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Simone Marino, karate: “Sono stato sul punto di mollare, ma poi che gioia agli Europei 2017! Sogno di partecipare alle Olimpiadi”

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La storia d’amore tra Simone Marino e il karate ha i contorni di una favola o, se preferite, di un film a lieto a fine. Il turning point di questa storia è sicuramente l’inverno a cavallo tra il 2016 e il 2017, quando il giovane toscano, messo ai margini dalla Nazionale e affascinato da una carriera nell’ambito sanitario, è sul punto di abbandonare il karate. Ma, come nelle migliori narrazioni, a gennaio arriva l’inaspettata chiamata della Nazionale: è il segnale divino che gli indica il via ed è solamente l’inizio di un 2017 da urlo, coronato dalla medaglia d’oro agli Europei di Kocaeli, conquistata in finale contro il padrone di casa e pluricampione olimpico Enes Erkan. L’atleta dei Carabinieri non vuole certamente fermarsi lì e sogna nuovi traguardi, in primis la partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo. L’abbiamo raggiunto telefonicamente per un’intervista nella quale King Maro, come gli piace farsi chiamare, ha spaziato a 360° tra passato, presente e futuro.

Simone, in questo momento dovreste essere nel pieno della stagione agonistica e invece le competizioni ufficiali sono ferme in attesa di un’imprecisata ripartenza. Come stai vivendo questa situazione?
È sicuramente qualcosa di atipico: questo doveva essere il periodo clou, con le Olimpiadi in arrivo, e invece ci troviamo in una situazione completamente differente. Inizialmente è stato difficile, eravamo quasi increduli, non davamo la giusta importanza a quanto stava accadendo. Poi chiaramente di fronte a un allarme di questo tipo ci siamo ridimensionati, abbiamo accettato la situazione e siamo consapevoli che quest’anno può essere tempo prezioso in più per lavorare ancora meglio”.

Come hai trascorso il lungo periodo di lockdown? Sei riuscito ad allenarti?
“Devo dire che ho vissuto abbastanza bene il periodo di lockdown. Io sono stato fortunato perché in casa avevo mio fratello che è alto all’incirca quanto me: siamo riusciti a raccattare un tatami, l’abbiamo montato in salotto e ci siamo allenati. Poi ero costantemente in contatto tramite videochiamate con i tecnici della Nazionale e dei Carabinieri, per cui abbiamo potuto stilare un bel programma di lavoro”.

Come sappiamo, le Olimpiadi di Tokyo sono state spostate al 2021. Tu sei ventunesimo nel ranking dei +75 kg, ma hai ancora la possibilità di qualificarti tramite il torneo preolimpico. Quanto ci speri?
“Ci spero tanto, è il mio sogno nel cassetto. Per il karate sarà la prima volta alle Olimpiadi, io ho 23 anni e varcare la soglia di quel tatami sarebbe qualcosa di meraviglioso. Per me è un sogno che si può raggiungere, quindi l’obiettivo è solamente posticipato di un anno. Chiaramente, a livello di preparazione, è cambiato tutto: prima del lockdown c’erano talmente tante gare che non avevo il tempo di focalizzarmi sui singoli dettagli, mentre ora posso lavorare meglio sia a livello fisico sia per migliorare alcune tecniche in cui sono carente. Lo considero un periodo di costruzione pura ed è molto positivo per me”.

Come ti sei avvicinato al karate? E cosa ti piace di più di questo sport?
“Mi sono avvicinato al karate un po’ per gioco: guardavo i film di Jackie Chan in tv, mi piacque molto e decisi di provare. Andai in una palestra e cominciai facendo kata, però mi annoiavo ed ero veramente scarso. Pensavo quindi che non fosse lo sport adatto a me, poi il mio primo maestro me ne ha mostrato un’altra faccia, il kumite, e da lì me ne sono innamorato. È uno sport individuale, ma in realtà dietro c’è tutto un lavoro di squadra che è fondamentale. È uno sport molto formativo per chiunque: insegna il rispetto e aiuta a creare dei legami unici attraverso la condivisione di momenti indimenticabili”.

Nell’inverno tra il 2016 e il 2017, preso in mezzo tra allenamenti e università, sei stato vicino ad abbandonare il karate. Cosa mi racconti di quel momento?
“Fu un periodo abbastanza brutto per me. Ero stato messo momentaneamente ai box dalla Nazionale e quindi dovevo preparare ogni gara da me. Poi c’era l’università di mezzo, momenti difficili anche in famiglia. Ero davvero in difficoltà e lì per lì, tra l’amarezza di non far più parte dell’élite e l’opportunità di potermi laureare in Scienze Infermieristiche, stavo prendendo seriamente in considerazione la possibilità di abbandonare. Poi ci fu un evento sorprendente: a gennaio fui convocato dalla Nazionale e da lì le cose sono andate in maniera completamente differente”.

Poi, appunto, sempre nel 2017 è arrivata l’incredibile vittoria della medaglia d’oro agli Europei di Kocaeli. Se ci ripensi hai ancora i brividi?
“Assolutamente sì, mi sono venuti semplicemente ascoltando la domanda. Fu un’annata pazzesca, al solo pensiero di quella finale ho ancora i brividi. Fu davvero qualcosa di memorabile, che mi porterò sempre nel cuore. Se ci ripenso sembra veramente un film, con un lieto fine fantastico. Però ‘the show must go on’, vado avanti verso nuove sfide”. 

Hai un modello a cui ti ispiri? E quali sono le principali qualità che deve possedere un karateka?
“In realtà non ho mai avuto un modello a cui mi ispiravo, se non me stesso. Fin da piccolo mi sono attribuito il soprannome di ‘Maro’ e mi vedevo come un grande karateka futuro, destinato ad essere una sorta di leggenda. Quindi era come se combattessi per diventare il me stesso del futuro. Riguardo alle qualità che deve possedere un karateka, sicuramente ti dico l’umiltà, la voglia di fare e di divertirsi, perché spesso, quando si entra nel ciclone della competizione, ci si dimentica che lo sport è prima di tutto divertimento”.

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Come giudichi il movimento italiano? Potremo toglierci soddisfazioni in quel di Tokyo?
“Penso proprio di sì. Mi sento spesso con i ragazzi della Nazionale e sono tutti molto motivati. Questa è un’occasione unica, stavamo facendo molto bene e sono convinto che potremo raggiungere grandi risultati”.

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antonio.lucia@oasport.it

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Foto: FIJLKAM

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