Golf
Diana Luna, golf: “Le donne faticano ad imporsi, non solo nello sport. Voglio giocare ancora e aiutare le giovani”
La storia del golf femminile italiano recente passa anche dal nome di Diana Luna. Con cinque tornei vinti sul Ladies European Tour, numerose partecipazioni ai Major con un 21° posto allo US Open 2012 come miglior risultato, la romana, che oltre a continuare a giocare si trova spesso al seguito delle nostre giocatrici emergenti, è stata, ed è ancora, un vanto del golf italiano senza timore di dubbi o smentite. La sua costanza ad alto livello l’ha resa celebre e abbastanza quotata da partecipare a due World Cup e a una Solheim Cup, che per il movimento femminile è l’equivalente della Ryder Cup. L’abbiamo raggiunta in questo periodo in cui di gioco non se ne vede: ci ha raccontato la sua carriera, la vita da mamma e ha posto numerose interessanti considerazioni sul golf e oltre.
Com’è la vita al tempo del Covid-19?
“La mia è stata una vita da mamma a tempo pieno, perché con due bambine piccole, quindi si può immaginare il lavoro. Quindi una quarantena intensa. Ho imparato a fare la maestra di scuola elementare, nel frattempo“. (ride)
Quasi ad avere l’abilitazione.
“Assolutamente no, però abbiamo dovuto fare quel che si poteva!”
Essendo state le scuole chiuse, chiaramente, ci si è ritrovati a dover far imparare, a maggior ragione con i piccoli.
“Ci vuole pazienza. Sono fortunata, perché mia figlia è bravissima, però immagino che con bambini che hanno più problemi di concentrazione debba essere stato un inferno. Devo dire che sono stata, appunto, fortunata, perché ho una bambina molto studiosa, diligente, quindi è stata brava”.
C’è poi stato un problema sociale: ragazzi che avevano la scuola come ritrovo in cui stare, ora invece non l’hanno avuto e le situazioni in casa possono essere tante e diverse.
“Certo. Infatti io l’ho vissuta bene, andiamo tutti d’accordo ed è stata un’occasione di stare insieme più del solito, poi abbiamo anche la fortuna di avere un giardino e tutto il resto, però è stato un periodo difficile per molte famiglie”.
Che tipo di progetti c’erano prima dello stop e poi quali saranno una volta che le situazioni torneranno a essere più assestate?
“Qui la situazione non è molto chiara per quanto riguarda i calendari. Avevo intenzione di seguire le ragazze della Squadra Nazionale Professionisti, magari andare a vederle in qualche gara. Tutta una serie di cose che ovviamente sono saltate, e quindi ci si adatta. La settimana scorsa sono ripresi gli allenamenti, quindi sono andata a vedere le ragazze, che nonostante il lockdown hanno lavorato e si sono allenate come potevano. Per quanto riguarda il mio, di gioco, avevo anche io intenzione di fare qualche gara, quindi quando riprenderanno anche io ne farò. Sicuramente è una stagione molto ridotta”.
Sul Ladies European Tour, s’immagina.
“Sì, anche perché le donne il Senior Tour non ce l’hanno in Europa e io, avendo 37 anni, non potrei affrontarlo, è un po’ troppo presto. Sono giovane! ‘Non ho l’età’, come cantava Gigliola Cinquetti“.
Ultimamente il golf femminile italiano sta facendo vedere tante buone cose, con quattro nelle prime quindici delle dilettanti. Facendo tutti i dovuti scongiuri, possiamo prenderla come un’anticamera per un buon futuro?
“Sicuramente giocare bene da giovane può essere un bel trampolino di lancio. Sicuramente i mondi di dilettanti e professionisti sono diversi, quindi non per forza un buon dilettante diventa un buon professionista e, viceversa, un non necessariamente un buon professionista è stato un grande dilettante prima, però sicuramente aiuta. Ci mancherebbe altro. Abbiamo assolutamente tante speranze su queste giovani ragazze, che giocano benissimo”.
Non è scontato anche perché il problema è di come lo si affronta. Ognuno ha anche il suo percorso e i suoi tempi.
“È un passaggio particolare, bisogna abituarsi a un nuovo mondo, ci sono dei tempi particolari e ognuno, appunto, ha il proprio percorso. Certo, le speranze sono tante perché queste ragazze sono molto forti, speriamo che lo rimangano da professioniste”.
Lei veniva dalla generazione successiva a Silvia Cavalleri e Stefania Croce, nomi di grande rilevanza per il golf femminile italiano. Quanto sono state importanti loro come esempi?
“Certamente molto. Quando io ho cominciato a giocare erano due professioniste affermate, quindi un esempio da seguire. È sempre bello avere qualcuno nel proprio Paese che sia da traino e che ti aiuti a vedere come potrebbe essere il tuo futuro”.
Il golf femminile spesso ha avuto delle difficoltà a farsi largo.
“Quello purtroppo è il mondo del lavoro in generale. Lo sport non fa eccezione. Speriamo che le cose migliorino in tutte le professioni”.
Dalle professioni al professionismo, femminile: in Italia le cose sembravano andar bene, poi il Covid-19 ha fermato tante questioni.
“Adesso non si gioca, ma nemmeno in America hanno ricominciato ancora le ragazze. Hanno ricominciato il PGA Tour e il Korn Ferry gli uomini, ma a parte loro nessuno”.
Con, peraltro, un paio di mezzi “suicidi” sulla stessa buca.
“Ma ci sta, non è facile stare fuori dalle competizioni per qualche mese e poi essere ributtati in campo così”.
Tornando alla carriera, le prime vittorie sono arrivate in modo abbastanza rapido. La prima è del 2004 a Tenerife.
“Sì, dopo due anni che ero passata professionista, molto giovane. Fu una grande emozione. Avevamo fatto quest’intervista assieme a Federica Dassù, che fece lei la caddie l’ultimo giorno perché quello che avevo io non si presentò. Ricordo con molto affetto quella gara perché Federica mi portava la sacca, è stato molto divertente e carino”.
E sul cognome Dassù ci si potrebbe aprire un altro capitolo del golf italiano.
“Un grosso capitolo, assolutamente!”
E l’anno dopo è arrivata anche la possibilità di andare in World Cup, cosa che poi si è ripetuta nel 2008.
“Anche quella è stata una bellissima esperienza, in entrambi i casi, e in Sudafrica. I campi erano meravigliosi, ed è stato bello. Poi le gare a squadre sono sempre divertenti da giocare”.
Di gare a squadre parlando, non si può non citare la Solheim Cup del 2009, venuta dopo il back-to-back.
“Il 2009 è stato un anno pazzesco. Poi quelle due gare vinte a neanche una settimana di distanza, e la convocazione in Solheim. Questa è stata un’esperienza pazzesca, ma lo dicono tutti, perché giocare con quel pubblico, tutta quella gente, la responsabilità di una squadra, sono emozioni tutte amplificate dal fatto che si rappresenta non solo il proprio Paese, ma l’Europa”.
Con un fior fiore di giocatrici, non solo dal lato Europa, ma anche da quello USA.
“Lì c’è il meglio del meglio!”
Poi in Solheim può succedere di tutto, come insegna l’anno scorso: l’Europa aveva la classifica media peggiore da tanti anni, ed è capitato un miracolo stile Ryder Cup 2012.
“Veramente! Lì può succedere di tutto”.
Tornando al 2009, com’è stato possibile avere quel momento di grandissima forma che ha portato a questa situazione?
“Lì è stato pazzesco. Fra le altre cose mai mi sarei aspettata di vincere di una gara in Irlanda, perché io, che sono una persona estremamente amante del bel tempo e del sole, non pensavo che avrei mai vinto in un posto dove piove sempre, c’è la nebbia, c’è un tempo orribile, c’era la nebbia, un tempo orribile. Non abbiamo avuto una brutta settimana, ma la domenica non riuscivamo a partire perché non si vedeva a un metro tale era la nebbia. È stato un po’ inaspettato giocare bene in un posto così freddo”.
Da quelle parti bisogna prima guardare il tempo, anche di mezz’ora in mezz’ora, e poi pensare a cosa fare.
“Infatti è stato veramente inaspettato. Poi era un momento in cui stavo giocando bene, avevo fatto molti buoni piazzamenti nelle settimane precedenti, quindi ero sicuramente in forma. Il campo era stupendo, un links meraviglioso sul mare. È stata una bella settimana. Subito dopo, in Norvegia, è stata lì la cosa pazzesca. Ho giocato una gara di tre giorni, se non sbaglio. I primi ero lì intorno, ma non ero mai stata al primo posto. Non ero piazzata al top. E poi l’ultimo giorno mi sono trovata a scalare la classifica perché avevo giocato bene, ma soprattutto perché nessuna avanzava. Vedevo la leaderboard ed ero decima, poi nona, poi ottava, piano piano avanzavano le buche e mi trovavo sempre più su. Mi sono trovata a poche buche dalla fine ad essere nei primissimi posti. Giocavo nel terzultimo team, ho finito e ho dovuto aspettare quelle dietro. E quando mi sono accorta di aver vinto sono caduta per terra, non me l’aspettavo assolutamente. È stato veramente buffo“.
Prima di quegli anni, le biografie che dicono ‘dal 2005 al 2008 nessuna vittoria’ non rendono giustizia, perché in mezzo a quelle vittorie ci sono anche i podi.
“Ce ne sono stati tantissimi, infatti. Gli anni fra il 2004 e il 2009 sono stati anche quelli di grande cambiamento. Ho traslocato, mi sono trasferita, mi sono sposata, ho avuto anche molte ‘distrazioni positive’, ma comunque distrazioni. Nel 2007 non ho giocato molto bene, certo, abbastanza da mantenere la carta, ma ho cambiato allenatore. Anni di grossa costruzione, secondo me. Poi, nel 2009, mi sono ritrovata a giocare molto bene. Già nel 2008 l’avevo fatto, ma nel 2009 meglio”.
E nel 2011 meglio ancora.
“Nel 2010 ho avuto la mia prima figlia, quindi ho giocato poco perché è nata Elena. La mia miglior stagione è stata senza dubbio il 2011”.
Con il torneo da record, il German Open, un -24 senza mai perdere un colpo.
“Quello è stato in assoluto il più bel torneo, senza ombra di dubbio. Era molto bello, c’era tanto pubblico. Anche in Svizzera è stato bello”.
C’è stata un po’ la tempesta perfetta, nel senso che c’erano insieme il pubblico e il momento di forma, oltre a vincere in quel modo.
“Infatti è stato veramente bello”.
Negli anni successivi non ci sono state più tante vittorie, ma i piazzamenti, le zone alte sono sempre rimasti.
“Ho fatto un sacco di secondi posti. Però ho sempre continuato a giocare bene, anche se molto meno. Le vittorie vengono anche perché quando uno fa tante gare, sta sempre lì intorno, magari prende la settimana che vince. Quando uno magari fa meno gare, la probabilità di vincere ovviamente diminuisce. Ho anche giocato meno”.
Anche per motivi più che giustificati, dopotutto.
“Familiari, infatti. Poi la bambina comincia a crescere, comincia la scuola, le difficoltà oggettive ci sono. Ho continuato a giocare bene, poi è arrivata la seconda bimba e ho ridotto considerevolmente il numero di gare. Poi c’è stata anche la crisi del tour, quindi non è dipeso nemmeno tutto da me. A partire dal 2016, l’anno delle Olimpiadi, in cui mi sono ritrovata a non poter giocare per qualificarmi”.
Cos’era successo?
“Il tour europeo femminile ha cominciato ad avere i suoi anni di crisi, per cui io avevo i punti nel ranking per giocare le Olimpiadi tranquillamente. Poi hanno iniziato a cancellare un tot di gare cui ero iscritta, sono rimasta ferma, hanno scalato i punti e Giulia Molinaro, che era in America, giustamente è passata davanti, giocando tutte le settimane”.
Sarebbe stata una bella emozione e già di suo lo era perché il golf tornava dopo oltre cent’anni.
“Quello è stato un dispiacere, alla fine, perché sarebbe stato molto bello giocare le Olimpiadi. Poi me l’ero abbastanza meritato. Mi è dispiaciuto non avere la possibilità di giocarmela. Un conto è dire ‘te la giochi, hai perso’. Io non ho proprio avuto la possibilità di giocarmela. Poi la figlia grande adesso va a scuola, la piccola comincia a crescere, ho dovuto diminuire. È un discorso di lontananza, anche. Non solo ci hanno cancellato tante gare, ma quelle che c’erano si trovavano dall’altra parte del globo. Io non potevo andare un mese in Australia con due bambine piccole a casa”.
Poi c’è stato anche un calo di qualità.
“Secondo me dovuto anche al calo di gare. Tutte le giocatrici sono state costrette a tentare di andare sul Symetra. Mentre quando sono passata professionista io avevi la scelta tra l’America e l’Europa, sapevi che in America guadagnavi più soldi, ma in Europa era un tour bello, competitivo e c’erano tante gare da giocare, negli ultimi anni è diventato ‘Vuoi giocare? Vai in America’. L’Europa era diventato un ripiego, non una scelta. Adesso le cose, per fortuna, sembrava stessero sistemandosi, almeno prima del Covid-19. Abbiamo buone prospettive per il 2021, c’è stato un accordo con la LPGA, quindi io sono molto fiduciosa sul fatto che il tour europeo si riprenderà. Però ha avuto anni di grande crisi”.
Qual è stato, al tempo, il pensiero, quando hanno fatto diventare i Major da quattro a cinque?
“Devo dire che ho un po’ di dispiacere, perché comunque l’Evian Championship era considerato un Major lo stesso, anche senza il bollino. Le migliori giocatrici del mondo venivano, visto il montepremi mostruoso. Alla fine, secondo me, è stato un patto con il diavolo, perché hanno tolto l’unica gara bella europea che avevamo, ed è diventata per le americane e coreane, togliendolo dal ranking europeo e trasformandolo in Major. Le condizioni che sono state imposte per definirlo Major sono state così pazzesche per cui, alla fine, è diventata una gara americana, il che è stato un peccato per il tour europeo. Sicuramente non lo ha aiutato. È una gara dove le migliori sarebbero venute comunque, e invece hanno tolto a quasi tutte le europee la possibilità di giocarla, perché i criteri di qualificazione sono andati tutti a loro vantaggio”.
Qual è stato il campo più bello affrontato?
“Uno dei più belli in assoluto è a Fancourt, in Sudafrica, dove abbiamo giocato la prima World Cup. È però difficile paragonarli, perché sono spesso diversi”.
Quali sono state le giocatrici con cui si è sviluppato il maggior legame?
“Con tutte le italiane c’è sempre stato un bellissimo rapporto, in particolare con Stefania Croce, che è stata la mia compagna di stanza e siamo rimaste molto amiche. Ma anche con Veronica Zorzi, Giulia Sergas“.
Fuori dall’Italia?
“Con tante spagnole, che sono sempre state molto carine. Io sono sempre andata abbastanza d’accordo con tutti. Sono una persona diplomatica. Adesso le ragazze di oggi le conosco meno, ma negli anni in cui ho giocato tanto ne conoscevo tante”.
Cosa c’è nel futuro, volendo anche dopo la carriera sul Tour?
“Nel futuro penso di poter giocare ancora un pochino e spero di fare ancora qualche bella gara, poi voglio aiutare queste giovani italiane che abbiamo a crescere. Poi si vedrà. Non saprei. Per il momento guardo abbastanza vicino”.
Le figlie le indirizzerebbe al golf o le lascerebbe libere?
“Totalmente libere. Io penso che lo sport sia una carriera molto impegnativa, che richiede grande impegno, pur dando grandi soddisfazioni. Assolutamente non è mia intenzione indirizzarle in alcuna direzione che loro non vogliano prendere. Se vorranno intraprendere questa carriera, darò loro tutto il mio sostegno. Però non ho intenzione di forzarle a fare nulla di cui non abbiano voglia”.
A proposito di direzioni: ultimamente tante italiane sono andate a giocare in NCAA. Come si può valutare la cosa?
“Mi riallaccio al discorso precedente: è una scelta obbligata negli ultimi anni. Nel golf femminile, e questo non avveniva nei miei primi tempi, negli ultimi 7 anni non è stato possibile fare altrimenti. Una ragazza forte, che vuole passare professionista, è obbligata ad andare in America. Spero che nel futuro si potrà tornare ad avere la scelta che ho avuto io”.
Loro poi hanno anche la fortuna di una scelta della vita dopo il golf, dato il percorso universitario.
“Infatti è una scelta obbligata, ma comunque ottima”.
In America, poi, c’è un sistema sport-studio rodato, in Italia…
“…è impossibile. Impossibile coniugare università e sport. Noi lo sappiamo bene che anche il sistema scolastico italiano non permette agli sportivi di esprimersi. Ai miei tempi dovevo quasi nascondermi perché giocavo a golf. Invece di dirmi brava perché lo fai bene, non lo dovevo dire a nessuno, perché magari m’interrogavano apposta il lunedì mattina quando tornavo dalle gare perché non andava bene quando andavo a scuola, ma anche all’università. Il nostro sistema non aiuta chi vuole fare sport, anzi, al contrario. Anche se adesso va un pochino meglio rispetto a 15-20 anni fa. Però parlando con i professori, loro sostengono che lo sport ti distragga dallo studio, uno sportivo dev’essere per forza una persona ignorante. Ci sono dei pregiudizi incredibili“.
E invece quello non è vero, perché lo sport aiuta anche a organizzarsi. Senso di responsabilità.
“Infatti io ho dovuto fare i salti mortali, quindi lo so bene”.
[sc name=”banner-article”]
CLICCA QUI PER TUTTE LE NEWS SUL GOLF
federico.rossini@oasport.it
Clicca qui per seguire OA Sport su Instagram
Clicca qui per mettere “Mi piace” alla nostra pagina Facebook
Clicca qui per iscriverti al nostro gruppo
Clicca qui per seguirci su Twitter
Foto: Federazione Italiana Golf