Ciclismo

Vincenzo Nibali alza bandiera bianca. E con lui naufraga tutto il ciclismo italiano

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Nell’anno della pandemia sognavamo un Vincenzo Nibali sulle orme di Gino Bartali. Era il 1948 e l’Italia si trovava sull’orlo di una guerra civile. A placare gli animi ci pensò il ‘Ginettaccio’, che a 34 anni realizzò l’impresa più grande della carriera, ribaltando un Tour de France che sembrava ormai perso. Un successo nella Grande Boucle che maturò addirittura un decennio dopo quello del 1938. Oggi, come allora, il nostro è un Paese ferito e sanguinante. L’incubo del Covid-19 non accenna a placarsi ed ogni giorno la paura torna a crescere in maniera direttamente proporzionale all’aumento dei contagi. Per questo la nostra speranza era che il ‘grande vecchio’ potesse regalarci l’ultima perla della carriera ed infondere attimi di gioia e sollievo ad un popolo martoriato: nulla di tutto questo.

Nel primo, vero tappone del Giro d’Italia 2020, Nibali ha alzato bandiera bianca: l’ambizione di vincere la Corsa Rosa è andata ormai in frantumi, salvo improbabili ribaltoni che al momento non si intravedono all’orizzonte. E’ stata una stagione stranissima, si spera irripetibile. Tanti corridori hanno fatto fatica a trovare la condizione ideale. Lo Squalo, seppur non al 100% della forma, era apparso brillante nelle classiche di agosto. Poi qualcosa si era inceppato dopo il ritiro in altura che aveva preceduto la Tirreno-Adriatico: da lì in poi ha fatto fatica a ritrovare le migliori sensazioni.

Il siciliano sembrava essersi sbloccato nel corso dei Mondiali di Imola, quando aveva corso da protagonista, con tanto di attacco nell’ultimo giro, salvo arrendersi sullo strappo conclusivo. La scintilla iridata sembrava essere stata confermata anche dal primo arrivo in salita del Giro d’Italia, quando il classe 1984 era stato protagonista sull’Etna. Da quel momento in poi, solo segnali negativi. Dalla prima ‘mini-crisi’ di Roccaraso, ad una Trek-Segafredo che è andata sgretolandosi progressivamente con i ritiri di Pieter Weening, Giulio Ciccone e Gianluca Brambilla. Ieri il messinese non aveva disputato una buona cronometro, tutt’altro: in particolare era apparso molto appesantito in salita. La tappa odierna doveva rappresentare l’inizio della riscossa, ma ha sancito invece il naufragare delle velleità di successo finale. Nei primi km dell’ascesa finale di Piancavallo, Nibali aveva mantenuto bene la ruota dell’olandese Wilco Kelderman, salvo andare in crisi di colpo a poco più di 8 km dall’arrivo. Difficile parlare di semplice giornata negativa, perché si tratta già della terza dopo quelle di Roccaraso e Valdobbiadene. Semplicemente allo Squalo manca qualcosa e chissà che le difficoltà palesate non dipendano anche da problemi di salute che potrebbero emergere nei prossimi giorni (il compagno di squadra Ciccone è andato a casa per una bronchite). Se il siciliano ritrovasse una condizione accettabile ed i tapponi dell’ultima settimana venissero confermati, il podio sarebbe ancora alla portata: si tratterebbe del dodicesimo in un grande giro ed eguaglierebbe il record italiano di Felice Gimondi. Al momento, tuttavia, questa appare più una mera speranza che una ipotesi concreta.

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Con Nibali oggi è affondato tutto il ciclismo italiano ed era solo questione di tempo che ciò avvenisse. Il ricambio generazionale non si è mai concretizzato e per troppi anni ci si è aggrappati solo alle imprese dello Squalo, arrivato ormai alle soglie delle 36 primavere, dunque al crepuscolo della carriera. In questa Corsa Rosa ci eravamo illusi che un altro grande veterano come Domenico Pozzovivo potesse compiere l’impresa a quasi 38 anni, ma oggi il lucano ha incassato un’imbarcata importante: sovente in carriera ha dovuto fronteggiare una giornata negativa che gli ha precluso le ambizioni di gloria.

Nibali classe 1984, Pozzovivo 1982: di cosa stiamo parlando? Questo è il ciclismo italiano attuale nelle corse a tappe, un movimento che è destinato a scomparire. Abbiamo festeggiato la top10 di Damiano Caruso (altro 33enne…) al Tour quasi come una vittoria, a dimostrazione di un livello più basso che mai. Al Giro abbiamo anche Fausto Masnada (classe 1993) in decima posizione, ma a ben 4’12” dalla maglia rosa. Di sicuro il bergamasco è un bel corridore, che può ancora crescere, ma difficilmente diventerà mai un uomo da podio nelle corse a tappe di tre settimane.

Alle spalle di Nibali c’è un vuoto angosciante. Lo sapevamo già da 3-4 anni, ma ora l’età avanzata del siciliano non fa altro che mettere in risalto ancor di più una terra tristemente desolata. Il grande erede Fabio Aru è rimasto vittima dei propri fantasmi e da ormai diverso tempo è l’ombra del corridore che vinse una Vuelta, ottenne due podi al Giro e giunse quinto al Tour. Corridori come Giulio Ciccone e Matteo Fabbro, sicuramente futuribili, sinora sono stati relegati al ruolo di gregari nelle rispettive squadre: nel frattempo gli anni passano inesorabili…Qualcosa si muove a livello giovanile, come hanno dimostrato i buoni risultati al Giro U23 di Kevin Colleoni e Giovanni Aleotti. La sensazione, tuttavia, è che all’orizzonte non si veda un Evenepoel italiano, ma neppure un Pogacar, Bernal o Almeida…Nemmeno un Hindley o un McNulty… La Francia non vince il Tour de France dal 1985: il rischio concreto è che anche l’Italia debba vivere un digiuno eterno prima di rivedere un azzurro in maglia rosa.

federico.militello@oasport.it

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