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Tennis: Francesca Schiavone, quel Roland Garros di 10 anni fa e le tante storie d’Italia successive
5 giugno 2010. La data è quella che ha fatto la storia del tennis femminile italiano, in cui Francesca Schiavone ha sollevato, prima azzurra di sempre a farlo, la Coupe Suzanne Lenglen, intitolata a uno dei più grandi miti dell’intera storia del tennis femminile, leggenda ricordata ancora a un secolo di distanza.
Era vicina a compiere trent’anni, l’azzurra, e a Parigi era arrivata con premesse buone (ottavi a Melbourne, torneo vinto a Barcellona), ma con sulle spalle il secondo turno al Foro Italico. E all’esordio rischiò di uscire con la russa Regina Kulikova, che fu a sette punti dalla vittoria nel terzo set. Kulikova (al massimo numero 65 del mondo) che, fra le altre cose, era in predicato di diventare italiana di nazionalità sportiva, anche se ciò non si concretizzò mai.
Poi Francesca non perse un set: sconfisse l’australiana Sophie Ferguson, qualificata (6-2 6-2), la cinese Na Li, numero 11 del seeding (6-4 6-2 in un gran match sul campo 7), la russa Maria Kirilenko, numero 30 (6-4 6-4), e poi realizzò un autentico capolavoro contro Caroline Wozniacki. La danese, già allora numero 3 del mondo, fu annichilita tatticamente e sconfitta 6-2 6-3. In semifinale sembrava in arrivo una battaglia contro Elena Dementieva, ma la russa, una delle più forti a non aver mai vinto uno Slam, si dovette ritirare dopo aver perso il tie-break del primo set e rimase poi fuori dai campi per parecchie settimane. Cosa poi sia successo in finale contro Samantha Stosur è storia nota: 6-4 7-6 (2). E l’australiana, per una strana ironia della sorte, è stata anche l’ultima avversaria della milanese nel 2018 a Gstaad, poche settimane prima del ritiro. Oltretutto, tra di loro è rimasto un solido rapporto, sia fuori che dentro il campo, tant’è vero che non sono state rare loro apparizioni insieme in doppio.
Quello che ha provocato Francesca Schiavone ha fatto deflagrare un effetto domino enorme nel tennis femminile azzurro. Già c’erano state le Fed Cup 2006 e 2009 (ne sarebbero poi arrivate altre due), e poi la top ten di Flavia Pennetta nell’agosto 2009, ma uno Slam era un’altra cosa. Di finale ne arrivò un’altra, nel 2011, contro Na Li, e anche in questo caso la storia è nota, con una chiamata devastante della giudice di sedia svedese Louise Engzell (non nuova a simili errori, e che anche in futuro avrebbe fatto discutere ripetutamente per controversie di vario genere). Oltre a quel secondo ultimo atto, vennero partite leggendarie, le due (e non una sola) con Svetlana Kuznetsova agli Australian Open 2011 e al Roland Garros 2015 in testa a tutte, e il debutto sul Centre Court di Wimbledon sempre nel 2011 contro Jelena Dokic, un’altra storia che meriterebbe un capitolo a parte.
Dal 2012, cominciarono a emergere (o ritornare sulla cresta dell’onda) tutte le altre. Sara Errani riuscì a esplodere proprio a Parigi, volando in finale sull’onda lunga di una prima parte di anno già di assoluta validità, e fu la prima dopo svariate decine di anni a giocare una semifinale Slam oltre il rosso (US Open 2012, contro Serena Williams). In semifinale ci sarebbe tornata, al Roland Garros, anche nel 2013, anno in cui anche Flavia Pennetta riuscì a sfatare il tabù di New York arrivando fino al penultimo atto, dove la fermò la bielorussa Victoria Azarenka allora al top. Il numero 4 di Francesca Schiavone, il numero 5 di Sara Errani, allora sembravano le vette. Ma ancora altro sarebbe arrivato dopo.
Nel 2015, dopo numerosi altri quarti di finale a firma Errani-Vinci-Pennetta, accadde. US Open 2015: Flavia Pennetta e Roberta Vinci si involarono insieme fino alla semifinale. L’una contro Simona Halep, l’altra contro Serena Williams. Numero 2 del mondo l’una, numero 1 con Grande Slam in vista l’altra. La brindisina confermò di essere un osso duro per la rumena, già battuta nel 2013 in un ottavo di finale da montagne russe, e ne dispose con incredibile facilità: 6-1 6-3. Venne poi il turno della tarantina, che piazzò l’impresa dell’anno, perché tale fu quella di battere Serena non concedendole nulla sul piano psicologico. Fu 2-6 6-4 6-4. Prima finale Slam tutta azzurra di sempre. Flavia giocò il Masters (passato sotto vari nomi: WTA Finals, WTA Championships), come già fatto in passato da Schiavone ed Errani, e salì fino al numero 6 del mondo. Roberta, invece, andò fino al numero 7 e, nel 2016, fu la penultima italiana a giocare un quarto di finale Slam. Dopo, solo Camila Giorgi a Wimbledon 2018 mentre in tre su quattro delle grandi che hanno fatto la storia prendevano la via del ritiro.
Nel frattempo, emerse anche il tennis maschile, che da tempo viveva su pochi risultati di rilievo (i quarti a Wimbledon 1998 di Davide Sanguinetti, le semifinali a Montecarlo e Roma di Andrea Gaudenzi prima e Filippo Volandri poi). Fabio Fognini, nel 2013, vinse il torneo più importante tra gli uomini dai tempi di Rotterdam 1991 di Omar Camporese su Ivan Lendl, in questo caso il 500 di Amburgo. Ma nel 2015 cominciò a battere regolarmente Rafael Nadal, non una, ma tre volte nell’anno, e pur non avendo più raggiunto i quarti Slam (2011, al Roland Garros, mai giocati per l’infortunio durante la folle partita contro lo spagnolo Albert Montañes) è diventato con rapidità il punto di riferimento del tennis azzurro. L’apoteosi: Montecarlo 2019, un torneo iniziato in modo incerto e terminato da trionfatore, nel Masters 1000 in cui aveva già raggiunto la semifinale nel 2013 e che aveva segnato tanti momenti importanti della sua carriera, forse più di qualunque altro.
Ma la nuova esplosione passò anche da Marco Cecchinato. In due mesi, divenne uno degli ossi più duri da affrontare sul rosso, e trovò il Roland Garros perfetto, battendo in sequenza lo spagnolo Pablo Carreno Busta, il belga David Goffin e, sul Court Suzanne Lenglen, un signore di nome Novak Djokovic che, di lì a poco, sarebbe tornato quello di prima di Wimbledon 2016. Di lì, un’escalation: l’ingresso tra i big di Matteo Berrettini con il culmine della semifinale agli US Open 2019 e la partecipazione alle ATP Finals oltre 40 anni dopo l’epoca di Adriano Panatta e Corrado Barazzutti, gli ottimi risultati di Lorenzo Sonego, i blitz di Thomas Fabbiano, l’immancabile contributo di Andreas Seppi che non va mai dimenticato, le speranze di un giovane, Jannik Sinner, per il quale tutto è ancora da dimostrare, ma lo potrà fare secondo i suoi giusti tempi. Poi succede anche che Gianluca Mager s’inventi la settimana giusta, elimini Dominic Thiem e arrivi in una divertente finale a Rio de Janeiro.
La storia dell’intero tennis italiano è tornata a essere più viva che mai negli ultimi 10 anni: e lo è stata anche in doppio, perché tanti sono stati i successi, che hanno addirittura preceduto quelli di singolare. Già, perché Mara Santangelo vinse il Roland Garros con l’australiana Alicia Molik nel 2007. Poi venne Flavia Pennetta, con l’argentina Gisela Dulko, agli Australian Open 2011, e poi tutta l’epopea di Sara Errani e Roberta Vinci, cinque Slam, vincendoli tutti e con l’acuto di Wimbledon 2014 poche ore dopo la distruzione a mano armata della ceca Petra Kvitova nei confronti della malcapitata canadese Eugenie Bouchard. Successi, questi, rimasti scritti nella storia, così come quello di Fabio Fognini e Simone Bolelli a Melbourne nel 2015.
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federico.rossini@oasport.it
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Foto: LaPresse