavo giocando bene, avevo le idee molto chiare su ciò che dovevo fare. Peccato, ma non c’è fretta. Le cose sono andate, le ho ben chiare, continuo a lavorare su quelle”.

Hai avuto uno dei migliori inizi di stagione in carriera, Challenge Tour compreso.

“Decisamente”.

Lo scorso anno sei andato vicinissimo a battere Rory McIlroy all’Omega European Masters.

“Sono andato vicino. È stata una settimana fantastica, ne avevo bisogno per tenere la carta sull’European Tour. È andato tutto bene tranne il playoff, ma lì si sa che può succedere di tutto e non sono stato così fortunato da poterlo vincere, però è stata una bella prestazione”.

Eravate in cinque, tutti in cinque posizioni completamente diversi e Sebastian Soderberg è stato un po’ più fortunato di voialtri.

“Sai, su un playoff a 5 può succedere di tutto. Lui è stato più fortunato e bravo, perché è una roulette russa. Poteva vincere chiunque, è una buca secca, chi fa meno…”

Non era neanche il tuo primo secondo posto sul tour europeo, perché l’avevi fatto anche nel 2011 a Madrid. Cosa ti ricordi?

“Ricordo che ero sempre pari, dopo 11-12 buche, con Lee Slattery, che poi uscì nel momento decisivo con 2-3 birdie di fila. È andato tre colpi avanti, alla 18 la situazione era questa, per cui non potevo più raggiungerlo perché un bogey contro un birdie non sarebbe bastato. Avevo deciso di non attaccarla in due, ma di giocarla in tre. Lui però ha fatto un grandissimo errore con il terzo, è andato in acqua da 70 metri con il bunker e aveva fatto doppio bogey. Con un birdie sarei andato al playoff, ma non immaginavo avrebbe fatto 7 all’ultima. Non sono riuscito a fare birdie, ho fatto par, ma avevo perso di un colpo, purtroppo. Magari avessi saputo che avrebbe fatto 7 avrei attaccato in 2, però anche lì ricordo una settimana che mi ha dato tante soddisfazioni e tante emozioni in campo”.

Anche perché, in quello stesso anno, hai avuto i migliori momenti, con il terzo posto allo Scottish Open con intorno gente del calibro di Luke Donald, Angel Cabrera, Padraig Harrington, Matt Kuchar.

“È stato un anno fantastico. Il tempo è passato, però me lo ricordo benissimo. Ho giocato bene tutto l’anno, solido dal tee al green, mi piacerebbe ripeterlo se non migliorarlo”.

Anno in cui sei riuscito ad arrivare a Dubai giocando con fior di campioni. Che emozioni hai provato ad arrivare fin lì?

“L’ho giocato nove anni fa, ero un ragazzino. C’era proprio la spensieratezza che mi ha portato fin lì, non mi rendevo nemmeno conto di quello che facevo. Giocavo, mi divertivo. Se dovessi guardare indietro ora, ricorderei e ricordo un anno bellissimo”.

Quando hai compreso di poter fare del golf la tua vita?

“Una volta fatta la maturità, finito il liceo, dovevo prendere una strada. Ci ho provato, ho detto ‘provo col golf’. Non sapevo come sarebbe andata. L’opzione di fare l’università non l’avevo presa in considerazione, per cui ho detto ‘mi butto a capofitto sul golf, vediamo cosa ne esce’. Sui vent’anni, quindi, ho capito che sarebbe diventato un lavoro”.

Anche perché al tempo non era frequente andare in America a fare la NCAA con la combinazione sport-studio.

“Esatto, adesso molto di più”.

E poi già prima, da amateur, avevi ottenuto risultati importanti e vissuto esperienze.

“Avevo vinto due campionati italiani, uno juniores e uno assoluto, un Europeo a squadre Under 18. Avevo fatto delle buone prestazioni. Avevo abbastanza esperienza di gare all’estero di quella che poi sarebbe diventata la mia vita. La carriera da dilettante mi ha aiutato molto a fare il passo successivo”.

Tu però hai faticato a entrare sul tour europeo anche per colpa di un infortunio al polso capitato nel 2009.

“Ho fatto il primo anno sull’Alps che è andato molto bene, avevo vinto 3 gare delle ultime 5 per poter giocare sul Challenge. Ho fatto un anno proprio sul Challenge, e alla fine del 2008 avevo preso, tramite la Qualifying School, la carta per l’European Tour, però subito nelle prime tre gare di dicembre, valide per il 2009, sentivo un po’ il dolore al polso che poi mi ha condizionato. Dopo 2-3 mesi mi sono dovuto fermare, perché non riuscivo a giocare, mi sono dovuto operare e sono dovuto ripartire facendo un po’ su e giù tra Challenge ed European”.

Dopo quei due-tre anni di buon livello ti sei trovato di nuovo in difficoltà. Quanto è stato complesso dover rifare la trafila per tornare sull’European?

“Una volta persa la carta è stato un brutto colpo. È stato più a livello magari mentale. Ho accusato il colpo un paio d’anni, poi a quel punto è stato veramente difficile tornare su perché il livello del Challenge è veramente alto. 15 posti sono pochi per poter risalire. Sono stati anni difficile. Nella Qualifying School 2017 ho ripreso la carta ed è stata una soddisfazione enorme, perché dentro di me sapevo che sarei un giorno tornato sull’European Tour, ma man mano che passavano gli anni non riuscivo. Sono stati anni difficili. Prenderla è stata una soddisfazione enorme”.

Quali obiettivi vuoi ancora porti in carriera?

“Vincere una gara, riuscire a giocare qualche Major, entrare a far parte dei primi 100 del mondo. L’obiettivo principale che mi viene in mente è quello di poter vincere una gara e poter giocare tanti anni sull’European Tour”.

Qual è il giocatore che ti ha impressionato di più nel complesso, tra quelli vissuti e visti?

“Senza ombra di dubbio Rory McIlroy per il talento e la facilità di gioco che ha. Impressionante”.

Talento a volte non supportato dal discorso mentale: se avesse avuto la stessa solidità mentale di Tiger Woods starebbe forse dominando da 6-7 anni.

“Però di testa di Tiger ne nasce una ogni secolo, perché è un fuoriclasse assoluto, come può essere stato Michael Jordan nel basket, come può essere Roger Federer nel tennis. Di Tiger ce n’è uno per sport secondo me. Avere quella testa lì è difficile. Però la facilità di gioco di Rory, vista da vicino, è veramente imbarazzante”.

E pensare che, pur con quella testa, Tiger rischia ancora di doversi contendere il titolo di più grande di tutti in modo completo. Non dimentichiamo di Jack Nicklaus, e dei tanti altri che l’hanno preceduto.

“Secondo me Tiger è il più grande di tutti i tempi, perché vincere tutte le gare che ha vinto lui e avere questi numeri ai giorni d’oggi è spaventoso. Dal 2000 a oggi non credo ci sia stato lo stesso livello di gioco di quando giocava Jack Nicklaus. Erano molto forti, sì, però potevano vincere un torneo in 4, 5, 6, tra lui, Arnold Palmer, Gary Player e poi Seve Ballesteros. Adesso in ogni gara sono 130 che possono vincere, per cui vincere quelle che ha vinto Tiger con questo livello è imparagonabile”.

E poi soprattutto, nei primi anni, c’era Tiger e poi c’erano gli altri.

“Esatto. Dominare il golf come ha fatto lui è incredibile”.

Riprendersi da quello che ha avuto, vincere il Masters.

“Appunto. Di Tiger ce n’è uno”.

Però anche in Italia il golf è riuscito a prendersi uno spazio, con un fiorire di giocatori non solo per quello che ha fatto Francesco Molinari.

“Quello che hanno fatto sia Chicco che Dodo è stato di grandissimo aiuto per tutti noi. Ci hanno trainati, perché per noi, che siamo abbastanza coetanei, vedere loro che vincono gare sul tour è stato di grandissimo aiuto, ci ha dato voglia di lavorare di più. Ci è stato soprattutto di stimolo. Poi quello che ha fatto Chicco è qualcosa di incredibile. Essere l’unico italiano che ha vinto un Major penso sia una cosa veramente molto più grande di quello che non si pensasse tutti e, forse, anche lui”.

Talmente incredibile che dev’essere ripetibile. Tralasciando il fatto che è andato vicinissimo al rifarlo.

“Veramente. Fino a sette buche dalla fine al Masters era lì davanti. Sarebbe stata un’impresa incredibile vincere Open e Masters di fila”.

Però lì si ritorna al discorso di prima: quando giri con Tiger devi girare prima con lui e poi con la sua testa.

“Davvero. Sono state sette buche difficili da gestire”.

E anche dietro il golf italiano sta facendo emergere buone cose, perché i nomi si vedono.

“Siamo veramente un bel gruppo, molto affiatato, e anche amici tra di noi. Dietro i giovani sono molto promettenti, hanno fatto vedere, sia Renato Paratore che Guido Migliozzi, che hanno 23 e 22 anni e hanno vinto tre gare in due”.

Migliozzi due in un anno, poi.

“Sì, questo è incredibile, se consideri quanti siamo e i risultati che facciamo”.

Anche perché il movimento golf in Italia non arriva a centomila. E sul tour europeo sono una decina. Questo premia non solo il lavoro vostro, ma di tutti quelli che ci sono intorno.

“Di tutti i maestri. Tutto il movimento italiano è di altissimo livello”.

Fra l’altro adesso c’è questa “lotta” per il secondo posto italiano alle Olimpiadi. Uno sarà verosimilmente di Francesco Molinari, l’altro se lo giocheranno in tanti.

“Sarà una bella lotta fino alla fine, diciamo”. (ride)

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Federazione Italiana Golf

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