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Tennis, Bett1 ACES 2020: Tommy Haas, qualche giorno di nuovo in campo per ricordare al mondo chi è

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Quando è uscita la lista dei partecipanti alla doppia esibizione di Berlino, con minitornei dal 13 al 15 sull’erba e dal 17 al 19 sul veloce, a molti appassionati l’occhio è caduto su un nome in particolare, che nel tennis ormai è noto perché direttore del torneo di Indian Wells: quello di Tommy Haas. Il tedesco, infatti, si prende qualche giorno per ritornare a fare quello che l’ha caratterizzato per la maggior parte della sua vita: avere una racchetta in mano.

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Numero 2 del mondo nel 2002, vincitore di 15 titoli sul circuito ATP, argento olimpico a Sydney 2000, quattro volte semifinalista Slam, tra i pochissimi a poter dire di aver giocato contro ben 17 giocatori diventati, prima o poi, numeri 1 del ranking ATP, Haas è stato noto soprattutto per uno stile di gioco vario e mai banale, un rovescio tra i migliori di sempre (con la benedizione di Nick Bollettieri in questo senso), ma anche per una certa tendenza a infortunarsi, fatto che l’ha mandato fuori dalla classifica mondiale per due volte a causa della prolungata inattività (oltre 12 mesi).

Tra le sue vittorie più importanti, a livello di singoli tornei, c’è quella dell’allora Masters Series di Stoccarda nel 2001, in tre set (triplo 6-2, allora la distanza era dei tre su cinque) sul bielorusso Max Mirnyi. Ne avrebbe giocata un’altra, l’anno successivo a Roma, perdendola nettamente contro Andre Agassi. Negli Slam l’occasione più grossa l’ha avuta nel 2002, quando si trovò con un set di vantaggio nei confronti di Marat Safin in semifinale: il russo, però, vinse gli ultimi due parziali per 6-0 6-2 e andò in finale, che passò alla storia per una delle più clamorose sorprese di tutta la storia dei quattro tornei maggiori, messa in piedi dallo svedese Thomas Johansson.

Numerosissimi i suoi scalpi celebri, come detto: ma dei 17 numeri 1 battuti, sono due quelli sconfitti proprio mentre quella prima posizione la occupavano. Il primo è stato Andre Agassi, nel 1999 alla Grand Slam Cup di Monaco di Baviera, poi persa in finale contro il britannico Greg Rusedski (il torneo metteva insieme i 16 migliori giocatori secondo i soli risultati dei quattro tornei dello Slam e proprio nel 1999 se ne è tenuta l’ultima edizione). Il secondo, invece, è stato Novak Djokovic: il serbo uscì sconfitto per 6-2 6-4 negli ottavi di Miami.

Quattro le sue vittorie, su diciassette incontri, contro il suo buon amico Roger Federer, con cui ha anche diviso il campo in una semifinale Slam, quella di Wimbledon 2009 (di cui è ancor oggi celebre una gag a partita in corso). Altro match passato alla storia, quello del Roland Garros 2009, agli ottavi, il giorno dopo l’uscita di scena di Rafael Nadal per mano di Robin Soderling. Il tedesco era avanti di due set e, sul 4-3, aveva una palla break, che Federer cancellò con un dritto incrociato sulla riga diventato l’inizio della sua cavalcata verso il suo unico trionfo in Francia. Delle quattro vittorie, due sono arrivate sull’erba, a Halle (finale) nel 2012 e a Stoccarda (secondo turno) nel 2017, con quest’ultima arrivata in maniera del tutto sorprendente, considerando che erano gli ultimi mesi di attività di Haas.

I suoi mirabolanti ritorni gli sono valsi per due volte il titolo di Comeback Player of the Year, nel 2004 e nel 2012. Due anni prima era diventato anche cittadino americano, ma ha continuato a rappresentare la Germania in campo. Sposato con l’attrice Sara Foster, è diventato in questo modo genero di David Foster, plurivincitore in vari ruoli di Grammy Awards e che ha collaborato con un’interminabile quantità di star della musica. Quella stessa musica che, in fin dei conti, lui ha composto in campo in numerosissime occasioni, unendola a una certa solidità mentale che gli ha spesso permesso di arrivare al quinto set avendo una ben precisa idea di cosa fare.

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federico.rossini@oasport.it

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Foto: LaPresse / Olycom

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