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Ciclismo
Strade Bianche 2020: Wout Van Aert, il trionfo della multidisciplinarietà
Gli alfieri della multidisciplinarietà, con il trionfo di Van Aert alla Strade Bianche 2020, possono aggiungere un’altra gara al loro ormai ricco palmares di successi. Una vittoria ottenuta, peraltro, nel giorno in cui Remco Evenepoel, che fino ai 17 anni e mezzo ha fatto il calciatore, per di più ad altissimi livelli nelle categorie giovanili, ha messo il suo sigillo sulla Vuelta Burgos e Bryan Coquard, che su pista è stato campione del Mondo e d’Europa, ha tagliato a braccia alzate il traguardo della prima frazione della Route de l’Occitanie davanti ad Elia Viviani, uno che ha conquistato un oro olimpico nell’Omnium. E alla Sei Giorni delle Rose, in corso in questi giorni a Fiorenzuola, sta dando spettacolo il sottovalutatissimo francese Benjamin Thomas, il quale ha dominato la corsa a punti e lo scratch in programma come ha fatto l’anno scorso col Campionato Nazionale francese a cronometro.
Decenni fa quasi tutti i corridori erano soliti, quantomeno, alternare l’attività estiva su strada a quella invernale nelle sei giorni e nel ciclocross. Ne parlava di recente Roger de Vlaeminck, che nel cross ha vinto due titoli iridati, uno tra i dilettanti e uno tra i professionisti, mentre consigliava pubblicamente a Remco Evenepoel di fare qualche gara su fango e prati durante dicembre e gennaio. Ai suoi tempi, spiegava il Gitano, tutti lo facevano: Godefroot, Verbeeck e anche un certo Eddy Merckx.
Lo stesso Eddy Merckx che, in giovane età, oltre al ciclismo aveva praticato, a buoni livelli, anche boxe e calcio. In epoca recente diversi tecnici hanno cercato di convincere i corridori a fare solo strada sin dalle categorie giovanili. Eppure passato e presente delle due ruote ci dicono altro. Non solo praticare più discipline del pedale è propedeutico, ma anche fare altri sport è utile, poiché ti permette di lavorare su muscoli che, nel processo di formazione tradizionale del corridore, di solito vengono un po’ trascurati. Il 2019 ha consacrato Primoz Roglic, il quale arriva addirittura da uno sport come il salto con gli sci, che non dovrebbe avere nulla a che fare col ciclismo. Invece, la particolare muscolatura della parte inferiore del corpo dello sloveno, tipica dei saltatori, è il motivo per cui in bicicletta riesce ad assumere una posizione stilisticamente impeccabile e tremendamente efficace.
Wout Van Aert e il suo grande rivale Mathieu van der Poel hanno acceso le luci sulla multidisciplinarietà. Ma il ciclismo è ricco di grandi che hanno praticato anche altre discipline o altri sport. Fuglsang, Alaphilippe, Bernal, Sagan, Trentin, Stybar e prima di loro anche Cadel Evans e Ryder Hesjedal arrivano tutti dal fuoristrada, sia esso mountain bike o ciclocross. Bradley Wiggins, Geraint Thomas, Mark Cavendish, Fernando Gaviria ed Elia Viviani, invece, sono esempi di atleti che hanno ottenuto grandissimi risultati su strada e su pista. E che dire di Michael Woods, che dalla corsa a piedi è passato al podio mondiale nel ciclismo? O di Carl Fredrik Hagen, ottimo nello sci di fondo prima di diventare atleta capace di piazzarsi in top-10 alla Vuelta. La stessa Annemiek van Vleuten, che oggi ha fatto sua la Strade Bianche femminile, è arrivata al ciclismo a ventiquattro anni dopo aver fatto equitazione e calcio.
Se vogliamo andare nello specifico a vedere che vantaggi ha dato oggi a Van Aert il suo background troviamo tre aspetti che spiccano. Innanzitutto, l’esperienza nel cross gli permette di avere un feeling migliore con una superficie quale lo sterrato. Dopodiché, negli anni passati a competere sui circuiti di cross ha sviluppato un bike handling superiore a quello dei suoi rivali, che gli permette di guidare la bici meglio degli altri e di spendere meno energie in diversi momenti delle corse. Infine, ed è forse l’aspetto più importante, Van Aert è abituato a fare un’ora di gara a tutta e questo si è visto nel finale, quando aveva decisamente più energie rispetto ai rivali.
Spesso si tende a pensare che il ciclismo su strada sia lo sport più duro di tutti quanti. Ma sovente sottovalutiamo il fatto che in molte gare i corridori stanno tranquilli a ruota dei gregari dall’inizio alla fine. Al contrario, uno come Remco Evenepoel che praticava uno sport considerato “facile” come il calcio, ogni volta che scendeva in campo doveva farsi novanta minuti a tutta in apnea. L’enfant prodige belga, peraltro, giocava in un ruolo, il terzino, dove non hai un attimo per tirare il fiato, dato che devi fare sia la fase difensiva che quella offensiva. Certamente madre natura gli ha dato a supporto un talento immenso, poiché ha una Vo2Max paragonabile a quella di Bernal, uno dei coefficienti di resistenza aerodinamica più bassi mai calcolati e un ematocrito naturale che sfiora il 48%, ma il calcio lo ha abituato a farsi 90 minuti di sforzo senza sosta e questo gli torna incredibilmente utile durante una cronometro, dove devi premere il piede sull’acceleratore dall’inizio alla fine, o quando porta i suoi ormai famosi attacchi da lontano.
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La multidisciplinarietà aiuta a formare ragazzi che non sono solo “semplici” corridori, ma atleti a 360°. E questo è ciò che fa la differenza. Corridori che vengono da altre discipline sono abituati fare sforzi che nel ciclismo si fanno ormai di rado, poiché corse come la Strade Bianche odierna o l’Amstel Gold Race vinta da van der Poel non sono certo la norma. Inoltre, chi fa pista, mountain bike o cross impara, per forza di cose, ad avere un feeling migliore con il mezzo.
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luca.saugo@oasport.it
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Foto: Lapresse