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Marina Brunello, scacchi: “L’oro in quarta scacchiera alle Olimpiadi 2018 grandissima esperienza. Spero di poter essere un esempio”
Tra le più conosciute scacchiste del panorama italiano, Marina Brunello fa parte di un pezzo di storia, perché è diventata la prima donna del nostro Paese a diventare Maestro Internazionale assoluto. Cresciuta sulla scia del fratello Sabino (a sua volta ottimo giocatore e con una classifica mondiale tra i migliori 50 a cadenza di gioco rapid), è ormai prossima a diventare anche la numero 1 italiana assoluta, trovandosi molto vicina a Olga Zimina, che per amore si è trasferita dalla Russia in Italia quando era già Grande Maestro. L’abbiamo raggiunta nel periodo in cui è difficile giocare a tavolino, e lo si fa sostanzialmente online pur se i tornei giocati fisicamente stanno, lentamente, iniziando a tornare. E, in quest’intervista, si è confermata non banale.
Ora che il gioco a tavolino è fermo e che il gioco online imperversa, quanto e come cambiano le cose?
“È molto difficile da controllare. Io personalmente non ci gioco, perché è difficile controllare se una persona sta barando o meno, ma al di là di questo è molto diverso rispetto al gioco sulla scacchiera. Le partite non durano più quattro ore di media, ma sono a cadenza veloce, e anche la rappresentazione dei pezzi è ben diversa. È vero che mi alleno al pc e sono abituata a vedere la scacchiera in 2d, ma è un po’ diverso”.
Anche perché online rispetto al tavolino è un’altra sensazione. Come dici tu, non vedi chi hai dall’altra parte.
“Il colpo d’occhio è un po’ diverso. È un fatto di abitudine. Se avessi iniziato a giocare solo online per poi giocare sulla scacchiera sarebbe stato un po’ diverso. Però ho iniziato sulla scacchiera, quindi faccio fatica”.
Che piani avresti avuto senza il coronavirus?
“Avevo in programma il campionato austriaco a squadre, un torneo italiano, il campionato francese a squadre, tutti per il circolo. Il Campionato Europeo femminile doveva giocarsi, a settembre la Coppa del Mondo femminile, ma probabilmente non si gioca anche se non c’è nulla di ufficiale. Praticamente non si gioca più fino a settembre”.
Di fatto il 2020 è andato.
“A settembre, con le regole ci sono, per organizzare un torneo un paio di mesi sono necessari. Per come vedo io le cose a ottobre-novembre riavremo il problema. Basta avere un po’ di febbre e sarà difficile capire immediatamente chi ha il Covid e chi un’influenza o un raffreddore. Sarà difficile far giocare un torneo a 200 persone di cui alcune dall’estero”.
Il problema potrebbe essere quello dei viaggi.
“Per giocare un Campionato Europeo vuol dire che tutti possono spostarsi e andare in Romania, per dire”.
Problema, peraltro, che peraltro è quello che ha fermato il Torneo dei Candidati. Cosa ne pensi?
“Hanno provato perché erano solo pochi giocatori, però è stato un po’ dubbio. Radjabov ha rinunciato fin dall’inizio per questa ragione, l’hanno sostituito con Vachier-Lagrave, hanno giocato metà torneo, ma appena la Russia ha riconosciuto il problema, hanno chiuso tutto e sono fuggiti tutti”.
E Caruana ha praticamente dovuto attraversare i sette mari sia all’andata che al ritorno.
“Quello succede, dai! Capita a tutti quelli che viaggiano, non solo a lui. Per fortuna non è rimasto bloccato”.
L’anno scorso sei stata quasi una pioniera, perché sei stata la prima italiana a partecipare al Campionato Italiano Assoluto. Che effetto ti ha fatto?
“È stata una bellissima esperienza. Non è stato facile, essendo la prima volta che giocavo un torneo simile, dove ero veramente l’unica ragazza. Anche a livello di pressione esterna non è stato facilissimo, ma dopo le prime partite mi sono tranquillizzata e sono stata soddisfatta del mio risultato. Peccato perché alla fine ero un po’ stanca, ho sprecato un po’. Un altro paio di patte avrei potuto farle. Però sono abbastanza felice”.
La tua passione per gli scacchi nasce per contagio familiare?
“Ho imparato quando avevo 5 anni a causa di mio fratello, gli scacchi giravano in casa. Anche se devo dire che all’epoca i miei genitori non giocavano. Mio padre sapeva giusto le regole, neanche tutte, e giocava così, ha insegnato un po’ a mio fratello, lui si è appassionato. Poi del tutto casualmente c’è stato un corso di scacchi alle elementari, Sabino è andato, gli è piaciuto e poi ha insegnato sia a me che a mia sorella per avere qualcuno con cui giocare”.
E lui è arrivato ai primi 50 posti del mondo rapid.
“Fortissimo”.
C’è ancora una foto che gira di quando avevi 12 anni e giocavi nell’Italia 2 femminile alle Olimpiadi di Torino, in cui eri con Piero Angela. Ci fu anche il servizio su Super Quark. Tutto questo che effetto ti fece?
“Io avevo 12 anni, non mi rendevo conto di cosa fosse o di chi fosse lui. Ero bambina, l’ho presa un po’ così, ho fatto un po’ di interviste, l’ho presa un po’ così, come un gioco. Poi quando l’ho incontrato per la trasmissione, per quella puntata dove ha intervistato me e mio fratello, è stata un’esperienza molto diversa. Ho visto quest’uomo molto bravo, molto professionale nonostante una certa età, ma pieno di energia. Ha fatto domande intelligenti. Molto bello. Sono contenta di quell’esperienza”.
Un’energia che lui ha ancora oggi e l’ha trasmessa al figlio, forse una delle più belle storie d’Italia che abbiamo.
“Assolutamente”.
Nel tuo percorso chi è stato veramente fondamentale per andare avanti e avanzare di livello?
“Sicuramente mio fratello, che mi è sempre stato vicino e ha guardato cosa facessi, e poi ho avuto un po’ di allenatori”.
Passo in avanti: 2018, vinci l’oro individuale in quarta scacchiera.
“Una grandissima esperienza. Non ho dormito la notte prima, perché sapevo di dover vincere per prendere una medaglia, ma non immaginavo l’oro. Speravo al massimo argento o bronzo”.
Nell’ultima partita, al di là delle mosse, cosa ti dicevi?
“È stato difficile. Mi sono seduta alla scacchiera e sono caduta nella preparazione della mia avversaria (l’inglese Sue Maroroa, N.d.R.), che aveva studiato bene come aprire e mi sono ritrovata in posizione inferiore. In quel momento ho subito dimenticato qualsiasi cosa riguardante medaglie, classifiche, risultati, perché la cosa importante in quel momento era sopravvivere. La posizione era abbastanza brutta, abbiamo giocato ancora un po’, poi sono riuscita a prendere un vantaggio e sono rimasta comunque sulla partita. Poi quando mi sono accorta che la posizione era completamente vinta ed era solo questione di tempo, e ho visto come vincere, ho visto le idee giuste e tutto, dovevo solo muovere, ma sapevo che sarebbe finita con una mia vittoria. In quell’ultima mezz’ora, in cui tutto era finito, ma dovevo ancora giocare, mi è crollata addosso tutta la stanchezza, ho preso tutto quello che avevo, la barretta di cioccolato, la bottiglietta d’acqua, solo per tenermi concentrata. Dopodiché, quando finalmente la partita è finita, ero tutta felice e ho avuto un’altra botta di energia. In sala ho festeggiato piano piano con il mio capitano, poi sono tornata in albergo e non sapevo ancora quale medaglia avevo vinto. Dopo un po’, quando ho scoperto che era d’oro, ho festeggiato con Sabino, che era lì vicino”.
Però questa volta non proprio piano.
“In sala gioco ovviamente piano, è richiesto silenzio. Però ti puoi abbracciare con il capitano. Quello sì. Però, ovviamente, in silenzio senza disturbare nessuno, perché chi sta giocando ha tutto il diritto di giocare nelle migliori condizioni. Ci sta però che un momento ci si lasci andare”.
Altro salto sulla macchina del tempo: nel 2011 il Presidente Giorgio Napolitano ti ha consegnato il diploma con l’insegna di Alfiere della Repubblica. Per te cos’è stato?
“Un grandissimo onore. Siamo stati al Quirinale, abbiamo fatto una piccola visita, poi c’è stata tutta la cerimonia ed è stato veramente un grande onore. Non sono riuscita a scambiare due parole con lui, però vederlo lì ha fatto un certo effetto”.
Tu sei un po’ la nostra donna dei record, perché sei stata la prima delle italiane a diventare Maestro Internazionale. Questo come ti fa sentire da una parte, e dall’altra cosa credi possa dare a quelle persone che vogliono arrivare a quel che hai fatto tu finora?
“Spero di poter essere un esempio positivo per le altre giocatrici in Italia. Spero che le ragazzine che si avvicinano al gioco capiscano che arrivare a un buon livello è possibile, dato che sono molti di più i ragazzi che giocano rispetto alle ragazze. Però dimostrare che si può arrivare a buoni livelli anche essendo una ragazza spero che faccia il suo effetto. Poi sicuramente bisogna migliorare. Non è il mio obiettivo fermarmi qui a Maestro Internazionale. Voglio andare avanti”.
Siccome gli scacchi sono uno sport mentale, dato che Judit Polgar è arrivata nei primi dieci assoluti al mondo, perché negare alle donne di arrivarci? I tornei potrebbero tranquillamente essere non differenti, ma gli stessi.
“Le donne possono tranquillamente giocare i tornei maschili. Infatti di solito la dicitura corretta è assoluti, così come io ho giocato al Campionato Italiano Assoluto. Basta qualificarsi. Questa è la parte complicata. Non perché sei donna, ma perché devi avere un certo livello di gioco, che è indipendente dall’essere donna o uomo. La divisione maschi-femmine e i titoli femminili sono fatti per incentivare le ragazze a giocare. Il giorno in cui i numeri di ragazzi e ragazze sarà circa uguale probabilmente anche i due livelli saranno uguali e non avrà più senso avere le divisioni. La grande differenza è che se in un torneo ci sono 100 persone, e le ragazze sono 2-3, se queste sono le proporzioni il livello femminile è più basso. È una questione di statistica. Però posso tranquillamente giocare un torneo coi maschi, senza nessun problema. Non c’è niente che me lo vieti. Anzi, spero proprio di qualificarmi per il prossimo Campionato Italiano Assoluto per misurarmi con loro. Se riesco a qualificarmi, ottimo”.
Inoltre i titoli femminili non appaiono avere molto senso, nella misura in cui i titoli assoluti sono tali.
“Anche qui, i titoli femminili sono fatti per incentivare le ragazze. Ovviamente contano anche quelli, però è ben chiaro a cosa si riferiscano i titoli femminili e come devi prendere le graduatorie. Il senso di quei titoli è abbastanza chiaro in relazione a cosa rispecchiano. E comunque sì, una donna ha i titoli femminili, ma ha anche quelli assoluti. Quelli femminili sono in più, ma non è che devi per forza prendere quelli e fermarti lì. Anzi. Ben venga che prendi quelli assoluti. Adesso io sono Maestro Internazionale assoluto, il passo fino a Grande Maestro ci provo a farlo, è difficile, ma piano piano ci provo”.
2500 come obiettivo.
“Non è facile, non perché io sia una donna, ma perché il livello 2500 è difficile per tutti, uomo o donna che sia. E il punteggio ELO non è maschile o femminile. È abbastanza chiaro che se hai una donna a 2350 e un uomo a 2350 sono della stessa forza. Pari. Non si discute”.
Quali sono le partite che consideri per te più importanti?
“Tutte quelle del Campionato Italiano Assoluto, è stato fondamentale per me potermi misurare con i migliori in Italia. Prima sicuramente la mia vittoria contro Nana Dzagnidze all’Europeo femminile 2019, dove mi sono qualificata per la Coppa del Mondo e quella partita è stata fondamentale per me. Il torneo era appena iniziato, credo che fosse il quinto turno. L’ho iniziato bene, l’Europeo è un torneo difficile e particolare, avevo un po’ di dubbi e mi chiedevo se potessi continuare a giocare in quel modo per tutto il torneo, se ero al mio posto o se stava girando bene. Dopo aver battuto, però, un Grande Maestro di ELO 2550 capisci che hai fatto un salto di qualità e puoi sicuramente lottare per qualificarti, e così sono riuscita a ottenere la qualificazione”.
Fra le altre cose, agli Assoluti sei riuscita a strappare la patta a Luca Moroni.
“Patta con Luca, con mio fratello Sabino, con Alberto David, ho vinto con Lorenzo Lodici che era Campione Italiano uscente. Ho fatto un bel torneo, sono stata contenta”.
Hai fatto anche tanti campionati a squadre. Quanto cambiano i meccanismi rispetto ai campionati individuali?
“Cambia molto. Di solito a squadre si gioca su 4 scacchiere, ognuno dei 4 giocatori ha la sua partita, si sommano i risultati e si arriva al risultato finale. Quando uno vince la propria partita fa un punto, se patta ne fa mezzo e se perde non ne fa. Sono quattro scacchiere, puoi vincere 4-0, 3-1, 2.5-1.5, o pareggiare 2-2. Oppure perdere. E questo è il risultato del match. È vero che ogni giocatore gioca la propria partita, ma queste partite si giocano in contemporanea, sono 4 tavoli messi uno in fila all’altro, quindi si può tenere d’occhio come sta andando il match in generale, quindi fare una valutazione di tutte e quattro le posizioni. Esempio più chiaro: sono finite già due partite, entrambe patte, e ne rimangono altre due da giocare. La mia posizione è circa pari, quella della mia compagna invece è un pochino peggiore. Se io vado avanti giocando tranquillamente, faccio patta, e la mia compagna che sta peggio è probabile che perda, allora perderemmo il match. Dato che la cosa più importante è il risultato di squadra, in quel caso, se vedo la mia compagna che sta perdendo, io rischio un po’. Potrei complicare la mia posizione, potrebbe andarmi male e potrei perdere. Ma se riesco a vincere, recupero lo svantaggio della mia compagna. Nel caso opposto, se la mia compagna sta vincendo, allora io cerco di chiudere in parità in modo tale che sia lei a portare il punto a casa e a far vincere la mia squadra 2.5-1.5. Quindi, in un incontro a squadre, è vero che uno guarda la propria partita, ma deve guardare come stanno andando anche le altre tre, cercando di capire se rischiare un po’ di più o essere più solidi e cercare, quindi, di conservare la propria posizione. Invece in un torneo individuale è solo la tua partita, rendi conto solo a te stesso e se vuoi rischiare più del solito ricade solo su di te. Sono appunto scelte individuali”.
Certo, se arrivi all’ultimo turno e sei in lotta per la vittoria, un pochino cominci a pensare anche a quello che succede nelle altre scacchiere.
“Mentre nei tornei a squadre a volte la sera prima si capisce contro chi si va a giocare, si studiano un po’ gli avversari e allora si può fare una strategia del tipo: ci sono due avversarie pericolose che giocano in un certo modo, e allora quelle due cercano di tenere calmano la posizione, quell’altro si complica, e prima di sederti a tavolino sai che piega prenderà il match, perché ti sei messo d’accordo la sera prima”.
Come sei riuscita a far convivere gli scacchi con gli studi, nel conseguire la tua laurea triennale in Psicologia?
“Mi sono impegnata, ho cercato di fare entrambe le cose. Ovviamente ci vuole un bel po’ di organizzazione. La Mitropa Cup in Italia non sono riuscita a farla perché dovevo laurearmi in quei giorni, pazienza. Però ricordo che qualche volta, quando dovevo preparare gli esami, dovevo vedere il calendario, controllare se c’erano tornei. Spesso facevo bene la sessione gennaio-febbraio dando cinque esami, perché lì spesso ero comunque abbastanza ferma coi tornei. La sessione di giugno-luglio e quella di settembre erano difficili perché avevo molti tornei, e quindi ho fatto più o meno l’università facendone 2-3 durante l’estate, oltre a quelli di gennaio. Non è stato facile, però sono felice. La laurea sono riuscita a prenderla”.
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Psicologia negli scacchi che, poi, è un fattore assolutamente primario.
“È stato interessante. Ho fatto psicologia cognitiva, qualcosa di neuroscienze. È stata tosta, triennale. Un giorno potrei fare un master in psicologia dello sport, con l’esperienza che ho già qualcosa ne capisco”.
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federico.rossini@oasport.it
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Foto: archivio Marina Brunello / Yuri Garrett