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Erika Piancastelli, softball: “L’anno in più per le Olimpiadi ci può dare un passo in avanti. A Forlì arriveremo a un livello molto alto”

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24 anni, già una grande esperienza internazionale e il ruolo, di grandissima responsabilità, di capitana della Nazionale azzurra: Erika Piancastelli è tutto questo e, volendo, anche di più, nel softball italiano. Figlia d’arte (Pier Piancastelli ha giocato in A1 di baseball a Modena, Loredana Auletta ha disputato oltre 300 partite in A1 e 61 in azzurro), ha raggiunto livelli altissimi al college, McNeese State University, vedendosi anche ritirata la maglia per l’eccellenza dei suoi quattro anni dal punto di vista sportivo. L’abbiamo raggiunta per un’intervista telefonica in cui ha raccontato tante sensazioni, dal campionato in corso con Forlì alle Olimpiadi.

Per te, e in generale per tutte, com’è stato riuscire a poter tornare in campo dopo tutto questo tempo in cui siete state ferme?

“Tante emozioni. Una pausa di tre mesi è una cosa a cui noi non siamo abituate, soprattutto noi della Nazionale perché siamo sempre impegnate. Stare a casa tre mesi, senza allenarsi, senza stare sul campo, era un po’ difficile. Però finalmente siamo tornate ed è un’emozione grande e siamo molto contente di stare in campo”.

Anche perché, se non è la squadra di club è la Nazionale, se non è la Nazionale sono comunque i raduni...

“Non siamo mai ferme, non siamo abituate. Era una cosa a cui ci dovevamo un po’ adattare”.

Tu come l’hai vissuto questo continuo di star ferma?

“All’inizio era un po’ difficile mentalmente, perché stando chiusi in casa, non si poteva nemmeno uscire, non ero abituata. Trovavo delle cose da fare in casa, mi allenavo, facevo workout, trovavo delle cose per distrarmi un po’. Poi dopo un po’ diventa routine, ogni giorno che passa diventa più semplice, poi quando siamo uscite dalla quarantena era difficile uscire da quella routine che mi ero creata. Però devo dire che la quarantena l’ho vissuta bene. Ho trovato delle cose nuove da fare”.

Puoi riuscire a fare un bilancio delle prime partite che si sono giocate in questa stagione e a dare un’idea dei valori che ci sono già sul campo?

“Nei primi due weekend secondo me abbiamo giocato molto bene, soprattutto in attacco, abbiamo girato bene la mazza, la giravamo sempre al primo lancio ed era una cosa bella da vedere. In campo la comunicazione e la grinta c’erano, quindi ci siamo divertite molto. Secondo me ogni settimana, ogni partita miglioreremo ancora di più. In futuro secondo me arriveremo a un livello molto alto”.

Questo campionato doveva essere a 10, invece ora è a 9 e si è creata una sorta di disparità, perché ci sono due gironi che funzionano diversamente. Come viene sentita questa cosa?

“Noi pensiamo sempre che possiamo giocare, almeno, siamo contente per quello. Il fatto che sia cambiato un po’ il calendario e si siano aggiunte un po’ di partite per noi è una cosa positiva, si può giocare di più e si possono fare meno distanze con le partite fuori. Noi la vediamo positiva questa cosa”.

Ormai sei la capitana della Nazionale: più un onere o più un onore?

“E’ un onore essere la capitana, indossare la casacca blu. Per me rappresentare l’Italia è sempre stato un sogno e quindi il fatto che mi abbiano scelta per essere la capitana è un onore”.

Andando indietro nel tempo, quando è stato bello per te riuscire a raggiungere la qualificazione olimpica, con l'”imprevisto” dell’Olanda in semifinale e Gran Bretagna in finale?

“Il giorno in cui ci siamo qualificate per le Olimpiadi è stato il più bello del 2019 per le emozioni che sentivamo. Nel mese di luglio, anche con gli Europei che abbiamo fatto in precedenza, abbiamo giocato a un livello che non avevamo mai raggiunto. Facendolo in quell’estate lì, molto importante per noi, riuscimmo a giocare come squadra, a essere molto unite. Lì si sentiva molto di più l’unità, poi avevamo il pubblico, tanta gente, c’erano i miei genitori. Per me erano tante emozioni. La partita contro l’Olanda era la mia preferita già solo perché era l’Olanda. Noi ci aspettavamo quella come finale, e invece è stata con la Gran Bretagna, e anche quella è stata una partita molto tosta, abbiamo giocato bene come abbiamo fatto tutta la settimana e alla fine ci siamo qualificate, prendendoci il biglietto per le Olimpiadi”.

Il fatto che le stelle olandesi e britanniche giochino in Italia certifica la qualità del campionato italiano in Europa. E se si fossero giocate le Coppe europee i club italiani non le avrebbero giocate tanto per partecipare.

“No, infatti. L’Italia ha sempre due tra le prime squadre in Europa, questo è un onore e fa vedere che la lega italiana c’è, che siamo forti anche noi, che ogni anno possiamo far crescere questo sport in Italia e si vede da come noi giochiamo in Nazionale”.

A quest’ora avreste dovuto trovarvi a Tokyo, e invece siete tutte in Italia perché un preciso evento ha bloccato tutto. Ritieni sia stato corretto, vista la situazione?

“Sì. Proviamo a non pensare al fatto che dovevamo essere a Tokyo in questi giorni, ma pensiamo al futuro: abbiamo un anno in più per allenarci e diventare molto più forti sia in palestra che in campo, e anche mentalmente. Quest’anno è molto importante secondo me, per noi, e ci può dare un passo in avanti per le Olimpiadi. Quindi per noi è una cosa positiva, siamo pronte per affrontare quest’anno con un piano nuovo”.

E magari da mine vaganti, un po’ come ai Mondiali 2018, quando avete impegnato squadre molto forti e arrivando a un passo da traguardi enormi.

“Ma anche come abbiamo giocato al Mondiale, le squadre affrontate sono quelle con cui giocheremo anche nel prossimo anno di allenamenti, che ci porteranno al prossimo livello e ci aiuteranno a preparare le Olimpiadi. Sono sei squadre a Tokyo, le più forti del mondo, non ci sarà mai una partita in cui non dovremo dare il massimo. Quest’anno dobbiamo impegnarci ad affrontare tutte le squadre forti, ad essere pronte per sfidare ognuna delle altre cinque”.

Alcune le avete affrontate in Australia, a gennaio, prima del problema coronavirus. In quel momento, però, lì c’era un’altra emergenza, quella degli incendi. Come l’avete vissuta, seppur in qualche modo da lontano?

“Noi eravamo molto concentrate sul softball, anche se i fuochi erano lì intorno e si potevano sentire e qualche volta vedere gli odori. Noi eravamo in una zona un po’ più tranquilla, per noi non cambiava molto. All’inizio però avevamo un po’ paura, perché si vedeva tutto quello che stava accadendo, nelle news, di fianco a noi. Però avevamo il focus sulle partite perché le squadre che erano in Australia sarebbero state quelle da affrontare alle Olimpiadi, quindi dovevamo essere molto concentrate e giocare bene”.

Tu sei di sangue modenese, ma di formazione americana, avendo giocato quattro anni in NCAA. E sei una delle nove in tutta la storia della Division I ad aver avuto media battuta .400, 200 RBI, 50 fuoricampo e media bombardieri .800. Tant’è che t’hanno ritirato anche la maglia a McNeese. Che sensazione è stata?

“Una grandissima emozione. Non me l’aspettavo, ero lì con tutte le mie ex compagne di squadra e i tifosi dei quattro anni in cui sono stata lì. Piangevo, ridevo, perché per me sono stati i quattro anni più belli della mia carriera sia per come ho giocato che per come sono cresciuta come donna e giocatrice. Gli allenatori che aveva McNeese mi hanno spinta al limite e fatta crescere tantissimo, quella sarà sempre la mia seconda casa e ogni volta che ci torno sento tante emozioni. Per me è stata una giornata bellissima, molto emozionante”.

Se ti dovessero chiedere un parere in merito all’andare a giocare e studiare negli States, tu cosa diresti a queste persone?

“Di andare. E’ un’esperienza davvero unica, che non riesci a fare in Italia, purtroppo. Dico a tutti di fare questo passo, anche se devi andare fuori di casa, dove parlano una lingua diversa, hanno una cultura diversa, è un’esperienza che non si fa da nessun’altra parte. Ho avuto un’esperienza bellissima, lo dico sempre a tutti che per crescere devi andare al di fuori della tua comfort zone, e provare cose nuove. Il livello del softball è altissimo in America, se vuoi davvero diventare un’atleta forte l’America è il top. Se hai quest’opportunità, dico di prenderla subito”.

Che cosa ricordi con maggior piacere di quei quattro anni?

“I ricordi che mi rendono più felice sono quelli dei viaggi con la mia squadra, gli allenamenti, le ore in cui stavamo insieme. Lì, quando giochi ad alto livello negli States, nel livello della Division I, il softball diventa come un lavoro. Fai tantissimi allenamenti, tantissime ore, sei lì che rappresenti una scuola, un’università, devi fare il massimo ogni giorno, questi ricordi che ho con le mie compagne di squadra, le partite, i viaggi, gli allenamenti, le ore insieme per studiare, per un allenamento in più, sono i ricordi più belli per me. Quando dico che un’esperienza simile non si fa da un’altra parte, è per questo. Non ci sono molti posti dove riesci ad allenarti tutti i giorni, a giocare più di 60 partite l’anno. Solo in America a livello di college si può fare”.

Di recente è stato messo in piedi il progetto di Athletics Unlimited. Ce lo puoi spiegare?

“Sì. Si tratta di una lega nuova in cui, in un mondo senza coronavirus, doveva esserci dopo la lega professionistica che c’è in America. E’ un gruppo delle migliori ragazze del mondo del softball mondiale che si ritrovano insieme, siamo in 56. Ogni settimana le squadre cambiano. Ci sono quattro squadre, tre partite a settimana, e a seconda di come hai giocato in quella settimana, dei punti ricevuti, c’è più o meno probabilità che cambi squadra. Le squadre cambiano ogni settimana, cambiano i punti, se ne aggiungono ogni partita, dipende da come lanci, come giochi. E’ una lega che fa crescere lo sport rendendolo un po’ più divertente per il pubblico. Dura tre settimane, e quando andrò lì ci saranno altre atlete da Messico, USA, Canada, Australia. Le vedo tutte”.

Però, come dicevi, la programmazione è ora scombinata dal Covid-19.

“Il pubblico non ci sarà, le atlete non hanno fatto la NPF, quindi non molte stanno giocando ora. Andremo lì per allenarci e usare l’opportunità per giocare più partite, giocare contro le atlete top”.

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Di recente sei stata ospite di Storie Parallele, sulla pagina Facebook della FIBS, con Elena Linari, una delle giocatrici simbolo del movimento calcistico femminile italiano. Se non avessi giocato a softball, cos’avresti fatto nella vita?

“Per me il softball è sempre stato nella mia vita da quando avevo sette anni, quindi non ci ho pensato molto. Sicuramente se non l’avessi scelto avrei fatto un altro sport, perché mi piace giocare con una squadra, l’ambiente di squadra. Adesso che ho studiato scienze motorie a scuola, mi piace molto la palestra. Farei qualcosa del genere, ma sempre nel mondo atletico”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: FIBS / EzR NADOC

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