Rugby
Rugby, Sei Nazioni 2020: Italia, il gap è ancora enorme
Si è chiuso ieri sera a Parigi il Sei Nazioni più lungo e travagliato della storia. La vittoria della Francia sull’Irlanda ha messo la parola fine su un torneo iniziato a febbraio che l’Inghilterra ha vinto, alzando il trofeo. Ma qual è il bilancio del torneo per l’Italia? Negativo, purtroppo, molto negativo.
Iniziamo con i numeri. L’Italia ha chiuso all’ultimo posto con zero punti in classifica. Nessun successo, ma anche nessun bonus difensivo conquistato. A rendere però più pesante la situazione e a mostrare come il gap con le altre cinque nazionali è ancora enorme è un altro numero. -134. È la differenza tra i punti fatti e quelli subiti dall’Italia. Un dato che non è il peggiore di sempre, ma che fa effetto se si guarda al Galles, cioè la squadra che ci precede in classifica e che ha vinto solo un match (contro l’Italia) nel torneo. I gallesi hanno una differenza punti di +21. Come la Scozia, quarta, con un +18. Tradotto: solo l’Italia ha chiuso il torneo con un saldo negativo.
Passiamo a ciò che, invece, si è visto in campo. Lo abbiamo già scritto più volte, ma dove l’Italia ha più deluso quest’anno sono stati i punti d’incontro. Con l’Inghilterra è andata un po’ meglio e, infatti, l’Italia almeno nel primo tempo è rimasta ampiamente in partita, mentre con l’Irlanda gli azzurri hanno sofferto fin da subito e il motivo principale è stata l’impossibilità di contrastare gli avversari nelle ruck quando si difendeva, ma soprattutto l’impossibilità di costruire gioco in attacco, perché gli irlandesi contestavano i punti d’incontro dominandoli. L’Italia in questo Sei Nazioni ha perso troppi palloni nei breakdown, ha commesso troppi falli ed è stata incapace di dare fluidità e velocità al gioco. Il rugby moderno è dominato dai punti d’incontro e se tu li subisci sei già condannato alla sconfitta.
Anche a livello di singoli il gap con gli avversari è enorme. In questo Sei Nazioni Franco Smith ha scelto una rosa giovane e, dunque, sicuramente l’inesperienza di molti ragazzi è una giustificazione, ma non può nascondere i problemi evidenti che l’Italia ha nell’uno contro uno. Non puntiamo il dito contro chi ha più deluso, ma basta vedere le statistiche del torneo per accorgersi che sono pochi gli azzurri che si sono realmente messi in mostra. Tra i promossi c’è Mattia Bellini, molto cresciuto nell’ultimo biennio e che palla in mano è ormai una certezza (379 i metri corsi dall’ala, quarto migliore del torneo), e Jake Polledri, che però arriva dalla scuola inglese, e che è dominante nei turnover (6 effettuati, uno solo in meno di Stander, il migliore) e che entra nella top 5 anche come palloni portati e offload effettuati. Offload dove spicca anche Matteo Minozzi, secondo con 9 dietro ad Antoine Dupont.
Ha giocato molto bene a febbraio Braam Steyn (terzo nella classifica delle touche vinte), anche se la terza linea è sembrato in sofferenza negli ultimi due incontri. Positivo è stato lo spostamento di Carlo Canna a primo centro, probabilmente il ruolo dove oggi può esprimersi meglio, mentre ha convinto all’esordio Paolo Garbisi all’apertura. Per il resto, però, come detto gli azzurri sono sempre stati in sofferenza e mediamente sotto la sufficienza a fine partita.
Insomma, concludendo vanno evidenziate le parole di Franco Smith prima e dopo la partita contro l’Inghilterra. “In generale penso che fisicità, intensità e ritmo del gioco siano molto bassi in Italia e che le franchigie stiano facendo di tutto per colmare questo gap, anche se al momento il livello internazionale ha ancora un altro passo” ha detto alla vigilia, mentre dopo la partita ha detto che “abbiamo offerto una prestazione diversa sotto il profilo dell’atteggiamento”. L’Italia, dunque, ha un gap importante con le altre nazionali e che il Pro 14 fatica a far colmare, ma è soprattutto la mentalità che penalizza gli azzurri. “In Inghilterra mi hanno insegnato a vincere”, ha detto Matteo Minozzi alla vigilia. Ecco, 27 sconfitte consecutive nel Sei Nazioni e Treviso e Zebre in difficoltà nel Pro 14 non insegnano a vincere. E il gap si amplia.
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Foto: Luigi Mariani – LPS