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Rugby femminile, Valentina Ruzza: “Dal 2017 siamo cresciute tanto. Sfatati i luoghi comuni su ragazze e ovale”

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La seconda linea dello Stade Français e della Nazionale italiana femminile di rugby Valentina Ruzza racconta in un’intervista esclusiva a OA Sport come sta vivendo questo periodo di stop dello sport a causa dell’emergenza sanitaria. Parlando del suo lavoro, della famiglia, del rugby in Francia e in Italia e di cosa serve per crescere ancora.

Valentina, prima domanda ormai scontata in questo periodo. Come sono andati questi mesi di quarantena, cosa hai fatto? Sei riuscita ad allenarti?

“Sto bene, grazie! Io non vivo in centro Parigi, ma nella periferia sud. Qui si è sentito meno il lockdown, anche se per me c’è stato. Io facevo smartworking da casa, uscivo poco, ma la gente andava in giro tranquillamente, si sentiva molto meno la paura rispetto all’Italia. Hanno solo chiuso le strutture per fare sport, ma basta. Io faccio la traduttrice, mi occupo della parte italiana di un sito internet e quindi ho potuto lavorare da casa in questo periodo, anche se – al di là dell’ora di mezzi pubblici – preferisco lavorare in ufficio, dove riesco a gestire tutto, mentre in casa alla fine finivo di lavorare fino a tardi. Mi sono allenata qui in casa, ho preso degli attrezzi su Amazon, se no non potevo fare nulla. Campo e palestra non erano disponibili, ma non mi fidavo neanche di uscire a correre vista la situazione”.

Valentina, tu sei classe ’92, mentre tuo fratello Federico è del ’94. Si può parlare del primo caso – in Italia – di una rugbista che ha fatto da apripista al fratello nel mondo ovale?

“In realtà ha iniziato prima lui grazie a un compagno delle elementari e l’ho seguito io. Io facevo nuoto all’epoca e durante una partita mi invitarono a provare a giocare nell’Under10 e mi sono appassionata subito. Poi, come ben sai, le ragazze arrivano prima in nazionale maggiore, non avendo le juniores, e quindi da un lato lui si è ispirato a me, almeno così dice lui. Consigli, però, non me li ha mai chiesti, almeno non direttamente”.

Pur essendo cresciuti in una zona d’Italia ovale, quindi, non avete seguito i passi di papà o mamma.

“No, ma va detto che siamo una famiglia da sempre molto sportiva. Loro giocavano a pallavolo, ma non sono quei genitori che forzano i figli a seguire le loro passioni, anzi, ci hanno lasciato la libertà di provare. Come detto, io facevo nuoto da piccola, mentre fino a 6 anni Fede non praticava sport. Poi abbiamo conosciuto il rugby grazie a un suo amico e anche i miei si sono appassionati. Mamma e papà hanno studiato tutte le regole del rugby e fanno dei tour de force per riuscire a vederci entrambi. Forse, se siamo riusciti a emergere, è anche per questo. I miei genitori non ci hanno mai fatto pressioni, non ci hanno mai voluto dipingere – né in casa né fuori – come dei campioni, come fossimo i migliori, anzi ci hanno sempre spronato a fare meglio. Certo, come ogni mamma o papà dentro di loro erano convinti che fossimo perfetti, ma fuori hanno criticato quando c’era da criticare e ci hanno guidati”.

Da questa stagione giochi in Francia, nello Stade Français. Come va questa esperienza e come è diverso il rugby femminile in Francia rispetto che da noi?

“C’è più competitività, sicuramente. Rispetto all’esperienza con il Valsugana anche le partite con l’ultima in classifica qui ti danno filo da torcere, non ci sono partite facili. Il livello è molto più alto. Poi ci sono squadre che battono tutte, come Montpellier, ma sono poche corazzate quasi professionistiche, per il resto c’è molto equilibrio. Il numero di ragazze in allenamento è diverso, noi siamo circa 50 tra elite e federale (prima e seconda squadra, ndr.), così hai sempre la possibilità di fare un XV contro XV che da noi non si può fare. E così c’è anche competizione in squadra”.

Tu hai esordito giovanissima, a 18 anni, in azzurro e ormai sei una veterana. Come è cambiato il rugby femminile in Italia in questi anni?

“Io l’ho visto evolvere sia a livello tecnico, con Andrea Di Giandomenico che ci ha fatto fare un salto di qualità enorme, sia poi a livello di mentalità. Si è capito che il lato femminile del rugby può essere una parte importante del movimento. Abbiamo creato passione e interesse con il nostro modo di giocare, è cambiata la popolarità. Vedi più ragazze prendere spunto da noi, siamo prese come esempi da seguire. Prima era una cerchia ristretta, ora anche un maschio vede che non ci tiriamo indietro in campo, anzi. Ci divertiamo e facciamo divertire. Il punto di svolta è stato il Mondiale 2017, prima vincevamo sporadicamente, da quel momento abbiamo iniziato a vincere con più costanza e vediamo più rispetto nei nostri confronti da parte delle altre squadre. Pensa solo l’anno scorso, in Inghilterra. Certo, abbiamo perso, ma siamo arrivate alla partita a pari punti, e c’erano 10mila persone a Exeter a vederci. Mai successo prima”.

L’Italdonne è vincente e regala tante emozioni e soddisfazioni agli appassionati. Cosa manca, però, per fare ancora un salto di qualità secondo te?

“Una programmazione forse più forte alla base. Non solo la programmazione per noi come Nazionale, ma partendo più sotto, pensando a livello 17/18 anni. Penso a ragazze che giocano ancora a sette in Coppa Italia e così non possono emergere. Servirebbe una nazionale giovanile per creare un gruppo più ampio partendo da ragazze giovanissime che facciano esperienza, anche internazionale”.

Un pregio e un difetto di Valentina Ruzza in campo e un pregio e un difetto di Valentina Ruzza fuori dal campo?

“Dentro al campo, oddio, ammetto che forse a volte sono un po’ pigra, tra virgolette, potrei fare meglio. Dall’altra parte, però, sono una che si assume le responsabilità quando c’è bisogno, quando si deve, non ho paura. Un pregio fuori dal campo? Sono una persona molto generosa e buona, ma anche un po’ permalosa, anzi, un po’ tanto”.

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duccio.fumero@oasport.it

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Foto: Ettore Griffoni – LPS

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