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Basket
Valentina Bonasia, basket femminile: “Il progetto di Campobasso è interessante. Lucca è stata la seconda stagione con più responsabilità”
Valentina Bonasia, nella prossima stagione, giocherà con la maglia della Magnolia Campobasso. Il progetto della formazione molisana, espressione più alta allo stato attuale dello sport di squadra regionale a livello nazionale, sta mettendosi in grande luce. Passata da Lucca nella scorsa stagione, la play abruzzese classe ’94 ha ben chiaro il proprio obiettivo: giocare, e giocare bene, riuscendo anche a mantenere quelle alte medie che, in terra toscana, l’hanno portata a essere una delle migliori italiane della categoria. Nei giorni successivi al suo approdo a Campobasso l’abbiamo raggiunta per un’intervista telefonica, in cui ci ha raccontato le sue sensazioni sulla nuova avventura, sul campionato italiano e su ulteriori riflessioni.
Come si è concretizzato il tuo arrivo a Campobasso?
“Con Mimmo Sabatelli era qualche anno che ci sentivamo, però non è mai stata un’offerta concreta. Io guardavo più all’A1. Visto che però quest’anno c’era questa possibilità, in cui Campobasso è salita molto di qualità, ed era la migliore offerta che io abbia avuto quest’anno, non ci sono stati tanti giri. Si è concretizzata subito. C’era anche la possibilità di fare l’A1 quindi è l’opportunità migliore che potessi avere”.
In sostanza, l’A1 è stata il motore principale o saresti andata comunque?
“Io ho accettato prima dell’ufficialità dell’A1, il progetto era molto interessante anche in caso di A2, per salire, su più anni. Ci speravo in quest’opportunità, visto che c’erano buone probabilità ho accettato. Però non c’era ancora l’ufficialità”.
La società da anni stava lavorando per andare sopra, e nella stagione appena finita era in testa.
“Infatti c’è una politica di base, il progetto era interessante a prescindere. Mi sarebbe comunque piaciuto rimanere nella categoria, ci speravo, ma ripeto: prima che dicessero che facciamo l’A1 io ho detto di sì”.
Fra l’altro da Sulmona a Campobasso non ci sono poi troppi chilometri.
“Quanti non lo so, ma il navigatore dice che con un’ora e quaranta minuti dovrei cavarmela. È il posto più vicino a casa dove gioco”.
Se non sei di casa, quasi.
“Abruzzo e Molise sono poco considerati allo stesso modo per quella che si definisce casa. Io, essendo abruzzese, e avendo girato tanto, so che siamo poco considerati. Mi sento molto vicina”.
Tu arrivi da una stagione a Lucca in cui, al netto dei tanti infortuni, la squadra male non stava facendo. Com’è stato dover interrompere senza nemmeno disputare la Coppa Italia in casa?
“No, anzi: il campionato stava andando molto bene, oltre le aspettative. Abbiamo avuto un sacco di infortuni, questa cosa secondo me ci avrebbe penalizzato a lungo andare perché eravamo praticamente dimezzate. Mi dispiace perché avrei voluto vedere come sarebbe finita questa stagione, nonostante gli infortuni. Avremmo voluto giocare la Coppa Italia in casa, a me non era mai successo prima, e secondo me è una cosa bella con tutto il pubblico dalla tua parte. Mi dispiace, per cause di forza maggiore è stato anche giusto così, perché stiamo parlando di cose molto più gravi del campo. Però quella curiosità di capire cos’avremmo fatto rimane un po’”.
Si diceva degli infortuni: quasi tutti crociati. Orsili, Pastrello…
“Vitari il menisco, è stata fuori tantissimo. Madera si è scavigliata, e per un mese e mezzo-due è stata fuori. Una straniera aveva preso una botta in testa in partita ed è stata ferma un paio di partite”.
Hai chiuso per la prima volta in doppia cifra in Serie A1, segno di un ruolo importante.
“È la seconda stagione in cui mi prendo un po’ più di responsabilità. A Broni un po’ meno perché comunque la squadra era più solida, avevamo più gente con punti nelle mani rispetto a me, però penso di aver fatto un ottimo campionato lì e quest’anno ho continuato su quella scia. Ho preso un po’ più di responsabilità al tiro, e davo un contributo anche in punti, sicuramente”.
Senza contare che a Broni di realizzatrici ce n’erano.
“Wojta, Milic, Spreafico. Secondo me il saltino in più però è partito da lì. Avevo giocato comunque la prima fase dei playoff, e anche se abbiamo perso poi abbiamo battuto Venezia, fatto partite belle”.
Playoff perso con San Martino di Lupari.
“Eravamo sopra di 12 a fine terzo quarto in gara3. Ce la siamo giocate fino all’ultimo. Io ho un bel ricordo nonostante la fine”.
Poi a Broni hai avuto anche Ashley Ravelli in squadra, che poi ti sei ritrovata anche a Lucca.
“Siamo grandissime amiche, anche se non giochiamo insieme lo siamo anche fuori. Però è un fattore fondamentale. Uno dei motivi per cui ho scelto di andare a Lucca è stato il fatto che c’era lei”.
E sempre tra le persone che hai ritrovato, c’è stato un simile discorso a Battipaglia con Elena Ramò, che avevi già avuto a Cervia e poi di nuovo lì con Massimo Riga in panchina.
“A Battipaglia però era un po’ diverso: un trampolino di lancio, una squadra giovane. Pensavo fosse la cosa migliore per me a quei tempi, giocavo tantissimo, ero protagonista, avevo fatto anche un buon campionato e avevamo tutte 18-20 anni. Per me il fattore persone che già conosci è importante, anche. Stare bene fuori dal campo è fondamentale”.
C’è poi un’esperienza che riporta ai tempi attuali: Vigarano oggi sta ricostruendo, ma tu hai fatto la doppia scalata lì A3 (oggi B)-A2, A2-A1. Cosa ti ricordi di quegli anni?
“Era l’anno in cui venivo dall’A2 a Cervia dove giocavo le giovanili. Sono dovuta scendere di categoria. Però è una cosa che sembra brutta, invece scendendo ho avuto la possibilità di giocare tanto, di dimostrare. Avevamo avuto questo regalo di Costi e Zanoli che vennero a giocare da noi, e non abbiamo perso una partita. In A2 abbiamo perso pochissime volte, poi eravamo un gruppo super, nonostante avessi qualche problemi di schiena. I ricordi sono però solo positivi, perché ci divertivamo, vincevamo, siamo arrivate in A1 noi”.
A proposito di gran gruppi, non si può dimenticare quello dell’Under 20 azzurra del 2014. Un gruppo cui all’inizio davano pochissimo e invece ha vinto il bronzo a Udine.
“Infatti era la stessa estate della vittoria del campionato di A2. Ho avuto la mia prima convocazione, perché prima avevo fatto solo qualche raduno. Quella è un’annata che non aveva grandi fenomeni, fu tutto guadagnato. Fu la cosa più bella, eravamo ragazze con la testa sulle spalle che si sbattevano, davano il massimo e abbiamo ottenuto un gran risultato nonostante non ci fosse nessun talento incredibile”.
Però c’era Elisa Penna.
“Sì, è vero, c’era lei, però se pensi a definire annate forti ti viene in mente la ’96 con Zandalasini, Kacerik, queste qui. Penna super, attenzione”.
In quel gruppo lì c’era un sacco di gente che poi è andata in Serie A1.
“Esattamente. Poi c’era anche Gambarini”.
E Peresson, che ha fatto un’altra scelta di vita, Ercoli in azzurro, Nicolodi in Nazionale A. Solo per dire che qualche volta il tempo rende giustizia.
“Certamente”.
Cosa pensi della proposta delle mascherine sportive per scendere in campo?
“Penso che, se mai dovesse esserci, dovrebbe essere una cosa comoda da proporre. Prendiamo in considerazione il calcio: pur con il periodo ancora critico, non hanno preso nessuna precauzione. Se la situazione dovesse peggiorare, se dovesse essere necessaria, non potrei che essere d’accordo. Se però dovessi parlare dal punto di vista di allenarsi e giocare e sudare tutti i giorni con la mascherina, non sarebbe una cosa comoda, ma se dovesse essere necessaria, si fa”.
Vero è che nel calcio fanno anche i controlli prima.
“Anche questo è vero. Se bisogna farlo, non ho problemi a rispettare questo tipo di regola”.
Per te quali sono gli obiettivi di questa nuova stagione?
“So che le ambizioni ci sono, e anche il lavoro che verrà fatto sarà tantissimo. Spero, se possibile, tolte le prime tre che hanno un budget totalmente diverso, di giocarcela con tutti e di portare a casa gli scontri più importanti per una nuova squadra con poca esperienza in Serie A1. Personali, io voglio migliorare, mi sto allenando tutti i giorni dalla fine dell’ultima stagione. Mi sono allenata tantissimo individualmente per poter dare il miglior contributo possibile alla squadra e ottenere i più alti risultati possibili”.
Parlavi di budget: Schio ha fatto un mercato per l’Europa.
“È una squadra di un’altra categoria rispetto a quello che stiamo vedendo ultimamente”.
Invece Venezia ha messo su un mercato non facilissimo da interpretare, passando da Fagbenle che è una superstar alle emergenti come Giulia Natali. Ragusa sta un po’ nel mezzo.
“Ho detto le prime tre automaticamente, infatti, però mentre lo dicevo ho pensato che tolta Schio le altre non sono così di quella categoria, perché il Famila ha una squadra da primi posti in Eurolega. Parliamo però sulla carta, perché tutte le partite devono essere giocate per essere vinte. Per l’idea che ho io, si può vincere con tutti. La squadra verrà fatta in modo tale da vincere con tutte”.
Si vede che oggi il movimento femminile ha un certo numero di problemi: da una parte le squadre che cercano di tenersi in vita, dall’altro il Covid che sta creando ancora più guai.
“Sono un po’ in difficoltà nel risponderti. Con un campionato a 16 squadre per me il livello si abbassa terribilmente. Negli ultimi anni si vedeva una disparità tra le squadre e quest’anno verrà accentuata ulteriormente. Sono dell’idea che, vista la situazione, sia giusto dare una possibilità a tutti. Togliendo Schio, le altre sono di un livello inferiore agli altri anni”.
Per quel che riguarda le giocatrici con cui ti sei trovata meglio in campo, quali sono?
“Domanda difficile. A Vigarano sicuramente Costi e Zanoli, non erano le top di categoria, ma mi sono trovata benissimo. Poi a Broni c’erano Julie Wojta e Nikolina Milic. Però io, più che a quelle talentuose, forti, sono legata al modello di giocatrici professioniste, come si legavano alla pallacanestro, la professionalità. Io penso che l’anno a Broni sia stato veramente bello dal punto di vista dei risultati di gruppo. C’erano Pavia, Gatti. In un modo o nell’altro eravamo ben costruite. Ognuna riusciva a dare qualcosa e la pallacanestro che veniva fuori era bella”.
Senza contare poi il tifo di Broni.
“Esatto. Ma anche a Campobasso so che c’è. Sono contenta per questo”.
Lì c’è proprio il palazzetto caldo, sempre pieno, anche in prestagione. Te lo fanno sentire.
“Anche se ho il pubblico contro mi gaso, per cui è fantastico. Anche se mi urlano addosso sono carica. Ho questa capacità di pensare che stanno facendo il tifo per me”.
Come ti proietteresti nella mente verso una partita a porte chiuse o con pubblico limitato?
“Nella nostra dimensione non possiamo dire che abbiamo tutto questo pubblico. Avendo però giocato a Broni, dove il pubblico è davvero il sesto uomo, pensare a giocare senza avere qualcuno che ti sostenga ti fa perdere quel qualcosa in più, quella carica del pubblico presente, l’ansia della gente che ti viene a vedere. Secondo me è un fattore fondamentale. Dover giocare senza è limitante. Però siamo in questa situazione, quindi se non si può fare, ok. Però per me è brutto”.
Reyer Venezia che c’è da tanto tempo, Virtus Bologna entrata lo scorso anno, Dinamo Sassari quest’anno. Quanto può aiutare il fatto che le società del maschile stiano entrando nel femminile?
“Lo spero. Sappiamo che la maschile conta più di noi. Hanno un budget molto superiore rispetto al nostro. Se ci dessero una mano per riportare il movimento ai livelli di un tempo è tanto di guadagnato. Se tutte le maschili dovessero avere anche la femminile, il livello si alzerebbe un pochino. Si creerebbe un movimento diverso. Sono dell’idea di far inserire le società più solide, che non rischiano di sparire da un momento all’altro, invece di tenere a galla quelle in bilico. Però questo è il mio parere personale”.
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Credit: Ciamillo