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Oltre Cinquecerchi

Michele Godena, scacchi: “Giocare il Mondiale 2000, pur con quel format, fu emozione grandissima. Ricordo con piacere Caruana giovane”

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53 anni compiuti da poco, un’aura di storia che si erge nel mondo degli scacchi d’Italia: dopo Sergio Mariotti, e prima dell’avvento dei tanti talenti apparsi durante e dopo il periodo italiano di Fabiano Caruana, se il nostro movimento è rimasto a galla, in qualche modo conosciuto tra il mondo, lo si deve a Michele Godena. Cinque volte vincitore del titolo tricolore, ha attraversato sostanzialmente tre ere sia italiane che mondiali, e in questo senso ha giocato contro gran parte dei miti che si sono succeduti e si stanno tuttora succedendo ai piani più alti possibili. Con il suo caratteristico sorriso, ci ha raccontato una bella fetta della sua carriera e considerazioni su molti aspetti nell’intervista che segue.

Come nasce la Sua passione per gli scacchi che l’ha portata a viverla? Si può dire che nasca sull’onda dell’eco del match Fischer-Spassky del 1972?

“Si può dire, anche se dal punto di vista temporale ho iniziato a giocare due mesi prima del match. Ho imparato da mio padre, come avviene in questi casi. Eravamo in villeggiatura, lui giocava con un altro bagnante, l’ho visto giocare a questo strano gioco, ho superato le sue resistenze iniziali (perché diceva che il gioco era un po’ troppo difficile) e poi ho visto subito che c’era una grandissima passione. Avveniva a luglio del 1972. Però obiettivamente la mia carriera è nata sull’onda di quel match. Sono entrato al circolo degli scacchi di Treviso due anni dopo, nel 1974, e si avvertiva chiaramente l’onda lunga del match. C’era il circolo pieno soprattutto nei weekend, era difficile trovare un tavolo libero. C’era un bellissimo ambiente, molti giovani che si erano iscritti, in cui sono cresciuto e ho trovato tantissimi amici, con alcuni dei quali sono ancora in strettissimi rapporti. È stato molto importante perché poi continuassi divertendomi, che è la cosa più importante”.

Quell’epoca, fra l’altro, è stata anche importante di suo a prescindere da Fischer e Spassky, perché c’era Sergio Mariotti ai suoi massimi con tanti buoni giocatori, e l’Italia organizzava tornei importanti, fino al match mondiale di Merano 1981.

“Io, come spettatore, sono stato nel 1974 a Venezia, dove c’erano Smyslov (Campione del Mondo negli Anni ’60, N.d.R.) e Mariotti, con i migliori. Ricordo quando ho chiesto l’autografo in quell’occasione. Poi nel 1975 c’è stato un altro grandissimo torneo a Milano, dove c’era il mio idolo, Tal (Campione del Mondo nel 1960 a 24 anni, per altri 30 abbondanti sulla cresta dell’onda, N.d.R.), c’era Karpov, c’era Petrosjan. Poi il match mondiale tra Karpov e Korchnoi lo hanno organizzato a Merano, ma insomma, l’Italia è stata importante”.

Poi Tal ai tempi, pur essendo diventato Campione del Mondo presto, ha continuato ad andare avanti (eccome) per trent’anni. L’ispiratore di tanti.

“Era ancora un grandissimo, e anzi in quegli anni aveva stabilito il record che è stato infranto da poco da Carlsen di partite senza sconfitte consecutive. E credo che la serie continuerà!” (ride)

Finché non arriverà qualcuno che lo batterà. Come Caruana.

Fabiano, tra i big, è quello che mi sembra abbia meno timore reverenziale nei suoi confronti, come ha del resto dimostrato anche nel match rapid di poco tempo fa. Gli ha dato un bel filo da torcere nel rapid, dove Carlsen è sicuramente un gradino sopra rispetto a lui. Però il match era finito pari nel gioco tradizionale, a tempo lungo. Sarebbe bello rivederne un altro”.

Soprattutto con le nuove regolamentazioni, che rendono un po’ più giustizia agli scacchi in quanto tali. Il tempo di riflessione aumentato può aiutare anche un po’ la qualità?

“Io vengo dall’altro millennio in cui si giocava con due ore e mezza per 40 mosse, più tempo c’è e maggiore è la qualità! Di sicuro vedremo delle belle partite. Certo, è sempre possibile che finiscano in parità, tra due mostri, anche dopo 14 partite. Intanto c’è il Torneo dei Candidati che deve finire”.

Ed è iniziato in un periodo in cui già stava succedendo di tutto. La FIDE sembra esser stata non molto previdente.

“È stata una decisione, immagino, molto difficile. Loro hanno pensato che, essendo un numero limitato di giocatori, si potesse gestire. Però non è stata una buona decisione. E immagino anche che nei giocatori aleggiava questa possibilità dell’interruzione, senza poi contare la quarantena di Ding Liren. C’è stata questa prima fase in condizioni non ottimali”.

Tornando a Lei: 1988, prima partecipazione alle Olimpiadi scacchistiche. Forse per caso o forse no, è ancora il miglior risultato italiano. La squadra era: Mariotti, Braga, Godena, D’Amore, Arlandi, Tatai.

“Mariotti era all’ultima, e io ero alla prima. Era una squadra coi fiocchi. Era stata una bellissima esperienza. Dal 1988 le ho giocate tutte fino al 2012, però essendo la prima ne ho uno splendido ricordo. Eravamo una bella squadra”.

Una lunga corsa tra mille eventi, compresa l’Olimpiade a Torino.

“Quello è stato un evento formidabile. Ricordo con grandissimo piacere. Lì è stato anche bello perché c’erano più squadre italiane, e i giovani che ora sono i primi della graduatoria nazionale erano la seconda squadra, e Vocaturo aveva fatto un risultato eccezionale. Anche la prima squadra si era comportata bene. Loro in quell’occasione hanno dimostrato che c’era un ricambio notevole, e questa è stata una bella cosa per me, vedere che iniziava a esserci un seguito a quello che avevo intrapreso io insieme ad altri. Ricordo anche con grandissimo piacere, dal punto di vista tecnico, il 2010, a Khanty-Mansyisk, dove c’era Caruana. Ero io in seconda scacchiera, c’erano Vocaturo, Brunello e Denis Rombaldoni. Dal punto di vista della classifica fummo ventunesimi, da quello tecnico fu formidabile perché giocammo con Russia, Cina”.

Poi ci fu la vittoria di Caruana su Michael Adams.

“Quella fu a Dresda, nel 2008. Nel 2010 con l’Inghilterra non ci giocammo, però fu formidabile. Tutta la squadra si comportò bene, tant’è che fummo vicinissimi a battere l’Azerbaigian di Mamedyarov e Radjabov al penultimo turno, e invece alla fine fu un pareggio. Avessimo vinto quella, poi avremmo giocato per le medaglie, invece giocammo con la Cina e perdemmo. Però ho un ricordo di quell’edizione bellissimo”.

I ragazzi di oggi, poi, l’Azerbaigian l’hanno battuto nel 2017 agli Europei.

“C’ero anche io, anche se quel giorno avevo riposato. Li battemmo, o li batterono al primo turno, e poi gli azeri vinsero”.

Poi venne il loro capitano a dirvi qualcosa…

“Disse che li svegliammo con quella sconfitta! (ride) Effettivamente portò loro bene”.

In quegli anni Lei partecipò al Torneo di Capodanno a Reggio Emilia, ai tempi uno dei più forti che c’era.

“Ho ricordi bellissimi, intanto per il fondatore del torneo, Enrico Paoli (personaggio che ha fatto la storia degli scacchi italiani, vissuto peraltro ben 97 anni, N.d.R.). Apriamo anche una ferita, perché purtroppo la tradizione si è interrotta qualche anno fa ed è stato un grandissimo peccato. A Reggio Emilia ho vinto il mio primo Campionato italiano, fatto con una formula in cui c’erano, per poter dare la possibilità di fare una norma di Grande Maestro, tre super GM, Rafael Vaganjan (armeno), Lajos Portisch (ungherese) e Zurab Azmaiparashvili (georgiano), e vinsi con tutti e tre in quell’occasione. Non riuscii a fare la norma di GM, ma vinsi il mio primo campionato italiano. Poi anche nel 2009, quando arrivai primo a pari merito con Caruana, anche lì credo di aver fatto una performance niente male. Poi l’Open 2007, rimanendo imbattuto. C’erano Kamsky, Caruana, Almasi e altri super GM. Tanti bei ricordi. Quei tornei chiusi sono serviti a me e molti di noi per migliorare moltissimo e avere queste esperienze ad altissimo livello. Ce ne vorrebbero di più di tornei come quelli in questo periodo”.

Lei che ricordo ha del primo Fabiano Caruana, che passò da ragazzo con la Federazione italiana?

“Ho un bel ricordo. È un ragazzo molto tranquillo. Per me è stato un onore giocarci assieme e vedere la sua crescita impetuosa e inarrestabile, cosa che in parte sorprese anche, secondo me, la Federazione americana, che sulle prime all’inizio forse non credeva moltissimo in lui. La Federazione italiana credo che lo abbia aiutato parecchio, che lui lo sappia. Quel periodo è stato formativo per lui, quello in Europa. Il mio ultimo Campionato Italiano vinto nel 2006 fu in uno spareggio con lui, che poi vinse tutti quelli successivi a cui partecipò. È uno spettacolo come giocatore. Aveva una disciplina, un senso del lavoro, perché lavora tantissimo. Mi piaceva moltissimo la sua capacità di riprendersi dopo le sconfitte. Questo è un aspetto anche psicologico che gli ho sempre invidiato. Nel mio caso non è sempre successo così: qualche volta dopo un risultato deludente, una patta che è diventata una sconfitta, tendo a metterci un po’ a riprendermi. Invece lui riesce a dimenticare subito e a giocare la partita successiva al meglio”.

Quale ritiene sia stato il passo più importante verso la scalata al titolo di Grande Maestro ottenuto nel 1996?

“I miei passaggi di categoria sono stati abbastanza graduali. Per diverso tempo, topo aver ottenuto il titolo di Maestro Internazionale, sono andato vicino al titolo sfiorando la norma in numerosissime occasioni. Probabilmente la prima norma di GM è stata quella di Asti, per sbloccarmi. Poi ne ho fatta un’altra a Linares, a Reggio Emilia, a Montecatini. Certe volte capita così. È necessario sbloccare tappe. Allo stesso modo era successo con il titolo di Maestro Internazionale nel 1988. Lo sfiorai diverse volte e poi ne feci tre una dietro l’altra”.

Fare una norma a Linares, poi, non era poco.

“All’Hotel Anibal dove si giocavano i supertornei. Anche quello è un bel ricordo. Ed era uno zonale, persi l’ultima ma fu notevole”.

Di zonali parlando: fino a quel momento l’unico italiano che era riuscito anche solo a sfiorare l’asticella delle qualificazioni ai match mondiali, leggere alla voce Interzonale, era Sergio Mariotti.

“Lui era arrivato a giocarlo a Manila nel 1976. Fece un risultato notevole, pur non qualificandosi: basti ricordare che aveva gli stessi punti di Spassky. Nel 2000 il risultato cui forse sono più legato è la qualificazione per il Mondiale allo zonale di Mondariz. Anche perché venne alla fine di uno spareggio monstre. C’era un ultimo posto, il sesto, e dovemmo combattere in dieci. Quello che ne emerse fui io, vincendo uno spareggio finale con Tiviakov. Ricordo che avevo, alla fine, una tale adrenalina addosso che feci un salto in alto da record”.

Una cosa non convenzionale.

“Ricordo anche l’applauso scrosciante dei miei colleghi alla fine, alla premiazione, in serata, perché riconoscevano che si trattava di un risultato anche dal punto di vista fisico e nervoso, oltre che tecnico, di notevole valore. Anche perché ero il meno quotato del gruppo in termini di ELO”.

Quel risultato ebbe pure una discreta eco in Italia.

“Giocai il Mondiale. Un unicum al tempo. Fu il Mondiale che vinse Anand, ma partecipare alla fase finalissima, anche se quel periodo è tanto criticato perché si assegnava il titolo con questa formula a tabellone tennistico, è stata un’emozione grandissima”.

Infatti è ambivalente perché in molti tra gli entrati dalle zone più basse hanno avuto l’opportunità di giocare per il Campionato del Mondo, ma è altrettanto vero che quel Campionato del Mondo era un po’ malvisto, con quella formula. In quel periodo c’era la spaccatura.

“Nell’ambiente tutti preferiscono, io stesso compreso, il sistema attuale. Siamo legati alla sequenza Steinitz-Lasker-Capablanca-Alekhine fino ad arrivare a Kasparov. Poi c’è stata la fase in cui hanno vinto Khalifman (russo, nel 1999, N.d.R.), Ponomariov (ucraino, nel 2002, N.d.R.), Kasimdzhanov (uzbeko, nel 2004, N.d.R.). Anche se devo dire che quel torneo ha avuto un vincitore tra i più degni. Su Anand niente da dire”.

Ed è sottovalutatissimo, ma è tra i maggiori della storia. Si tende a ricordare i tre K (Kasparov, Karpov, Kramnik), ma Vishy non lo ricordano mai.

“Lo ricordo perché è della mia generazione. Ho avuto la fortuna di giocare dei Mondiali Under 20 dove c’era lui. Io ero ’69, lui ’67, ma già allora si vedeva che eravamo in presenza di un super. Ricordo che stavamo analizzando una partita sospesa, io con un altro partecipante, da diverse ore. Quando passò lui, si fermò un po’, ma non tantissimo, dando le sue varianti e poi verificammo che erano corrette. Rimasi veramente impressionato”.

Cosa ricorda del match con il moldavo Viorel Iordachescu, il primo turno del Mondiale 2000?

“Era un match fattibile. Pattammo le prime due partite a tempo lungo, e in una delle due forse stavo anche un po’ meglio. Poi la prima rapid col Bianco sentivo l’obbligo di vincerla, come spesso mi accadde, pensai troppo, mi trovai in zeitnot in una posizione abbastanza equilibrata e poi persi. Con il Nero cercai di recuperare in tutti i modi, ma non ce la feci. Pattai e fui eliminato. Avvertivo un’emozione grandissima, in quei giorni il fatto di essere lì forse mi ha un po’ bloccato, ma in ogni caso sono stato comunque felice. Spero che molti altri italiani possano provare queste emozioni”.

In quegli anni Lei è praticamente passato tra due generazioni di scacchisti, quelli dell’epoca dei K e quella dei big attuali. Tra loro, Lei ha affrontato Carlsen quando aveva 15 anni.

“Nel 2003. Posso dire di aver vinto il torneo davanti a Carlsen. Con lui ho giocato e ho pareggiato una partita in cui sicuramente avevo un vantaggio decisivo, però lui riuscì a cavarsela. Vinsi il torneo a Taormina con un punto di vantaggio su lui e altri giocatori. È una medaglia che mi appunto al petto”.

E poi ce ne sono tanti, Aronian, Portisch di cui si è detto, Naiditsch…

“Un altro è Samuel Reshevsky. Un mito assoluto che incontrai quando feci la prima norma di MI a Lugano nel 1988. Gli americani erano Reshevsky e Seirawan. È un mito assoluto, è stato per molti anni uno dei contendenti che i sovietici temevano di più”.

Era un prodigio.

“Sì, è stato un bambino prodigio, ha partecipato al torneo AVRO del ’38, a quello mondiale del ’48, ha pareggiato il match con Fischer nel 1960, e poi è diventato un signor giocatore”.

Fischer che è stato sicuramente il personaggio, al di là dello scacchista, più complesso della storia degli scacchi. Il personaggio per eccellenza.

“Decisamente. Essendo poi sbocciato nel periodo della Guerra Fredda, ancora di più ha colpito l’immaginario collettivo e tutto il mondo mediatico. Poi lui era molto particolare, anche le sue uscite successive lo hanno dimostrato. A me, come scacchista, piace ricordarlo per quello che ha fatto nel nostro mondo e ha fatto sì che anche il ruolo dello scacchista venisse considerato diversamente. Si batté anche, rischiando molto, perché le condizioni per i giocatori migliorassero. La cadenza Fischer è un’altra sua invenzione”.

E non solo quella.

“I suoi risultati, i suoi 6-0. Non pareggiava mai, giocava sempre fino alla fine. Anche Carlsen fa così, riesce a torturare i suoi avversari e a cogliere ogni attimo a suo favore”.

Che poi è la ragione per cui nella prima del match con Caruana, quando gettò via il punto intero, andò avanti per 50 mosse abbondanti. Durò sette ore.

“Tipico di questi giocatori che sono insaziabili, che sentono l’odore del sangue. È una modalità che solo i più grandi hanno”.

Sempre di personaggi parlando: anche Kasparov ha avuto quel suo modo di essere, perché era un sovietico a suo modo strano.

“Anche lì c’era la contrapposizione tra lui e Karpov. Karpov forse più politico, ben visto dal partito, dai poteri. C’era uno splendido dualismo dal punto di vista scacchistico. Tifavo Kasparov perché lo stile di gioco mi piaceva di più, però erano due giocatori formidabili e ci hanno lasciato partite memorabili nei loro tanti scontri. Mi è dispiaciuto che Garry abbia smesso così presto, però probabilmente sentiva di non essere più in grado di mantenere facilmente il primo posto. Adesso che non sono più tanto giovane ho una predilezione per i giocatori longevi, tipo Korchnoi, Smyslov, Lasker, perché sento quanto sia difficile mantenere i livelli di gioco alti nei tornei, quando gli anni passano, perché sono fatiche fisiche e nervose notevoli. Vedere questi grandi che in età avanzata si qualificavano ancora per i Mondiali era ammirevole”.

Anche Korchnoi è un altro di quelli con una carriera infinita.

“Ho avuto la sfortuna di giocarci una decina di volte. È un caso quasi unico. L’ultima in cui ho giocato contro di lui era nel 2012, aveva 81 anni e ricordo un episodio. Ero in un torneo a squadre, giocavo in Svizzera, avevo il Bianco, e dopo una ventina di mosse, in posizione equilibrata, gli proposi patta, pensando che fosse fattibile per lui, lo vedevo già molto affaticato. Non so se non sentì o fece finta di non sentire, ma rifiutò, giocammo una partita lunghissima, fu l’ultima a finire. Finì patta, rischiò di perdere. Però era incredibile. Un combattente, viveva di combattimento. Era la sua vita. Anche a ottant’anni passati. Una cosa che non dimenticherò mai”.

A proposito di gioco a tavolino: Lei è sempre stato noto perché nelle prime 20 mosse pensa tanto, lasciandosi poco tempo per le altre 20. Come nasce quest’abitudine?

“La ringrazio perché la chiama caratteristica, ma sarebbe più giusto chiamarla difetto. Scherzando, al circolo scacchi di Treviso, quando entrai negli Anni ’70, le prime partite con l’orologio che giocai ero velocissimo. Ricordo che c’era un Candidato Maestro, ora mio grande amico, che dopo una sconfitta in una partita di 50 mosse in cui impiegai 12 minuti mi fece notare che c’erano stati diversi momenti in cui sarebbe stato il caso di riflettere un po’ di più. Da allora, scherzando, imputo a lui il mio cambiamento di regime. A parte gli scherzi, forse c’è anche un po’ di insicurezza. Poi, obiettivamente, nella mia carriera, ho sempre prediletto lo studio dei finali e del mediogioco. A inizio carriera le aperture non erano il mio forte. Mi sono costruito un repertorio abbastanza consolidato, anche se non esteso. Poi c’è sempre il bisogno, almeno mio, di cercare sempre la mossa migliore, anche se mi rendo conto che per certi versi non è razionale. Ci sono certe posizioni in cui ti dispiace quasi di muovere, però è il tempo a costringermi. Adesso non più, ma negli anni giovanili giocavo abbastanza bene con poco tempo, anche le partite blitz. Avevo sempre dei buoni risultati. Questo forse incideva anche un po’ su questo mio modo di comportarmi. Ogni mossa è una “sliding door”, questo un po’ cambia. Può essere anche uno dei motivi. Obiettivamente è stato un difetto nella mia carriera, come anche quello che è stato un nostro allenatore, sovietico e poi russo, Yuri Razuvaev, mi diceva che se avessi messo a posto questo difetto sarei arrivato a 2600 con relativa facilità. Ma non avremo mai la controprova”.

Ma anche 2561 non è proprio male.

“Questo è il mio record. Forse non era impossibile arrivare anche a questa soglia più alta”.

Lei ha dedicato un libro alla Siciliana, variante Alapin. 1. e4 c5 2. c3.

“Quando parlavo del repertorio consolidato, questa è forse quella per cui sono conosciuto a livello internazionale. Il libro è “La mia Siciliana”, che cominciai a giocare a fine Anni ’70-inizio ’80. All’epoca l’Alapin era poco conosciuta, a livello teorico perfino sull’Informatore scacchistico, che era la pubblicazione più nota al tempo, ricordo una partita in cui un Grande Maestro ungherese metteva un “?!” a 2. c3. Mossa dubbia. Questa è stata quasi una provocazione per chi, come me, era così legato a quest’apertura. Sveshnikov è stato un altro che ha difeso la Alapin per tanto tempo e ha ottenuto tanti risultati. L’ho giocata con Carlsen, con Caruana, ci ho battuto Aronian. Mi ha servito bene, diciamo! (ride)

Com’è vivere gli scacchi al tempo del virus, dal momento che tutti si sono spostati online?

“Penso che sia una dimensione più adatta ai giovani. Mi è molto dispiaciuto perché avevo una serie di tornei molto interessanti. A marzo dovevo giocare il Mondiale seniores, Over 50, a Praga, e purtroppo non siamo riusciti ad andare. Ci sarebbe stato anche Alberto David, il Campione Italiano in carica. Visto che l’anno scorso siamo arrivati secondi, avevamo delle speranze di migliorare ulteriormente”.

Anche lui con una storia.

“È un grandissimo giocatore italiano, e anche in ambito seniores avremmo potuto dire la nostra. Poi hanno annullato il Campionato Italiano, avrei dovuto giocare ad aprile l’Europeo individuale in Slovenia. Soffro un po’, la dimensione a tavolino è quella che ho vissuto quasi 50 anni ed è quella che desidero riprendere ardentemente. Spero arrivi un vaccino molto presto, così sarà più facile partecipare ai tornei. Temo però che la stagione 2020 sia andata o quasi. Ho approfittato in questi mesi per studiare un po’ di aperture, ho rimesso un po’ a posto il mio archivio di partite scoprendo alcuni formulari che avevo dimenticato”.

Per esempio?

“Un campionato dell’88 che vincemmo con la squadra di Treviso. Cose piccolissime, ma per me hanno avuto e hanno un grande valore. Un bellissimo ricordo, perché un campionato italiano, anche se minore, vinto con il mio circolo di appartenenza iniziale. Non avevo più le partite, le ho ritrovate nei vari traslochi. Naturalmente gioco qualche partita su internet per cercare di mantenere un po’ l’occhio, ma non mi piace. Un’oretta, non di più. Come diceva Razuvaev, non esagerare”.

Anche perché non è la stessa cosa.

“No, non lo è. Suggerirei anche ai giovani di non eccedere, ma di fermarsi un attimo ad approfondire il gioco con l’aiuto del computer cercando di non essere troppo passivi e cercando di penetrare nei segreti di questo splendido gioco. Non fare partite lampo o bullet, che trovo poco formative”.

Il movimento scacchistico italiano, dagli anni in cui era Lei a quasi reggere la baracca, sta diventando davvero buono, vista la quantità di nomi presenti.

“Sono d’accordo. Per questo dobbiamo ringraziare anche e soprattutto la Federazione Scacchistica Italiana e in particolar modo il presidente Pagnoncelli. Da quando c’è lui ai vertici dello scacchismo nazionale c’è un’attenzione maggiore anche al settore giovanile. Anche in questo periodo il Consiglio Direttivo ha deliberato un aiuto straordinario a tutti gli atleti, che è stato molto apprezzato, il che dimostra l’attenzione che ha questa dirigenza per i suoi giocatori. Io ho la conoscenza del lungo periodo per dire che non è stato sempre così, anzi. Quando ho deciso io di dedicarmici, forse a quel tempo la dirigenza aveva visto la mia crescita come una cosa un po’ bizzarra, e mi fa piacere che adesso ci siano dei giovani. Francesco Sonis ha vinto un Europeo Under 18, Luca Moroni ha quasi vinto un Mondiale giovanile. Naturalmente si spera sempre di fare meglio. Il momento critico è quello attorno ai vent’anni, in cui bisogna decidere cosa fare del proprio talento. Spero che tutti continuino con determinazione, ma non è detto. Questo è il pericolo maggiore che vedo io. Obiettivamente vivere come giocatore, in questo periodo in cui la concorrenza è così ampia, non è facilissimo. Questo però non è solo compito della Federazione, ma anche del sistema scacchistico italiano, dei privati. Si spera che arrivi qualcuno così come è arrivato Rex Sinquefield, il miliardario americano. Non pretendo qualcosa di simile, ma anche in misura molto minore aiuterebbe i giovani a tenere alto il nome dell’Italia. Il mio sogno è vedere l’Italia combattere per l’oro olimpico”.

E a medaglia abbiamo rischiato di andarci un paio di volte.

“A Khanty-Mansiysk noi, appunto, non eravamo lontani. Però speriamo si rientri nella normalità”.

Parlavamo di vita scacchistica: ci sono i casi di Francesco Rambaldi, in America, e Axel Rombaldoni, che ha cambiato vita.

“Prima mi riferivo anche a loro. Parliamo di giocatori fortissimi, che hanno ottenuto già risultati, e che dal punto di vista agonistico, nel caso di Rombaldoni sono diversi anni che non gioca. Rambaldi ha fatto la scelta di studiare lì, riducendo molto l’attività nei tornei. Lui ho avuto l’occasione di accompagnarlo al Mondiale Under 20 nel 2015, giocatore che stava facendo dei passi in avanti grandissimi, molto vicino al 2600. È stato molto vicino a vincere il Mondiale, ha perso due partite, soprattutto una in maniera incredibile. Il Mondiale Under 20 sarebbe stato un unicum nella storia dell’Italia. Ognuno fa le sue scelte personali, niente da dire, gli auguro la miglior fortuna in qualsiasi campo lui decida di impegnarsi. Sono tutti giocatori che hanno dedicato agli scacchi anni, impegno, risorse, dispiace se non continuano. Citando Razuvaev, diceva che per creare un giocatore di livello internazionale, un talento, ci vuole una decina d’anni. Mi rendo però conto che si arrivi in un momento in cui bisogna fare delle scelte e gli scacchi non sono sempre al primo posto. Quello più convinto adesso mi sembra Luca Moroni, nel continuare la carriera con grande determinazione”.

Invece, per quanto riguarda gli scacchi mondiali, adesso c’è il dominio Carlsen-Caruana, l’arrivo di Firouzja e l’onda indiana che arriva.

“Ora forse è presto, però Firouzja sembra veramente forte. Poi di indiani ce ne sono tanti, e magari ora ne cresce qualcun altro di cui non si sa il nome. Attenzione ai cinesi: ne escono pochi dal Paese, ma quelli che escono sono formidabili. Anche Ding Liren, se non avesse avuto questa disavventura della quarantena, sarebbe stato il favorito ai Candidati. Io spero sempre che dei grandi nuovi campioni giovanissimi nascano anche in Italia”.

C’è un discorso particolarmente legato alle donne: si creano i titoli specifici per le donne, però gli scacchi non sono uno sport fisico, ma mentale. Come ha dimostrato Judit Polgar, le donne possono arrivare a fare quel che fanno gli uomini.

“Penso di sì. Arriveremo probabilmente ad un futuro in cui sarà la normalità”.

Magari in un futuro ci sarà una Campionessa del Mondo assoluta.

“È uno sport della mente, perché no? E Judit lo ha dimostrato, non era lontanissima dal farlo”.

Lei poi i grandi li ha battuti tutti.

“Esattamente. Devo dire che anch’io, tra le vittorie che ho avuto, ne annovero una anche con lei. È un’altra partita che ricordo delle Olimpiadi di Dresda con particolare piacere. Vincere con un mito assoluto come lei non capita tutti i giorni”.

Del resto anche tutta la sua famiglia è stata importante.

“Zsuzsa (oggi Susan, N.d.R.) è stata Campionessa del Mondo, Zsofia ha giocato meno, ma raggiunse quel risultato formidabile nell’Open di Roma nel ’90. Poi smise prima. E Judit nel 2005 ha giocato a St. Louis, quando vinse Topalov, giocò molto bene. Era nel gruppo dei pretendenti al titolo, ristrettissimo. Li ha appunto battuti tutti, uno stile molto aggressivo, una tattica formidabile”.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: Federazione Scacchistica Italiana (sotto Godena, il Presidente FSI Gianpietro Pagnoncelli e il leggendario Ennio Morricone)

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