Rugby
Rugby, Paolo Garbisi “Non mi aspettavo di esordire a 20 anni, ma devo ancora lavorare tanto”
È il nome nuovo del rugby italiano, è la nuova speranza a numero 10, numero stregato in azzurro dai tempi di Diego Dominguez. Paolo Garbisi, veneziano, ha esordito nei recuperi del Sei Nazioni con l’Italia a soli 20 anni. Ma chi è Garbisi e come sta vivendo questo periodo magico? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.
Paolo, iniziamo con una domanda facile. Le emozioni dell’esordio in azzurro nei recuperi del Sei Nazioni quali sono state?
“Ovviamente c’era tanta tensione prima della partita, ma al tempo stesso ero molto contento perché era un sogno che si realizzava. La tensione è scemata con l’inizio della partita, diminuendo minuto dopo minuto in campo. Non è stato l’esordio che sognavo perché è stata una brutta prestazione sia la mia sia quella della della squadra. L’assenza di pubblico, poi, era strana. Da un lato forse mi ha aiutato, perché sarei stato ancora più teso a esordire con 50mila persone, ma dall’altra era triste vedere gli spalti vuoti”.
Nel recente passato i giovani talenti italiani arrivavano in azzurro tardi. Tra Accademia, Top 10, adattamento in Pro 14 e Nazionale passavano almeno 3/4 anni e in azzurro si arrivava a 23/24 anni. Ora ci sei tu, ma anche Federico Mori, o la scorsa stagione Niccolò Cannone che avete decisamente bruciato le tappe. Cosa è cambiato secondo te?
“Onestamente faccio un po’ fatica a fare un ragionamento d’insieme, posso parlare per me. Ho avuto la fortuna di aver avuto la possibilità di giocare con Treviso per le assenze degli altri numeri 10 per infortunio. Ho giocato abbastanza bene e quindi è arrivata anche la chiamata in azzurro. Rispetto alla tua domanda, non credo sia cambiato tanto rispetto al recente passato e credo che quando uno fa bene gli spazi li trova e alla fine si meriti la convocazione. Resta da dire che non mi aspettavo di essere convocato, neanche nelle mie più rosee aspettative avrei pensato di fare questi due salti cosi velocemente”.
Esordio di fuoco in Pro 14 e, subito dopo, l’esordio monstre in Nazionale. In questo inizio di stagione quali dei punti di forza che hai sempre considerato tuoi hai scoperto che devono venir migliorati a questo livello e, invece, quali sono quelli che sul campo credi si siano dimostrati già pronti per il rugby internazionale?
“Sono sempre stato convinto che i miei punti di forza fossero la gestione della partita e il gioco al piede, ma con le ultime esperienze in Pro 14 e soprattutto in azzurro ho capito che devo lavorare ancora tanto, che non sono ancora a questo livello. Ho avuto delle buone conferme, invece, per quel che riguarda la mia capacità di attaccare la linea”.
Restando in tema di paragoni, qual è la grande differenza tra il Top 10 e il rugby internazionale?
“Le differenze sono molteplici. C’è una concezione del lavoro completamente diversa, ci sono strutture più attrezzate, staff più completi che ti permettono di lavorare di più sul dettaglio ed è quello che fa la differenza in campo. Per quel che riguarda le partite, c’è un’intensità e un’esigenza da un punto di vista di anticipare il gioco che ti spinge veramente al limite e che ogni tanto è difficile tenere questi ritmi”.
Dal tuo esordio con il Petrarca si parla di te come di un predestinato. È un onore o un peso per te?
“Un peso ti direi di no, perché non ci faccio tanto caso onestamente. Io penso al campo e a quel che succede fuori ci pensate voi giornalisti, perché è il vostro lavoro. Insomma, ti confesso, per me non é né un peso né un onore, non ci do troppa importanza. Poi, certo, sono un essere umano quindi i complimenti non possono che farmi piacere”.
Parliamo un po’ di te. C’è un aneddoto che ti accompagna da qualche anno. Cosa mi dici se ti dico “IO”?
“Sì, ma attenzione, diciamo subito che non è un qualcosa di egocentrico. Io indosso la maglia numero 10, ma io in quel numero ci vedo anche la parola IO. È una presa di coscienza che il mio ruolo necessità di presa di responsabilità, di decisioni che servono per la squadra. È un io, ma all’interno di un noi”.
Rugbista fin dalla più giovane età, ma a Paolo Garbisi piacciono altri sport? Hai degli hobby? Studi?
“A me piace seguire tanti altri sport, dal calcio al basket, dal tennis alla Formula1. Sono tifoso e appassionato e mi piace molto seguire gli altri sport. Come hobby amo viaggiare, sono una persona curiosa, anche se tra l’aumento degli impegni sportivi e questa pandemia, ahimè, al momento ho dovuto mettere in pausa questa mia passione. Sì, studio anche e sono iscritto al secondo anno di Giurisprudenza all’Università di Padova”.
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