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Basket
Sofia Marangoni, basket femminile: “Campobasso in A1, sono contenta ed entusiasta. Importante ricominciare la vita normale anche sportiva”
Due anni sui tre di vita della Magnolia Campobasso giocati in A2, e ora il nuovo approdo in A1: Sofia Marangoni ritorna nel massimo campionato trainandovi una società che è al suo primo anno così in alto e che, soprattutto, diventa la più valente espressione dello sport molisano di cui si abbia notizia negli sport di squadra. Come l’intervista che ci ha concesso lascia ampiamente capire, non parliamo soltanto di una giocatrice che scende in campo, ma di un’innamorata in senso assoluto della pallacanestro, che ne conosce le pieghe e per cui la Nazionale, almeno a livello giovanile, ha portato memorie abbastanza belle da poter essere raccontate in maniera molto precisa, quasi come quegli eventi si fossero svolti molto più di recente.
In pochi mesi siete passate dallo stop anticipato alla possibilità di giocare l’A1. Come l’hai vissuto questo turbinio di sensazioni che si sono succedute in poco tempo?
“È stato proprio un miscuglio di sensazioni, perché si è passati da un blocco improvviso in cui non si sapeva se si sarebbe ricominciato o no. C’era questo senso di “cavoli, la stagione non è finita, però bisogna restare a casa, e mantenerci in forma”. Poi è arrivato il blocco, e un senso di amarezza e tristezza, perché stavamo facendo un bel percorso. Siamo state interrotte non dico sul più bello, però avevamo creato un clima di squadra positivo e che penso ci avrebbe portato a belle cose. La vittoria non si sa, sul campo ci sono anche gli avversari con squadre che stavano facendo ottime stagioni, però c’erano le basi per far bene. Eravamo cariche, entusiaste, sia tra noi ragazze che tra lo staff. Poi c’è stato il blocco, che ci ha dato una bella mazzata, perché per le giocatrici vincere sul campo è un’altra cosa. Poi noi a Campobasso abbiamo un tifo molto attaccato a noi, e numeroso. Se fossimo riuscite a vincere sul campo sarebbe stata festa tutta l’estate.Poi ci sono state un sacco di settimane dove non si sapeva se si sarebbe fatta l’A2 o l’A1. Mi dicevano “si fa l’A1”, poi “forse non si fa l’A1”, io mi stavo preparando mentalmente e dicevo “cavoli”. Stavo cercando mentalmente di organizzarmi per fare un altro fanno in A2. E poi è arrivata la conferma che si faceva l’A1 e sono molto contenta, entusiasta e curiosa perché sono due anni che non ci gioco e sono curiosa di vedere che approccio avrò, per come l’affronterà la squadra e contenta per la società, che si merita questa categoria. L’unico rammarico è di non averla potuta vincere sul campo”.
Parlavi della società, che poi ha già sfiorato l’A1 in passato: da un paio d’anni era sempre lì.
“Il prossimo anno sarà il quarto di vita della società: io sono arrivata al secondo, quando già avevano fatto un passo in più rispetto al primo. Già quando sono arrivata s’era creato un roster competitivo, poi non si diceva in maniera diretta che si voleva salire, ma noi ragazze lo volevamo. Quell’anno partimmo con 13 vittorie su 13. La stagione non è andata a buon fine, siamo uscite con Bologna che poi è salita, e si meritava la promozione, e quest’anno s’è fatto un ulteriore passo in più con un roster più maturo, compatto, solido. E oltre alla crescita del roster è cresciuta anche la società. Si sono più configurati i ruoli. La Magnolia è nata con grandi ambizioni fin dall’inizio, sociali oltre che sportive. L’obiettivo era di crescere, creare qualcosa nel territorio molisano. Sono diversi anni che si cerca di portare l’A1 in Campobasso”.
Così la smettono di dire che “il Molise non esiste”.
“Esatto! (ride) Io sono veneta, ma a me danno fastidio quelli che dicono che il Molise non esiste. È un po’ come la mia seconda casa. Esiste eccome e lo vedranno adesso che siamo in A1, anche le grandi società della massima serie scopriranno cos’è. L’unico peccato è che molto probabilmente sarà a porte chiuse, quindi non avranno la reale conoscenza della realtà”.
Come state vivendo quest’incertezza di giocare a porte chiuse, con i distanziamenti e via dicendo?
“Le direttive sono le stesse dell’A maschile, ma il movimento femminile non è ricco e solido come quello degli uomini. Io sono una persona positiva, quindi spero (manca ancora un mese e mezzo all’inizio della preseason, anche se non si sa ancora se si possa riprendere a metà agosto) in bene. Io sono molto serena e ottimista, e anche se si potesse iniziare in maniera restrittiva, ben venga. Rispettiamo le regole, ma è importante ricominciare la vita normale, anche sportiva. Per quanto riguarda noi, la pecca più grande se si riprenderà a porte chiuse è quella che dicevo del pubblico, perché è come se fosse un nostro compagno di squadra. Sono in campo con noi. Quando ti manca un componente della squadra, l’equilibrio è sempre un po’ precario. E quindi l’equilibrio, per le “vecchie” che già conoscono la realtà, sarà difficile giocare una partita ufficiale con poco o nessun pubblico. Ma anche se non è ufficiale. Sarà difficile anche lì, mentalmente, riuscire ad avere l’approccio giusto”.
E non è nemmeno come un’amichevole, perché almeno alle amichevoli qualcuno viene.
“Quello è vero. Noi l’anno scorso al primo allenamento non dico che avevamo il palazzetto pieno, però la gente entrava e usciva per vedere la squadra nuova, oltre alle amichevoli vedeva anche gli allenamenti. L’importante però è riprendere a piccoli passi. Se saremo tutti responsabili spero si tornerà alla vita normale”.
Di Bologna, invece, ritorna in mente il fatto che Civolani decise per l’autoretrocessione del Progresso, intervenne la Virtus che portò comunque Bologna in A. Adesso Reyer Venezia, Virtus e anche Dinamo Sassari sono nel femminile. Cosa pensi del fatto che queste realtà ci stiano investendo sopra?
“Per me è positivo, sarebbe bello che i più forti trainassero quelli più deboli. Poi sono d’accordo perché da più visibilità al mondo femminile. E ricordiamo che già nel calcio per il maschile è obbligatorio avere un settore femminile, mi pare. Sarebbe bello che pian piano nella pallacanestro si arrivasse a questo punto. Io sono positiva per questi interventi della maschile che sostengono le squadre femminili. Anche perché penso che dal punto di vista economico il confronto, rispetto a mantenere una squadra maschile, non sia così grande. Sono favorevole a queste cose”.
I tuoi primi due anni sono stati quelli di Parma. Una Parma non più ai livelli più alti, ma in cui hai avuto l’onore di giocare con Francesca Zara. Com’è stato giocare al fianco di una come lei?
“Io ho un ricordo bellissimo di quei due anni lì. Sai, quando appena esci di casa, perché io sono di Verona, mi ero trasferita a Venezia per le giovanili, però è stato un uscire per la prima volta a esplorare il mondo. Ovviamente la Sofia dell’epoca non era la Sofia di adesso, era molto più giovane anche come giocatrice. Magari ora sono più consapevole. Sono cresciuta sia fuori che dentro dal campo. Ho avuto l’onore di giocare con Francesca Zara al secondo anno. Quando ho sentito che stava arrivando mi sono iniziate a tremare le gambe, perché con una giocatrice di quello spessore lì capita una volta nella vita di giocarci insieme. Poi la carriera che ha avuto. Ho la pelle d’oca ancora adesso. Mi ricordo che mi dissi “devo rubarle tutto quello che posso, sia dentro che fuori dal campo”. Non dico tutti e due gli occhi, ma almeno uno era sempre rivolto a lei, perché volevo imparare il più possibile. E oltre alla giocatrice, che in campo tutti conosciamo, è anche una grande persona e compagna di squadra, molto altruista, ne ho un ricordo che custodisco con cura. E oltre a giocare con Francesca Zara ho avuto l’onore di giocare con Maria Chiara Franchini al mio primo anno, che poi è stato il suo ultimo, con Claudia Corbani, anche lei con una bella carriera. Io ero piccola, era sei anni fa, essere catapultata in questo mondo con queste giocatrici che prima vedevo dalla tv, dagli spalti, l’ho vissuto molto in punta di piedi nel senso che le rispettavo moltissimo e cercavo di rubare il più possibile”.
Dalle telecronache in Rai di Massimiliano Mascolo al campo, quando ancora c’era lui che sapeva tutto di tutti e tutte.
“Un grande”.
Poi c’è stata Torino, dove hai vissuto il migliore dei tuoi anni in A1.
“Sì, il primo anno. Infatti avevo appena rinnovato. Il naso fuori, nel mondo, l’avevo già messo, quindi ero leggermente più consapevole di quello che andavo a fare. Il primo anno lo feci con Marco Spanu e Paolo Terzolo, e facemmo anche una bella stagione. Il secondo anno, quello delle 10 squadre in A1, è stato più complicato in campo, perché eravamo tante in squadra, io ho sbagliato diverse cose nell’approccio anche alla stagione, quindi mi assumo un po’ di colpe”.
Con Massimo Riga non ti ci sei “presa”?
“Esattamente. Poi quando le cose passano, io sono una che si fa un po’ un esame di coscienza. Non do la colpa a lui. Anche lui era al primo anno dopo tanti a Battipaglia. Lui è un professionista, ha girato per tanti anni in mezza Italia. Certo, quando passi tanto tempi in una realtà e poi cambi, è difficile anche per un allenatore, magari anche abituato a fare certe cose in un luogo e nell’altro in cui arriva magari non ha gli stessi strumenti e mezzi. È ovvio che ti devi un po’ adattare all’inizio. Con Massimo non ci siamo molto presi, ma ripeto, ho sbagliato molto io. Come squadra siamo andate ai playoff, ma individualmente non è stata un’annata soddisfacente. Non ho un bel ricordo. Però c’è da dire che quella stagione mi è servita di lezione, e poi anche come carica per dopo, perché non volevo commettere lo stesso errore, rivivere una stagione del genere. Allora mi sono messa in palestra a lavorare e sono andata a Campobasso”.
Il fatto di andare in A1 è stato proprio uno degli stimoli che ti ha fatta rimanere in Molise?
“Sì. Io ricordo che il primo anno in cui sono arrivata lì nella mia testa avevo il voler ritornare in A1. Avevo il pallino in testa. C’è veramente tanto rammarico per non aver potuto vincere sul campo e non averlo fatto vivere alla società e alla squadra sul parquet. Adesso è per questo che sono molto curiosa. L’A1 l’ho lasciata un po’ con l’amaro in bocca, quindi voglio vedere come sarà”.
Tu, veronese, sei cresciuta a Venezia. Una Reyer che, oltre a curare il settore giovanile, stava pianificando la risalita in Serie A1. Che ricordo hai di quei tempi?
“Sono arrivata in terza media. C’era già l’A1, c’erano Cirone, Sottana, Ballardini, giocatrici di tutto rispetto. Io quasi mi vergognavo di guardarle. Ricordo che all’epoca il Taliercio per il femminile era pieno. I primi due anni non ho avuto la fortuna di guardare molte partite perché facevo avanti e indietro, quindi non stavo sempre lì, però si viveva la pallacanestro femminile. Poi la società ha deciso di ripartire dalla Serie B, facendo un progetto giovani, avendo sempre dato importanza al settore giovanile. C’erano solo quelle del vivaio, poi hanno preso altre giocatrici. In due-tre anni ritornarono in A1. Io ero la giovane di turno, la piccola, l’under, però vincere tre anni consecutivi è bello. Poi c’è stato il ritorno e la Reyer che tutti conosciamo, con grandi ambizioni”.
Poi con Ballardini c’hai giocato contro tante volte in A2, dove fa ancora quello che le pare.
“Io la metterei nella categoria delle immortali. Io quest’anno ho giocato con Carolina Sanchez, che è avanti con l’età, però è una potenza in campo più che fuori. Infatti le dicevo “tu sei immortale”. Quindi Ballardini la metterei in quella categoria. Anche se passano gli anni, hanno un talento e una mentalità enormi”.
Quest’anno la Reyer sta facendo un mercato un po’ particolare, con il cambio di due straniere su tre e l’inserimento di Natali e Attura da Vigarano.
“So che hanno anche firmato Yvonne Anderson, l’ex Torino. Non so bene cosa vogliano fare. Hanno Penna, Pan, Natali come italiane”.
Comunque un gruppo italiano piuttosto forte nella sua gioventù.
“Esatto. Lì sono cresciuta, comunque, ho fatto tutte le superiori, abbiamo vinto lo scudetto Under 19, sono stati i miei anni dell’adolescenza. Ho un sacco di ricordi, persone a cui voglio bene, sia a Venezia, sia legate a quegli anni. Ho un sacco di amicizie che porterò nel cuore per tutta la vita”.
Per quanto riguarda le Nazionali giovanili, hai vissuto il periodo in cui il livello si stava alzando notevolmente. Parliamo di qualcosa di cui Giovanni Lucchesi ha tessuto la tela i cui risultati si sono visti. In particolare, hai vissuto ottimi anni nella fase iniziale, in cui hai giocato i Mondiali Under 17 2012. Che esperienze sono state quelle?
“Ho fatto tutta la trafila delle Nazionali, siamo andate al Mondiale poi. Io sono arrivata nel ’95, le categorie più alte non le ho fatte, però le squadre delle altre nazioni erano belle forti. Specie la Spagna. Adesso non vorrei dire, però con noi hanno vinto tre ori su tre e in più l’argento ai Mondiali. Me li ricordo bene quegli anni lì, anzi a partire dal Trofeo dell’Amicizia e prima ancora da Sappada. Il ricordo più bello è stato l’Europeo Under 16 e il Mondiale. L’Europeo, a parte la medaglia di bronzo, una delle prime che si metteva in saccoccia, ha avuto il bello del giocare in casa. I cagliaritani ci sono stati accanto in maniera proprio forte. Andavamo a giocare e non dico che il PalaRockefeller (odierno PalaPirastu, N.d.R.) fosse pieno, però c’era tantissima gente. È stato bellissimo. Era la prima esperienza, ricordo ancora che quando hanno diramato le convocazioni delle 12 mi dicevo “vado a fare un Europeo, mamma mia”. Non ci credevo. Il bello è stato piano piano veder arrivare le squadre, l’organizzazione. Sembrava di essere in un film. E poi avevamo la curva, i tamburi, ci hanno supportato veramente tanto. Quindi mi sembrava di vivere veramente un’esperienza da professionista, quella che vedi in tv e giochi con la maglia della Nazionale. Poi, oltre alla medaglia, ho un gran ricordo dei quarti contro la Russia. Vincemmo di 10 e ci qualificammo per il Mondiale. Non riuscii a dormire di notte tanta adrenalina in corpo avevo. E poi eravamo una squadra, in quegli anni lì, che non è che fosse molto fisica. Ricordo che il primo giorno, alla presentazione, ci guardavamo intorno e ci dicevamo “dove siamo?”, perché eravamo in mezzo a dei grattacieli. Cioè, dove volevamo andare? Invece siamo riuscite a portare a casa qualcosa di importante. E poi il Mondiale, anche lì un’esperienza fuori dalla realtà perché mai avrei immaginato di poterlo giocare. Lì siamo state un po’ sfortunate, perché avremmo potuto portare a casa qualcosa di importante anche lì, perché stavamo bene tra di noi e lo staff ha sempre fatto un gran lavoro, anche perché eravamo piccoline. Poi siamo state sfortunate. Abbiamo incrociato ai quarti la Spagna e loro erano nettamente più forti di noi. Nel nostro girone arrivammo seconde, perdendo solo con gli Stati Uniti. Di là, la Spagna perse con il Giappone e sarebbe arrivata seconda. In caso di semifinale avrebbe trovato gli Stati Uniti. Avevano già fatto i calcoli. Noi siamo andate a vedere l’ultima girone, dovevano giocare contro l’Olanda. Chi perdeva sarebbe arrivata terza e avrebbe incontrato noi. Se fossimo riuscite ad andare in semifinale, avremmo incontrato di nuovo gli USA. La Spagna giocò a perdere, fece il biscotto per giocare con noi e non ci credevamo. Le guardavamo, perché ormai le conoscevamo, avevamo fatto amicizie, amichevoli, l’Europeo precedente. Erano piene di giocatrici che tiravano pallonate, facevano 24 secondi, l’allenatore che stava zitto. Quando siamo tornate in albergo eravamo incavolate nere. Tutte le energie e la cattiveria agonistica che ci abbiamo messo non sono bastate, perché erano più forti di noi. Poi ci sono state Under 18 e Under 20. Mi reputo fortunata ad aver potuto indossare la maglia della Nazionale e fare tutte quelle esperienze giovanili”.
Un gruppo, peraltro, di cui molte si trovano nel giro anche oggi. C’erano Zandalasini, Penna, Kacerik, Ercoli…
“Tagliamento. Anche se adesso è un po’ meno nel giro azzurro. Eravamo una bella squadra. Ho la foto appesa in camera dell’Under 16 e buona parte gioca in A1, poi c’è gente che ha fatto altre scelte come Antonia Peresson in America”.
Adesso fa l’allenatrice.
“Esatto. Ha deciso di rimanere lì per continuare quel percorso. Era un bel gruppo”.
Lei era forte eccome.
“Siamo molto amiche poi. Era bello giocare con lei, mi son sempre trovata molto bene. Aveva una gran mano e una gran testa, nel senso che è una che capiva e capisce la pallacanestro”.
Diciamo che non avrà difficoltà come allenatrice.
“No, a parte che poi l’ho sempre vista molto bene”.
Di quella squadra, poi, c’è una giocatrice che è migliorata tanto che è proprio Elisa Ercoli. È cresciuta parecchio.
“Lei la conosciamo tutti come persona, ma come giocatrice è una cui piace lavorare. Non sembra, però è così. Poi lei ha fatto bene a fare il percorso al Geas, a rimanerci, ha potuto lavorare molto, fare l’A2, vincerla, fare tutti questi anni in A1. Per me ha trovato un ambiente che l’ha aiutata ancora di più a crescere e maturare. Se lo merita. È andata in Nazionale A, ha giocato gli Europei. Se lo merita, sono felice per lei. Poi c’era anche Beatrice Barberis“.
Grandissima sostenitrice del rapporto sport-studio, che in molte perseguono nel femminile.
“Io mi aggrego a lei perché per me è fondamentale, ma anche perché, oltre a garantire un futuro prossimo, fa bene alla persona continuare ad allenarsi anche da quel punto di vista. E ogni tanto serve anche a me per staccare dallo sport, come poi quand’ero piccola lo sport mi aiutava a staccare dallo studio. Mi aiuta molto, perché un po’ ti riempie le giornate, ti alleni due ore la mattina, poi nel tempo libero a me piace stare lì sui libri. Ti migliora anche come persona. Per me è fondamentale continuare a studiare. Avrei difficoltà, lo ammetto, a giocare senza studiare. Sono laureata alla triennale in scienze motorie, ora ho finito la magistrale, tutti gli esami, ma dovrò congelare la tesi perché devo iniziare un master, quindi devo aspettare almeno un anno per dare la tesi. Faccio un master in diritto e management sportivo. Sono d’accordissimo con Bea sul fatto che bisogna studiare. Anche perché mi ricordo, quand’ero piccola e giocavo a Venezia, che c’era una giocatrice spagnola, Begoña Garcia, playmaker, e il team manager mi diceva: “Vedi quella lì? Ha preso due lauree”. E io: “Boia! Giocando?”. “Eh sì”. E allora voglio continuare a giocare e nel frattempo a studiare. Anche perché bisogna sempre avere un piano B”.
Quali sono a livello cestistico i tuoi obiettivi futuri?
“Non mi do obiettivi sul lungo termine. Questa storia del Covid-19 mi ha insegnato che non bisogna fare molti proclami. Mi alleno molto anche in estate, uno dei principali obiettivi è riuscire a esprimere il meglio di me, tirare fuori il massimo potenziale. Questo secondo me dev’essere il primo obiettivo di tutti. Poi ambire a vincere il più possibile, arrivare in Nazionale A, ma il primo è quello di esprimere il meglio. Poi, parlando della prossima stagione, fare il meglio, per me e per la squadra, cercare di riuscire a raggiungere gli obiettivi che verranno prefissati a inizio stagione. Intanto mi concentro su questa, sul dare il mio massimo alla Magnolia. Poi certo, la Nazionale è il sogno nel cassetto, sarei molto felice di poter indossare di nuovo la maglia azzurra anche solo per un raduno”.
A proposito di Nazionale: recentissimo è l’annuncio di Lino Lardo. Cosa ne pensi?
“Mi auguro che si inizi a fare un progetto dietro alla Nazionale A, con scadenza a lungo termine. Spero che abbiano deciso di prenderlo con qualcosa di solido alle spalle, che non sia una meteora che fa due anni, quattro anni e basta, ma qualcosa di più strutturato”.
La scelta ha spiazzato molti.
“Esattamente. Già la scorsa stagione girava il nome di Pierre Vincent, poi è saltato e hanno richiamato Capobianco. È per quello che dico che spero che dietro ci sia un progetto, un’idea di progettazione, anche le ragazze che fanno del giro della Nazionale hanno bisogno di questo”.
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Credit: Ciamillo