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Tommaso Castello: “Il problema dell’Italia è la mancanza di cultura del rugby. Francia e Inghilterra di un altro pianeta”

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Il capitano e centro delle Zebre e dell’Italia Tommaso Castello racconta in un’intervista esclusiva a OA Sport come sta vivendo questo periodo di stop dello sport a causa dell’emergenza sanitaria. Tra gli studi per la seconda laurea, la delusione per la stagione bianconera e la voglia di tornare presto in campo.

Tommaso, prima domanda ormai scontata in questo periodo. Come sono andati questi mesi di quarantena, cosa hai fatto?

“Personalmente sono andati bene. Prima dell’emergenza mi allenavo in disparte con diversi problemi ancora alla caviglia. In questi mesi, sicuramente grazie al passare del tempo e con gli allenamenti specifici, ho recuperato e con il rientro a Parma mi sto allenando con i compagni di squadra. Da un punto di vista extra rugbistico, finalmente ho potuto seguire le lezioni universitarie dal vivo, grazie alle lezioni online. In pratica, guardo il bicchiere mezzo pieno e questa quarantena, al di là dei disastri che ha causato il virus, per me è stata un buon periodo”.

Hai recuperato, quindi ti rivedremo presto in campo?

“Me lo auguro, per ora mi alleno con i compagni, ma ho ancora una visita a metà luglio e spero di poter scendere in campo il prima possibile. Per ora mi impegno al massimo per poter tornare subito in campo, ma non decido io. Ne sono successe troppe per dire che sarò pronto al rientro subito”.

Hai detto che hai sfruttato questi mesi per studiare. Che cosa?

“Sono iscritto a Ingegneria meccanica a Parma, sono iscritto con la modalità part-time, sono al quarto anno e prima mi sono laureato in scienze motorie. Ma il giorno della laurea ho deciso di voler fare altro da grande. Poi, finché gioco non ho preoccupazioni di finire gli studi, però se inizio una cosa voglio farla bene, quindi mi sto impegnando per finire in tempo, studiando il più possibile nel tempo libero. Se passo un paio di esami da qui a settembre sono in pari”.

Passiamo al rugby giocato e iniziamo dalle Zebre. Quella che state vivendo è una stagione sicuramente difficile, anche se tu purtroppo hai dovuto viverla da fuori. Ti aspettavi questi risultati o pensavi che avreste potuto togliervi qualche soddisfazione in più?

“Indubbiamente speravo in qualche risultato in più. Conosco il valore della rosa e le potenzialità. Complice un po’ la sfortuna, qualche decisione sbagliata o errore di troppo in partita, ha fatto sì che una stagione che poteva essere di conferma sia stata altalenante. E’ un po’ la nostra costante alternare match ottimi, come con Leinster e Bristol, a degli scivoloni. Questo è un vero peccato, perché le occasioni, quando passano, poi sono passate. Ma negli ultimi 2/3 anni abbiamo fatto dei miglioramenti incredibili con Bradley. Dobbiamo imparare dalle nostre sconfitte ed essere più continuativi nel livello. Poi, effettivamente, è stata un po’ una stagione incasinata tra Mondiali, infortuni, Sei Nazioni”.

Anche quest’anno c’è una bella infornata di giovani dal Top 12 e tante conferme. Cosa ti aspetti dalla prossima stagione delle Zebre?

“Con la normalità possiamo ritrovare un po’ di linearità. Dobbiamo confermare i miglioramenti del passato, siamo però una squadra molto giovane, come dici tu con tanti ragazzi che arrivano dal Top 12, quindi i risultati non sono l’unico metro di misura. I giovani devono fare esperienza, ma ti dico che i nuovi mi sembrano molto promettenti e vogliosi. C’è una grande energia ed entusiasmo per poter far parte di questo gruppo fin dai primi allenamenti. Conosciamo le nostre potenzialità e vogliamo mostrarle sul campo e i giovani hanno voglia”.

Passiamo alla Nazionale. L’arrivo di Franco Smith ha sicuramente portato delle novità. Parlando con i tuoi compagni come sono state le sensazioni e cosa ti aspetti dal futuro azzurro?

“Bella domanda. A livello personale non lo so, mi aspetto di tornare a giocare con le Zebre il meglio possibile, la convocazione dipende dalle prestazioni con il club. A livello di squadra è stata forte la delusione post Mondiale, non aver giocato l’ultima partita e il risultato con il Sudafrica dove ci aspettavamo di fare di più dopo le due vittorie con Canada e Namibia che erano obbligate. Poi c’è stato il cambio alla guida, che porta sicuramente l’entusiasmo che una svolta porta con sé, ma richiede anche tempo per assimilare la nuova filosofia. Soprattutto per una Nazionale che non può lavorare quotidianamente, ma ogni tanto. Come nelle Zebre, c’è grande potenzialità al momento non ancora espressa. Ma sia Franco Smith sia Alessandro Troncon sono due coach che hanno idee chiare sul rugby che vogliono. Sono ottimista, ma darei un po’ di tempo prima di tirare conclusioni, non si può esaltarsi o criticare dopo 2 o 3 partite del Sei Nazioni”.

Cosa serve all’Italia per fare il salto di qualità e giocarsela costantemente alla pari con tutte le squadre?

“Il discorso è molto semplice. Guarda il nostro movimento e guarda gli altri. Guarda quanto è radicato il rugby da noi e quanto dagli altri. Guarda il nostro campionato nazionale e quelli degli altri. Mettendolo tra virgolette, i successi raccolti in questi anni sono un ‘miracolo’ se guardi la differenza che c’è tra noi e gli altri a tutti i livelli. Immagina un marziano che viene sulla terra e vede strutture, settori giovanili, mentalità sportiva, cultura rugbistica in Inghilterra, Galles, Francia e da noi e si chiederà di sicuro cosa ci facciamo noi con quelle squadre. Si è fatto tanto per colmare il gap, ma è difficile perché culturalmente non ci appartiene questo sport. Poi, vero che in campo si scende in 15, tutti con due gambe, due braccia, due occhi. Però nelle altre nazioni la Nazionale è la punta dell’iceberg di un movimento, da noi la Nazionale è il traino del movimento, non è l’espressione del movimento. Qui non siamo neanche lontanamente paragonabili per una questione di tradizione e cultura. Anche facendo una programmazione a lungo termine è difficile che si arrivi a pareggiare il livello del movimento in Gran Bretagna o Francia. Lì c’è una tradizione, un campanilismo che qui non c’è. Da noi è una situazione molto delicata, che si nota anche dopo l’emergenza Covid-19, e si cerca di fare il possibile con quello che si ha. Qui il traino è la Federazione, altrove sono i piccoli club che hanno una storia e una base molto più solida di noi. Qui stiamo cercando di costruirla, ma non è facile”.

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Foto: Ettore Griffoni – LPS

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