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Salto con gli sci
Salto con gli sci, cosa serve all’Italia per raggiungere un livello dignitoso alle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina 2026
Nel mondo del salto con gli sci, ha destato scalpore l’ingaggio di Andreas Felder da parte dell’Italia. D’altronde è davvero inusuale vedere un allenatore abituato a lavorare con le superpotenze trasferirsi in una nazione di seconda fascia in campo femminile e ormai praticamente marginale nel settore maschile. Alcuni hanno visto in questa mossa un tentativo di innalzare la competitività della disciplina in vista dei Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026.
Dunque viene da chiedersi di cosa necessiti il salto con gli sci azzurro per salire di livello da qui alla manifestazione a Cinque cerchi di casa. Chiaramente, mancando ancora sei anni all’appuntamento, possono essere individuati quattro punti cardinali da tenere sempre presente per orientarsi nel percorso di avvicinamento alle Olimpiadi, che dovrà per forza di cose essere flessibile a seconda delle situazioni, al momento imprevedibili, che si verranno a creare da qui al 2026.
CONSAPEVOLEZZA DEI PROPRI MEZZI
In primo luogo è necessario prendere consapevolezza della propria dimensione. In tal senso bisogna essere realisti. Nel 2020 l’Italia è una nazione di secondo piano tra le donne ed è praticamente inesistente in campo maschile. Impossibile diventare un Paese di vertice entro il 2026, soprattutto considerando le dimensioni del movimento, che sono davvero esigue se rapportate a quelle delle superpotenze della disciplina. Pertanto, con un bacino di atleti limitato, si farà sempre fatica a trovare saltatori e saltatrici di primissimo piano. Inoltre esiste il problema budget. Le suddette superpotenze investono, solo nella ricerca dei materiali, cifre superiori a quelle che la realtà azzurra spende per l’intera attività agonistica. In altre parole, la lotta è impari, soprattutto tra gli uomini, dove il livello è mostruosamente alto. Ci sono sicuramente più possibilità fra le donne, settore in cui la situazione non è così esasperata. Di conseguenza bisogna prendere atto che l’Italia non potrà essere una front runner nelle Olimpiadi di casa. Questo però non deve fungere alibi, ma rappresenta semplicemente una presa di coscienza del fatto che, in particolar modo in campo maschile, non si potrà certo andare oltre i piazzamenti. Al tempo stesso però deve fungere da monito, nel senso che nel caso di exploit, non potranno essere vendute lucciole per lanterne, magari nel tentativo di guadagnare più visibilità mediatica, con tutto ciò che ne può conseguire. In tempi relativamente recenti, la sovrastima di certuni risultati ha avuto conseguenze deleterie sull’evoluzione di chi li ha ottenuti.
RAZIONALIZZAZIONE DELLE RISORSE
Proprio alla luce di quanto appena esposto, l’Italia deve obbligatoriamente fare di necessità virtù. Le risorse sono limitate rispetto agli attori protagonisti di questo spettacolo. Dunque, è obbligatorio ottimizzarle. La formazione delle squadre per l’annata ventura va nella direzione giusta, poiché si guarda al presente e al futuro. Il discorso vale per il salto con gli sci, ma può essere esteso anche alla combinata nordica. In ogni caso, da qui agli anni a venire sarà fondamentale ridurre gli sprechi. Le eccellenze azzurre possono e devono essere messe nelle condizioni di esprimersi al meglio, ma per farlo potrebbe essere necessario effettuare dei sacrifici, il che vuol dire non supportare più l’attività agonistica di atleti privi di prospettive. Questo potrà anche sembrare un discorso cinico, ma è la realtà dei fatti. L’Italia non si può permettere di investire tempo e denaro in saltatori e saltatrici con scarse possibilità di trovare la loro dimensione nel massimo circuito. Se un atleta non è all’altezza, non si perora più la sua causa, perché è persa. Al riguardo bisognerà avere il coraggio di mettere da parte logiche politiche, siano esse di natura territoriale o di gruppo sportivo. Se vuole essere competitivo nel mondo del salto con gli sci, il movimento azzurro deve strizzare il sangue dalle rape. Pertanto, ogni singola goccia recuperata deve essere investita in maniera proficua e non può essere sprecata per nutrire chi non ha le qualità per emergere.
Al tempo stesso, razionalizzazione delle risorse significa anche investirle adeguatamente sui tecnici. Al di là dei nomi di grido che possono essere ingaggiati, bisogna capire se essi possano essere propedeutici o meno alla causa. L’esempio di Lukasz Kruczek dovrebbe insegnare. L’allenatore polacco, arrivato in pompa magna nella primavera 2016, ha guidato il movimento a una prima stagione incoraggiante, a cui però ha fatto seguito una perenne discesa, dove non sono mancati marchiani errori strategici (vedi la campagna estiva 2017 a tutto gas che ha lasciato la squadra con il fiato corto in vista dei Giochi olimpici di Pyeongchang 2018). Dunque ben vengano gli Andreas Felder, se possono aiutare a crescere soprattutto sotto il piano dell’organizzazione e dell’autorevolezza, però non hanno la bacchetta magica sul piano della tecnica. Inoltre non bisogna dimenticare che anche in Italia esistono allenatori capaci, peraltro rientrati da esperienze all’estero, sia nell’ambito salto che combinata nordica. Saranno loro le figure da valorizzare maggiormente nel momento in cui bisognerà effettuare delle scelte.
VISIONE A LUNGO TERMINE
Queste parole vengono scritte nel mese di giugno 2020. Passerà tanta acqua sotto i ponti da qui a Milano-Cortina 2026. Proprio per questa ragione, il salto con gli sci italiano deve tenere un occhio sul lungo termine. È vero, prima delle Olimpiadi di casa ci sono tantissimi obiettivi intermedi, ma non è necessariamente degli atleti deputati a fare risultati in essi che stiamo parlando, bensì delle nuove leve che si stanno affacciando in Coppa del Mondo. In realtà il discorso dovrebbe valere per tutte le discipline, non solo per il salto, e dovrebbe essere tenuto sempre presente, indipendentemente dalla prospettiva di un grande appuntamento in casa.
Avere uno sguardo a lungo termine significa lavorare con i giovanissimi in maniera propedeutica a una loro futura competitività a livello senior. In altre parole, costruire un ragazzo o una ragazza con l’obiettivo di ottenere risultati a livello immediato, ovvero nelle manifestazioni giovanili, è assolutamente deleterio. La domanda da porsi è una sola. Cui prodest raccogliere medaglie ai Mondiali junior e alle Olimpiadi giovanili, oppure vincere in Alpen Cup? Forse all’atleta? No di certo. Non sono questi i successi che segnano in positivo una carriera. Si tratta di competizioni di categoria, dunque dalla concorrenza limitata e soggette alla precocità di ognuno, autentiche tappe di avvicinamento alle gare senior, quelle che determinano davvero il valore degli atleti e interessano al grande pubblico. Anzi, in alcuni casi i successi giovanili sono persino controproducenti, perché generano aspettative esagerate sul ragazzo o la ragazza, il quale si trova sottoposto a pressioni aggiuntive. Certo, vincere medaglie junior o gare di Alpen Cup può fare comodo in ambito federale, per dimostrare che la disciplina è viva. Però che senso ha raccogliere affermazioni giovanili, se poi chi le ottiene non è in grado di ripetersi quando più conta? Forse serve a soddisfare il narcisismo di qualche sci club o comitato, se non addirittura di qualche tecnico? Se sono necessari anni per costruire adeguatamente un ragazzo o una ragazza, si lavori in tal senso, prendendo all’acqua di rose le manifestazioni di categoria. Non è questo il contesto in cui si deve mirare a fare risultato, soprattutto se per riuscirci si sacrifica il futuro degli atleti. Se è necessario spiegarlo in federazione lo si faccia. “Stiamo lavorando a lungo termine”. Il discorso vale per il salto con gli sci, ma dovrebbe essere applicato a ogni sport (invernale e non).
SERENITA’ NELL’AMBIENTE
Infine, riguardo esclusivamente il piccolo mondo del salto con gli sci italiano, sarebbe fondamentale avere un ambiente finalmente sereno, fatto che non si verifica da tempo immemore. Detto fuori dai denti, le dimensioni del movimento azzurro sono minuscole se rapportate all’ambito globale e, nel nostro Paese, la disciplina è perennemente sull’orlo dell’estinzione, visti gli scarsi finanziamenti e il numero di praticanti. Già è un mezzo miracolo riuscire a fare ciò che si sta facendo, soprattutto fra le donne. Dunque, visto che si è oggettivamente molto deboli, bisognerebbe fare quadrato, restare uniti e lavorare tutti nella stessa direzione. Invece, spesso e volentieri dominano logiche territoriali e di campanile, che condizionano inevitabilmente il lavoro di chi si trova a dirigere la baracca. Finché non si uscirà da questa autentica guerra tra poveri latente, sarà sempre difficile costruire qualcosa. D’altronde bisognerebbe rendersi conto che ai Giochi olimpici, così come in qualsiasi gara di ambito internazionale, sia essa di primo, secondo o terzo livello, non si gareggia con la bandiera della Ladinia, della Carnia, del Friuli-Venezia Giulia, dell’Alto Adige o del Trentino. Si gareggia con la bandiera dell’Italia. Si rappresenta la Federazione Italiana Sport Invernali e il Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Dunque, bando alle beghe da cortile e che si sotterri l’ascia di guerra una volta per tutte o, se proprio non si può, almeno lo si faccia fino a Milano-Cortina 2026.
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Foto: Pentaphoto