Basket
Alex Righetti, basket: “Ci abbiamo messo tanto del nostro ad Atene 2004. Ci univamo nelle difficoltà. Datome e Scola persone oltre che atleti”
Si legge Alex Righetti, si scrive un pezzo di storia della pallacanestro italiana. Tra gli uomini più importanti degli Anni 2000 del nostro basket, ha contribuito a far toccare alla Nazionale delle vette altissime: il terzo posto agli Europei 2003 e poi l’argento alle Olimpiadi del 2004. La sua più ampia parentesi della carriera l’ha avuta alla Virtus Roma, in cui è stato per sette anni, dal 2000 al 2007, e poi nell’annata 2013-2014. Ma per lui valgono tante altre stagioni: la Coppa Italia con Avellino, poi i passaggi tra Virtus Bologna, Caserta e Ferentino, prima di chiudere la carriera all’Eurobasket Roma negli anni in cui il club ha raggiunto la Serie A2. Abbiamo parlato con lui di vari argomenti nell’intervista che è qui allegata e della quale sono riportati alcuni frammenti.
Sulla pausa provocata dal Covid-19: “E’ stata una primavera sofferta per il mondo in generale. Ci siamo trovati dentro tutti, spero che ne stiamo uscendo grazie al lavoro di tutti, di chi è stato in prima linea e alla responsabilità di chi si è tenuto dentro le regole. In queste occasioni non ci si deve fare tanto un’idea: ognuno deve avere la propria personale, e quando succedono pandemie del genere bisogna essere tutti uniti e allineati, eseguendo al meglio quel che ci viene chiesto. Ci veniva chiesto di rimanere in casa, perché se no ci sarebbe stato un propagarsi della situazione. Non c’era da pensare tanto, ma rispettare le regole. Penso che questo sia stato fatto: oggi è un clima diverso, anche se il livello di attenzione c’è. Anche se il mondo sportivo è un po’ rallentato, ma è normale. Speriamo che da ottobre si ricominci a tornare alla normalità”.
Sullo stop al campionato: “Sono sempre stato favorevole, ma anche alla quarantena. La pandemia si stava propagando a livelli importanti, bisognava e bisogna stare attenti. Andare nelle regioni più colpite portandosi dietro, al ritorno, i familiari, non era la situazione ideale. In quel momento era giusto sospendere tutto. Il mondo sportivo si doveva fermare come si è fermato quello lavorativo. Poi sulle tempistiche possiamo parlarne, ma c’è stata anche tanta gente che ci lavora dietro ed è giusto che abbia rispetto. I giocatori, quando andavano in campo, avevano paura. Noi, con Valmontone, abbiamo giocato l’ultima partita a Bisceglie, il 6 o 7 marzo, l’8 hanno sospeso il campionato. Ci hanno mandato lì, a porte chiuse, con i giocatori preoccupati. Una partita in cui di senso sportivo ce n’era poco”.
Su Datome a Milano e Scola a Varese: “Giocatori super importanti a livello europeo. Presentarli penso sia un po’ superfluo, sono giocatori che non ne hanno bisogno. Molto importanti per qualsiasi squadra in cui hanno giocato. Due ruoli diversi, Luis è un 4-5, Gigi lo puoi mettere ovunque tante sono le qualità che ha. La cosa importante che hanno fatto Milano e Varese è stata di accaparrarsi due giocatori che, oltre a essere ottimi atleti, sono bravissime persone. Scola ha una varietà di movimenti tale che è difficile marcarlo, lo ricordo a Vitoria quando l’abbiamo affrontato con Roma”.
Su Carlo Recalcati: “Persona molto equilibrata, che amava arrivare al punto con la serietà del parlare. Non aveva mai sbalzi di umore. Era sempre deciso in quello che diceva. Questo l’ho sempre molto apprezzato“.
Su Svetislav Pesic: “Di aneddoti su di lui ce ne sono tanti, è uno di quei personaggi carismatici. Durante una riunione, scriveva sulla lavagna, a un certo punto si arrabbia, scrive, scrive, passa il foglio e scrive sul muro, però lui pensava di avere un pennarello che si cancellasse e invece è rimasto scritto tutto sul muro. Pennarello nero, indelebile”.
Sulla Nazionale del 2004 e un confronto con l’attuale: “Nulla viene per caso. Ci vuole sacrificio, lavoro, anche fortuna. Abbiamo avuto un po’ di tutto. Per il 90% c’abbiamo messo del nostro. Oggi cosa manca, non è facile dirlo. Quello che traspare è che è una Nazionale ricca di talento, non c’è mai stata a questo livello. Però l’impressione da fuori è come se, nel momento importante, invece di unirsi, si allontanassero. Noi quel talento non l’avevamo, ma eravamo una squadra che non mollava mai. Molte volte nelle difficoltà ci univamo ancora di più”.
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Credit: Ciamillo