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Sci di fondo, Federico Pellegrino: “I punti in staffetta? Un’assurdità. In testa ho Pechino 2022. Il mio fisico sta cambiando”

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Si legge Polizia, si intende Fiamme Oro, si scrive Federico Pellegrino. Che sia nato ad Aosta è un dettaglio per lui, che è orgogliosamente di Nus e, a trent’anni, è sempre pronto a suonare la carica dell’Italia dello sci di fondo, alla quale ha regalato e continua a regalare gioie in sequenza. Dopo una stagione 2019-2020 che lo ha visto essere un po’ meno fortunato rispetto al passato recente, è ancora lui a porsi come grande rivale di Johannes Klaebo, soprattutto a tecnica libera. Che, del resto, è quella della gara olimpica a Pechino 2022. Il suo sguardo sullo sport che ama, però, è sempre vigile, come dimostra una volta di più anche dalla Finlandia, dove l’abbiamo raggiunto per un’intervista dai contenuti mai banali.

Dove ti trovi ora in Finlandia?

“Sono a Muonio, che è una località molto a nord, dove però fanno un grande snowfarming, e meno male, perché le temperature, purtroppo, in questi giorni sono di poco sopra lo zero e quindi grazie alla neve tenuta da parte dalla passata stagione c’è un anello di 5 km. Qui si stanno allenando i russi, i tedeschi del fondo e del biathlon, noi tre italiani che siamo saliti venerdì scorso, poi ci sono gli sloveni, i polacchi, qualche finlandese. C’è un po’ di movimento e si inizia già a respirare l’aria di inizio stagione”.

Un po’ di tutto tranne i norvegesi.

“I norvegesi di solito hanno le loro svariate località in Norvegia. Loro di solito fanno la rifinitura a Beitostolen, dove hanno delle gare FIS. Noi qui non le abbiamo avute perché sono state annullate, però abbiamo fatto comunque dei test. Adesso arriveranno anche i francesi e ci confronteremo anche con loro. Con il Covid-19 non è semplice, perché non sono consentiti alcuni tipi di allenamenti, come quelli che creano un po’ più di assembramento. Anche già solo una sprint non è ancora consentito farla, ma d’altra parte riusciamo, a gruppetti più piccoli, a poterci ‘scannare’ prima dell’inizio di stagione”.

Ormai se si deve cancellare, si cancella. Com’è successo con Lillehammer.

“Esatto. Purtroppo quest’anno sarà così, di sorprese ce ne saranno a non finire e quindi aspettiamo. Non dico che si vive alla giornata, però ogni giorno ci si aspetta che ci sia qualche novità e qualche pratica in più da poter gestire. Vedremo. È notizia di lunedì sera che a Ruka non si potrà recuperare il weekend di Lillehammer, per cui ci sarà subito un weekend vuoto dopo uno di gare. Questo dispiace, perché il calendario, pur essendo fitto, era stato accettato. Sicuramente non è saltando la seconda tappa che si risolve molto dal punto di vista del calendario, però la Norvegia ha rimandato a data da destinarsi la possibilità di gareggiare sulle nevi di Lillehammer. Noi probabilmente rimarremo su in Finlandia, vista anche la situazione di neve abbastanza critica dalle nostre parti. Ovvio, può sempre arrivare una perturbazione, venire tanta neve, però l’altro step era stato impostato fino a Lillehammer, quindi noi rimarremo su qualche giorno ad allenarci. Ci saranno anche delle gare FIS la settimana dopo il primo weekend di Coppa del Mondo, sempre a Ruka, quindi potrebbe essere l’occasione giusta per potersi preparare in vista delle gare del Centro Europa, quelle di Davos e Dresda prima di Natale”.

A proposito di calendario, tu sei stato negli ultimi anni particolarmente critico sulla sua composizione. Quest’anno come lo vedi?

“Quest’anno, anche se è brutto da dire, speravo che il Covid ‘desse una mano’ alla FIS per fare un calendario un po’ più decente, e invece neanche il Covid ci è riuscito. Non è il calendario dei sogni, nel senso che è sulla falsariga degli anni passati. L’unica cosa che hanno fatto è stata togliere il weekend di Natale prima del Tour de Ski, però dopo continua a esserci un weekend sprint-team sprint la settimana dopo, dove sappiamo benissimo che i partecipanti non saranno sicuramente tutti gli atleti più forti del mondo e questo, secondo me, è il problema. Ho sempre manifestato contrarietà rispetto all’organizzazione di questo calendario di Coppa del Mondo. Se non sbaglio, la passata stagione c’erano nove weekend di fila, uno di pausa e poi sei di fila. Secondo me non è il modo giusto in ottica di spettacolo, perché lo spettacolo è dato dal vedere sempre gli atleti più forti, mentre invece con un calendario del genere non è sempre così. Adesso quest’anno hanno pensato a quest’altra ennesima idea assurda, che è quella di assegnare punti nelle gare a squadre, che secondo me è una cosa veramente inconcepibile. Io mi auguro che ci sia qualche autorità al di sopra della FIS che controlli questo tipo di scelte, perché è del tutto antisportiva. Non è possibile, secondo il mio parere, ma anche secondo quello di tanti altri atleti, che vengano assegnati punti per la classifica individuale che arrivano da gare a squadre. Sia nel bene che nel male, perché comunque sia c’è chi può trarre vantaggio da questo, e sappiamo benissimo chi, e cioè sicuramente i norvegesi. E c’è anche chi, però, ne trarrà sicuramente svantaggio. Non parlo di me perché non ho mai avuto ambizioni di classifica generale e quindi ho sempre costruito i miei obiettivi puntando su me stesso e sulla classifica sprint. Nel momento in cui anche le gare team sprint dovessero assegnare punti non solo per la classifica generale, ma anche per quella individuale sprint, allora sicuramente mi farebbe storcere un po’ il naso, perché si andrebbero ad avvantaggiare atleti che già hanno un vantaggio non indifferente nei confronti degli altri, che sono sempre i norvegesi”.

Ogni riferimento a Johannes Klaebo non è casuale.

“No, non è lui. Sono sicuro che lui è molto onesto, e sono sicuro che anche lui non è d’accordo sotto questo punto di vista. Glielo chiederò subito appena ci incroceremo a Ruka la settimana prossima, ma sono sicuro che lui non ha bisogno di quello per vincere. Il problema è che c’è qualcuno, all’interno della FIS, che fa le proposte, e che arriva da quei paesi lì, che continua a tirare acqua al proprio mulino, ma non capisce che tirando acqua al mulino della Norvegia la si toglie a tutte le altre nazioni, e succederà, perché succederà, che anche in Norvegia lo sci di fondo perderà appeal, così come sta già accadendo. E loro hanno bisogno di atleti forti da altre nazioni, non ha senso tagliare le gambe con regole assurde come questa ad atleti di altre nazioni. È una cosa che si ritorce loro contro. In Italia lo sci di fondo sarà il 20°-25° sport nazionale, in Norvegia è il primo. Chi ha più da perdere sono di certo loro, non di certo noi. Se mi avessi fatto queste domande l’anno scorso o due anni fa mi avresti trovato molto più incattivito, mi sarei scaldato molto più facilmente. Ho provato a fare il mio negli ultimi due anni facendo delle proposte, incontrando atleti. La mia campagna non è andata a buon fine, a vedere il calendario proposto addirittura in un anno di pandemia. Quindi va bene, accetto questa sconfitta e la rimando a fine carriera, quando magari potrò avere un po’ più di peso da quel punto di vista, quando ricoprirò un ruolo utile. Per il bene dello sport ovviamente, non parlo mai per il bene mio personale, perché se no l’unica cosa che direi è ‘fate più sprint a skating’ (ride), ma è chiaro che non si può fare un calendario con un solo format di gara, anzi, di sprint a skating ce ne sono sempre tante. È la gara che c’è di più durante la stagione. Non posso lamentarmi”.

Quest’anno però sono meno del solito: ce ne sono sei in classico e tre in skating, e anche quella dei Mondiali è in classico. Però quella più importante di tutte, quella delle Olimpiadi, è in skating.

“Tra due anni. Ci saranno, da qui alle Olimpiadi, circa 10 sprint a skating. E la mia testa ovviamente è focalizzata totalmente su quelle gare. Ogni gara la prenderò come un check in vista del grande obiettivo di Pechino 2022 per ascoltare al meglio il mio fisico e cercare di capire se l’impostazione di preparazione è quella giusta e quali ingredienti mancano per poter puntare in alto nel 2022″.

A proposito di preparazione: qui la strada si spiana su due livelli. Il primo è: ti sei ripreso completamente dal tendine negli scorsi mesi? Il secondo è: come e quanto cambia la preparazione con l’avanzare degli anni e della carriera?

“L’infortunio è stata una bella botta, a livello morale, perché mai come quest’anno avevo delle sensazioni belle. Mi allenavo bene e tanto, sicuramente conta il fatto di aver iniziato la preparazione un mese prima, il 1° aprile invece che il 1° maggio, dovuto al fatto che un mese prima abbiamo finito la stagione causa lockdown (e ho smesso di allenarmi il 15 marzo anziché il 15 aprile). Quindi durante l’estate mi stavo allenando molto e bene, poi purtroppo è arrivato quest’infortunio e semplicemente è stato il mio fisico, visto che ormai mancava poco allo scollinamento dei 30 anni, a farmi capire che non sono più il Pellegrino di 10 anni fa, quello entrato da poco in Polizia, nel Gruppo Sportivo Fiamme Oro. Questo vuol dire che devo cercare di curare molto di più il mio fisico e magari allungare i tempi del riscaldamento, dedicare parte del tempo della mia giornata allo stretching, alla mobilità. Tutte cose che già sapevo e che facevano parte della mia routine, ma evidentemente non abbastanza. Questo è cambiato, e ho tanti ‘sensori’ attivi nel mio corpo e cerco di ascoltare sempre i segnali che mi danno. Per quel che riguarda la zona infortunata durante l’estate, al momento posso ritenermi più che soddisfatto: è stato fatto un grande lavoro. Sono stato aiutato molto bene. Sicuramente devo ringraziare chi mi ha seguito, il dottor Filippini dell’ospedale Negrar di Verona, e il medico di squadra, il dottor Balestrieri, che mi hanno dato modo di recuperare sia a livello fisico che a livello di tranquillità mentale nel miglior modo possibile. Lunedì ho fatto l’allenamento più pericoloso per quel tipo di infortunio. Sono passati già tre mesi, però il rischio di recidiva c’è sempre. Ho dovuto aspettare tanto tempo per tornare a fare lo scatto in alternato proprio perché era l’allenamento più pericoloso. Non ho sentito assolutamente niente, anzi, la cosa positiva è stata che ci ho pensato solo a fine allenamento. Avevo impostato tutta la preparazione del lavoro per cercare di limitare il più possibile il rischio di farmi del male, ma alla fine l’ho sempre eseguito al meglio e soltanto dopo mi è venuto in mente di dire ‘oh cacchio, non mi sono neanche più ricordato di ascoltare la coscia durante gli scatti’. Questo mi ha fatto capire che dal punto di vista fisico, ma anche mentale, questo infortunio posso ritenerlo un capitolo chiuso, anche se sappiamo bene che soprattutto questo tipo di infortuni, andando avanti negli anni, può sempre dare il rischio di recidiva, il che mi fa stare sempre con le antenne drizzate”.

Secondo te quest’anno sarà duello tra Klaebo e Bolshunov per la Coppa del Mondo generale oppure ci sarà qualche altro possibile inserimento?

“Io, da tifoso dello sci di fondo, spero che ci sia un bel duello come quello dell’anno scorso, perché è stato avvincente fino all’ultima gara. E sarebbe stato ancora più bello che si portasse a termine la stagione, perché col minitour delle sprint Klaebo avrebbe avuto la possibilità di chiudere un po’ il gap su Bolshunov, ma c’erano poi ancora altre gare nel weekend finale a Canmore. Io spero che possa esserci ancora un duello a prescindere dal nome dei protagonisti. Il Tour de Ski, per esempio, è stato bellissimo che si sia risolto nell’ultima tappa. È stato veramente avvincente. I duelli fanno sempre bene, così come sono sempre stati avvincenti i duelli per la classifica generale del biathlon, dove proprio all’ultimo poligono sia per gli uomini che per le donne lo stravolgimento era dietro l’angolo. Anche nel mio sport si è verificato qualcosa di simile, ovviamente non con l’incognita poligono che può stravolge le cose, però mi auguro che ci sia un bel confronto, una bella sfida, e che ci sia il dubbio fino alla fine di chi può spuntarla”.

C’è stato un momento un po’ caotico nel finale della scorsa stagione, quando non sembrava esserci tanta coordinazione tra organizzazione in Canada, FIS e atleti che non andavano che aumentavano in numero, fino a che si è annullato tutto.

“È stata una situazione un po’ particolare, ma d’altronde non era facile per nessuno prevedere anche a livello internazionale una situazione del genere. C’erano atleti che erano già in Canada, altri che non erano partiti, altri che sono partiti comunque. Arrivati lì, fino all’ultimo sembrava che le gare dovessero svolgersi regolarmente a prescindere da presenti o assenti, e poi invece, nel momento in cui i gruppi nazionali di Canada e USA hanno rinunciato a partecipare, si è fatto un passo indietro definitivo. È stato un finale di stagione che ha lasciato molto l’amaro in bocca, ma c’è da dire che è stato un periodo particolare, se non per l’intera umanità, perlomeno per il nostro emisfero. È stato giusto e doveroso, finché c’è la possibilità di gareggiare, perseverare nell’intento di correre per l’Italia degli sport invernali perché è il mio lavoro. Nel momento in cui, però, è stato deciso di finire la stagione e sono stato obbligato a tornare a casa, è stato anche giusto il fatto di dover stare noi alle regole, cioè al periodo di lockdown chiusi in casa”.

Tu il lockdown come l’hai vissuto?

“Sicuramente c’è stata un po’ di preoccupazione per quel che riguarda il problema pandemia per tutte le persone che sono state male e anche per chi è scomparso, e anche per i miei cari, che in alcuni casi sapevo che potevano essere anche a rischio. D’altra parte, se guardo la parte del mio lavoro, un lungo periodo così, vissuto senza viaggi, spostamenti e quant’altro, mi ha fatto anche bene dal punto di vista fisico potermi godere la tranquillità di casa dopo anni di spostamenti uno dopo l’altro imprevisti, viaggi, eventi e quant’altro. Ho avuto la possibilità, da una brutta cosa, di poterne trarre un vantaggio dal punto di vista del mio lavoro. Ho ripreso ad allenarmi davanti a casa, nel mio giardino, grazie alla possibilità che ho avuto acquistando anche un tapis roulant per fare anche skiroll sopra quando si è potuto riprendere l’allenamento, e poi, appena ci è stata consentita la preparazione anche sui sentieri e nelle strade, a inizio maggio, e poi anche fuori dal comune, siamo tornati alla normalità della preparazione. È stato un periodo un po’ strano, ma così come lo è adesso. La situazione dell’Italia al momento non è come quella della primavera dal punto di vista di restrizioni, numeri e quant’altro, ma è molto grave e critica. Sento anche un po’ un senso di responsabilità in più, essendo una sorta di privilegiato nel poter svolgere il mio lavoro. Non tutti al momento hanno questa fortuna e quindi cerco di trarre ancora più energie per potermi impegnare ancora di più e cercare di fare il massimo, come sempre, ma con una spinta in più per questo senso del dovere di cercare di fare al meglio ciò che sono chiamato a fare”.

Per voi com’è dover gareggiare con molto meno pubblico di quello che usualmente trovate?

“Io non ho mai badato troppo a quello che succedeva intorno a me quando gareggio. Cerco sempre di focalizzare tutte le mei attenzioni su me stesso, e quindi a quel che succede intorno non è che faccia troppo caso. Sicuramente ho bene in mente certe situazioni in cui mi sono venuti i brividi appena prima della partenza, dovuti a quei tanti occhi puntati addosso, non solo tramite la televisione, ma anche lì, sul campo gara. Sicuramente particolare sarà il momento in cui il pubblico non potrà accedere a certe gare, quelle classiche trasferte del mio fan club. Sicuramente sarà strano, perché è un fan club che mi ha sempre seguito da 10 anni a questa parte, tutti gli anni han sempre fatto qualche trasferta. Al momento quelle classiche del fan club sembrano forse un po’ in pericolo. Da quel punto di vista non vedere i gialli del mio fan club a bordo pista nella classica tappa di Davos, a cui sono sempre venuti, piuttosto che al Mondiale, dove dal 2011 sono sempre venuti, potrebbe essere un gran dispiacere. D’altra parte sento comunque la spinta anche da parte loro, come la sento quando sono in posti un po’ più lontani dall’Italia, dove non riescono a seguirmi, la sentirò anche in quei luoghi a bordo pista. Anche loro sono in attesa dei nuovi DPCM e delle nuove regole da seguire per impostare la stagione”.

Parlavi del Tour de Ski e del discorso calendario, abbastanza importante perché uno vorrebbe arrivare anche a finire il Cermis, ma le date incalzanti fanno sì che molti abbandonino prima: in questo modo parte un determinato numero e arriva la metà.

“Han provato anche lì a mettere delle regole, che però non hanno portato dei frutti, come segnare dei punti solo per chi lo finisce. Secondo me non ha senso. Dall’anno scorso c’è anche il pettorale dello sprinter, che poi non è solo sprinter, che comunque deve finire il Tour de Ski. Hanno provato a mettere delle novità, ma non è ancora abbastanza. Basterebbe semplicemente togliere il weekend successivo dal Tour de Ski dal calendario e sicuramente moltissimi atleti lo finirebbero, anche perché a me stesso dispiace aver preso parte a tantissimi Tour de Ski e averli sempre abbandonati prima della salita del Cermis, non perché fossi spaventato dal fare quel tipo di sforzo o quel tipo di gara, ma perché, non avendolo mai fatto, non posso permettermi di rischiarlo la settimana prima di un weekend con sprint-team sprint. Torno a casa e mi lascia sempre un po’ l’amaro in bocca, guardo sempre la salita finale del Cermis un po’ triste per non essere dentro quella bagarre, che sia tra i migliori 30 o fuori da quelli che rimangono a finire il Tour. Però mi dispiace tanto. Peraltro quest’anno il Tour de Ski quest’anno ha di nuovo 8 gare, l’anno scorso ne aveva 7 ed era l’ideale per poterlo finire. Invece non è così. Poi negli ultimi anni hanno spostato tutte le distanze per i maschi a 15 km, ci sono due mass start, due inseguimenti, solo una cronometro. Sarebbe molto avvincente una cronometro a skating a Dobbiaco, un tracciato in cui mi sono già comportato bene in passato in altre gare. Sarebbe bello anche per me poter dare tutto a ogni gara e fare un Tour de Ski a tutta, però non conoscendo benissimo i limiti, non volendo rischiare di andare oltre il mio, non posso permettermi di fare come fanno altri atleti, consciamente o inconsciamente, per il fatto che sanno di essere preparati per uno sforzo di quel tipo, in funzione dello sprint della settimana dopo che assegna 100 punti al vincitore, e per me, che punto a quella graduatoria lì, è una costrizione di scelte”.

Ai Mondiali di Oberstdorf punti di più sulla sprint in classico oppure sulla team sprint?

“Sicuramente in ordine cronologico viene prima la sprint e vorrei fare bene. Il mio miglior risultato in una sprint in classico dei Mondiali è stato un quinto posto a Falun nel 2015, dove avevo una medaglia al collo fino a 200 metri dal traguardo. Quella gara mi ha lasciato molto l’amaro in bocca, sicuramente mi ha dato tanta spinta per le edizioni successive, dove a livello individuale ho portato a casa un oro e un argento in tecnica libera. Quest’anno l’obiettivo mio sarebbe di migliorare quel quinto posto del 2015. Diciamo che se non fosse il quarto sarebbe meglio. Vedremo. La passata stagione vedeva segnate sul calendario col circoletto rosso la sprint premondiale di Oberstdorf in classico e il minitour del Canada. Quest’ultimo non l’abbiamo potuto fare, però c’è da dire anche che la sprint in classico di Oberstdorf è un obiettivo che ho centrato, arrivando quarto dietro a tre atleti della stessa nazione, che sono i tre che mi sono arrivati davanti nella classifica della sprint, Klaebo, Valnes e Golberg. Sono molto fiducioso. Fra l’altro nelle premondiali di Lahti e Seefeld avevo già fatto quarto, e quindi magari quest’altro quarto è di buon auspicio per la sprint dei Mondiali. C’è da dire anche che una team sprint a tecnica libera è qualcosa di molto allettante, ma sappiamo bene che le componenti della gara a squadre si scelgono la sera prima. Cercherò di dare, durante la prima parte di stagione, di continuare a dare elementi sufficienti per poter essere preso in considerazione per quella gara, perché ci credo molto, soprattutto per l’Italia, perché siamo in diversi atleti con delle qualità giuste per quel tipo di sforzo. Quindi sono molto fiducioso anche per quella gara, sia con me dentro la coppia che senza”.

Quest’anno hai affrontato una sprint particolare ad Are. Quanto è stato diverso da tutto il resto affrontarla?

“Quel giorno lì avevo vissuto delle emozioni molto diverse. Io sono contrario a quel tipo di esperimenti in Coppa del Mondo, perché abbiamo una stagione che dura tot mesi e dei grandi obiettivi che sono quelli che comandano, che sono Mondiali e Olimpiadi e che hanno determinato quei criteri. Nessuno si sognerebbe mai di fare una gara del genere a Mondiali e Olimpiadi, e quindi mi chiedo perché bisognava ‘svendere’ il valore di una gara di Coppa del Mondo, o cercare di aumentarlo inventandosi un tracciato di quel tipo. Sono partito per quella gara, ma fin da subito, pur sapendo che ho buone qualità da quel punto di vista, abbastanza contrariato proprio per le motivazioni che ti ho appena elencato. Dall’altra parte, però, avevo voglia di fare bene, quindi ho cercato di impegnarmi al massimo per farlo. Nel frattempo c’è stato anche il miglior risultato in carriera di Greta, la mia compagna, che per poco non è riuscita, al fotofinish, ad acciuffare la sua prima finale in carriera, però su un tracciato del genere, dove in tanti nell’ambiente la davano per spacciata prima ancora che partisse per fare quella gara inserita all’interno di un tour, ha dimostrato che le carte ce le ha per giocarsela anche su una sprint dura, anzi massacrante, come quella, perché non s’è mai vista una sprint con un dislivello del genere. Emozioni molto particolari, però portando a casa un podio per me, il miglior risultato in carriera per Greta, e sperando che non si ripeta più, all’interno di un calendario di Coppa del Mondo, che vengano proposti degli eventi di quel tipo. In Coppa del Mondo l’obiettivo, secondo me, dovrebbe essere quello di avvicinare atleti, loro tecnici e preparatori degli atleti nel modo migliore per garantire uno spettacolo sempre più di alto livello a Mondiali e Olimpiadi. Gare del genere, così come una sprint cittadina tipo Dresda, che non hanno niente a che vedere con i dislivelli, le lunghezze e le pendenze delle gare di Mondiali e Olimpiadi secondo me sono sprecate”.

A proposito di Greta Laurent, come anche di Francesco De Fabiani: come stanno?

“Loro li vedo abbastanza bene. Anche Greta ha dovuto gestire un infortunio, occorso al primo raduno sul ghiacciaio dello Stelvio nell’ultimo giorno con una frattura al capitello radiale, e quindi al gomito, che è un’articolazione molto balorda e molto difficile da recuperare e che noi abbiamo parecchio come leva per poter spingere col bastone. Anche di lei si è presa cura il nostro fisio di squadra, Christophe Savoye, che quest’anno ha fatto gli straordinari. Greta ha dovuto far fronte a un’estate diversa dalle altre, molto più impegnativa dal punto di vista mentale perché impegna anche molte più energie da quel punto di vista. Però la vedo bene, perché nel frattempo, com’è successo a me durante la convalescenza, ha potuto lavorare su altri aspetti che mi auguro possano dare bei risultati, e anzi qualcuno lo sto già notando adesso sciandoci assieme, e non vedo l’ora di vederla in gara per vedere a che punto sarà già la settimana prossima. Per quel che riguarda De Fabiani, lui non ha invece avuto infortuni durante quest’estate, però arrivava da una stagione in cui non è riuscito a esprimere il suo reale valore, e quindi è molto motivato per cercare di togliersi le soddisfazioni che secondo me merita per quello che è il suo valore come atleta”.

Cosa vedi dietro di te da Davide Graz in giù, parlando della nuova generazione?

“Beh, aspetta, da me a Davide Graz c’è ancora qualcosa in me, io sono ’90 e lui è 2000, però nel frattempo c’è una squadra B che già da parecchi anni ha elementi di valore, ma quest’anno lo è ancora di più, ed è impreziosita dalle medaglie ai Mondiali junior di Graz. Non è che mi aspetto qualcosa, mi auguro più che altro che il loro livello sia cresciuto quanto basta per pensarli non tanto in Coppa del Mondo per spaccare il mondo, ma perlomeno per primeggiare in Coppa Europa, dove invece negli ultimi anni troppo spesso, soprattutto a livello senior abbiamo avuto i francesi davanti. E loro, dopo aver vinto gare in Coppa Europa facevano bene. Invece noi italiani abbiamo fatto tanta fatica negli ultimi anni anche solo a vincere gare di Coppa Europa, quindi, per quanto magari questi atleti si prendevano pass per partecipare a gare di Coppa del Mondo, poi di certo quei risultati non erano abbastanza soddisfacenti. Quindi mi auguro che abbiano tanta voglia di vincere e che riescano a soddisfarla già in Coppa Europa per crescere di autostima, arrivare in Coppa del Mondo e poi, quello sì, quando sarà quel momento lì, dimostrare di che pasta sono fatti e che risultati possono ottenere. Però prima servono le vittorie a livello minore, perché se no è troppo facile non riuscire a ottenere i risultati sperati e ci si demoralizza. Io penso che la psicologia, in tutti gli sport, ma soprattutto nel nostro, giochi un ruolo pazzesco, e quindi avere fame di vittorie, ma anche dar da mangiare alla nostra testa con qualche soddisfazione in più, confrontandosi con atleti magari di livello leggermente minore, ti può dare quella spinta per arrivare a testa alta a combattere con atleti di valore assoluto”.

Pur sapendo che di tempo ne manca, a Milano-Cortina 2026 ci stai facendo un pensiero?

“Al momento è un sogno. Non lo posso reputare ancora un obiettivo perché è troppo in là, e soprattutto quest’anno, in cui il mio fisico ha iniziato a farmi capire che l’età sta andando avanti, non posso permettermi di segnarlo sul calendario come obiettivo. Questo al momento è Pechino 2022 e rimango concentrato su quello, poi nei prossimi anni si vedrà”.

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federico.rossini@oasport.it

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