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Basket, Frank Vitucci: “Le otto vittorie buon tesoretto da custodire. A Brindisi c’è molta passione, fondamentale il nuovo palasport”
Otto vittorie consecutive, gli occhi dell’Italia cestistica puntati addosso, una corsa che al momento non conosce sosta. L’Happy Casa Brindisi sta disputando il più bel campionato di Serie A della sua storia. Il risultato è ancor più di rilievo se si pensa che quasi tutta la squadra è stata cambiata in estate, a partire dall’importante asse play-pivot. La mano sapiente dietro l’inizio di stagione importante del club pugliese è quella di Francesco Vitucci, per tutti semplicemente Frank, uno degli allenatori più stimati d’Italia e portatore di una grandissima esperienza alle spalle. Abbiamo raggiunto l’uomo che guida Brindisi dal 2017 per un’intervista in cui ha tracciato diversi bilanci tra squadra, campionato e nuovo palasport cittadino.
Com’è nata l’impostazione tecnica della squadra del 2020-2021, anche al netto delle tante partenze come quelle di Adrian Banks e John Brown?
“Prima abbiamo cercato di capire gli italiani che potevano fare al caso nostro e di puntellare quel settore lì, poi gli stranieri, confermato Thompson, seguendo quelle che sono le mie idee di pallacanestro, il budget a disposizione, il fiuto di Simone Giofrè. Mettendo assieme le cose, poi è venuta fuori questa nuova Brindisi 2020-2021“.
Idee di Simone Giofrè che hanno portato due signori giocatori nel campionato italiano: D’Angelo Harrison e Derek Willis. Ci si aspettava un così forte rendimento fin da subito?
“Dietro c’è un lavoro di scouting che facciamo io e Simone assieme dove si restringe il cerchio a 2-3 giocatori per ruolo. L’ultima parola spetta a me dal punto di vista tecnico ed ero sicuro che erano due giocatori che avrebbero fatto bene, quindi non c’è stata neanche una grande sorpresa. Sicuramente siamo molto contenti di queste scelte fin adesso e stanno andando benissimo“.
A proposito di benissimo: otto vittorie consecutive in campionato per Brindisi sono qualcosa di enorme, ancor di più perché ottenute in un contesto particolare come quello attuale, senza il sostegno del pubblico per buona parte del tempo. Quanto è importante e sentito il fatto di aver avuto questa partenza e di essere la seconda forza attuale dietro Milano?
“Io sono molto pragmatico in questo. Quel che mi interessa è che le otto vittorie in sé, che vogliono dire 16 punti in classifica, sono un buon tesoretto da custodire, da implementare, che fa stare tranquilli per il momento rispetto a brutti sogni e ci fa anche pensare di alzare un pochino l’asticella, che magari all’inizio non sapevamo esattamente dove avremmo potuto porre, perché è evidente che è stato un inizio anomalo per tutti, è stato un precampionato strano, squadre nuove. Per il momento siamo molto contenti, guardiamo avanti. I numeri dicono questo adesso, ma non è che siamo improvvisamente l’anti-Milano“.
Anche perché in questo momento l’asse dell’anti-Milano si è spostato con un evento del quale si è saputo pochi giorni fa.
“Sì, ma è chiaro che chi prova a vincere lo scudetto, oltre a Milano, sono Virtus Bologna, sono Venezia, sono un po’ Sassari. Doveva esserci anche Brescia nei primi 5-6 posti e non è detto che poi non ci rientri. Le grosse squadre sono quelle lì, è abbastanza indubitabile. Poi è chiaro che il colpo di Belinelli fa alzare un po’ le quotazioni della Virtus, ovviamente, ma già prima non era una brutta squadra“.
C’è stata, ancor più in Champions League che in Serie A, se non l’esplosione, quantomeno la crescita di Riccardo Visconti, un altro giocatore che veniva dall’A2, che Brindisi ha preso e che sembra poter iniziare a ripercorrere la parabola che fu di Riccardo Moraschini.
“Esattamente, sta iniziando, perché ha ancora un po’ di strada da fare, però sia lui che Mattia Udom sono due giocatori che, come sempre facciamo, cerchiamo di prendere dall’A2 o da altri club: pensiamo che questi ragazzi possano fare al caso nostro e avere margini di miglioramento, accettino la sfida di giocare al livello superiore, magari giocando poco in certe situazioni. Però dietro la crescita personale è importante, ed entrambi questo l’hanno accettato, e il progetto su di loro, in particolar modo su Visconti che è anche il più giovane, si va a guardare nel medio periodo, non nel brevissimo, però sono già convinto che, come già stiamo un po’ vedendo, è una cosa che da e darà dei frutti importanti“.
In questa stagione, progettare i piani partita sapendo che queste potrebbero essere spostate da un attimo all’altro, sapere che c’è un format di Champions League che viene inizialmente messo in piedi in un modo e poi viene riparametrato in base alle esigenze durante il Covid, quanto rende difficile le cose?
“Le rende diverse, non più difficili. Bisogna avere una buona capacità di adattamento, cercare di guardare a sé stessi, nel senso che sei partito con un’idea e bisogna portarla avanti, bisogna continuare a crescere, migliorarsi, lavorare in palestra. La partita è il pezzo finale, ma prima bisogna metterci qualcos’altro. La partita non è poi così programmabile, va bene che ognuno faccia le cose per migliorare sé stesso“.
Nel prossimo futuro di Brindisi ci sono le partite con Cantù e Olimpia a Milano. Due partite che sono diverse, per zone di classifica e forza, ma anche di contatto. Quanto cambieranno gli approcci e gli stimoli per i giocatori?
“In questo momento l’obiettivo e l’attenzione è solo su Cantù. Poi abbiamo anche una partita di Champions in mezzo (Filou Ostenda, N.d.R.). L’obiettivo per noi, questa settimana in cui non abbiamo giocato, era quello di recuperare qualche situazione che cominciava a patire l’usura di questa prima parte di questo campionato, e lo stiamo facendo bene, e poi di prepararci perché la partita con Cantù in casa è più importante della partita di Milano. Oltre a essere la prima, temporalmente, per me è più importante. Siamo molto focalizzati su questo“.
Limitandoci a questa stagione, qual è la partita che l’ha reso più orgoglioso?
“Non saprei dare una risposta. Guardando il calendario, il mese di novembre per noi si prospettava molto duro inizialmente perché avevamo due trasferte a Bologna e a Sassari. Avevamo Fortitudo e Brescia in casa, la partita di Coppa a Burgos, che poi è l’unica che abbiamo perso. Meglio di così non potevamo fare. C’è sicuramente soddisfazione nel vincere a Bologna contro la Virtus, ma non è minore quella di vincere a Sassari, in casa con la Fortitudo pur se non era al meglio delle proprie forze. E’ tutto in progressione e spero che le soddisfazioni migliori debbano ancora venire“.
Lei ha affrontato da capo allenatore, in termini europei, non soltanto l’avventura di Brindisi in Champions League, ma anche, tanto tempo fa, quella con Imola, quando esistevano ancora la Coppa Saporta e la Coppa Korac. Quanto è cambiato, e come, il basket europeo da allora a oggi?
“Premetto che ho fatto anche con la Benetton la prima parte di Uleb Cup. Sicuramente è cambiato il modo di giocare, l’atletismo dei giocatori. Il livello è comunque molto alto. Ci sono dei modi di giocare differenti che possono far bene perché ti possono far crescere e ti possono far male perché non è facile adattarsi agli arbitraggi, a questi modi di giocare diversi così. Noi di Brindisi siamo molto contenti di fare la Coppa anche se sappiamo che per noi è una grande fatica perché logisticamente, con i mezzi che abbiamo a disposizione, c’è sempre una tratta in più da dover fare sia all’andata che al ritorno, e quindi è un po’ faticoso. D’altro canto è un’ottima esca per firmare giocatori che altrimenti non avremmo visto. Citavi prima Harrison e Willis, ma se noi non avessimo fatto la Coppa al 90% non sarebbero venuti, quindi c’è questo vantaggio indiscutibile, e vale la pena farlo anche se c’è un po’ di sofferenza logistica, fisica e mentale nel corso della stagione“.
Citava Treviso che, in quegli anni, raggiunse le Final Four dell’Uleb Cup-EuroCup in casa.
“Io da vice allenatore ne ho fatte diverse di Euroleghe, da capo allenatore non abbiamo passato i preliminari di Eurolega, era la stagione 2009-2010, non li abbiamo passati e giocammo l’Uleb Cup, abbiamo passato il primo turno in un girone anche piuttosto difficile, poi sono stato esonerato e il secondo girone se l’è goduto Repesa. Però fa parte della vita degli allenatori. Giocammo anche contro la Stella Rossa. Passammo il turno, ma quell’avventura poi non l’ho continuata“.
Cos’è che l’ha legata così particolarmente a Brindisi in questi anni?
“Un allenatore è sempre un po’ legato ai risultati, che sono stati indiscutibilmente buoni in questi anni. Importante fu quando io ho salvato la squadra dalla retrocessione tre anni fa, e devo dire che questo è stato un credito che la città, il club mi riconosce in maniera importante. Qui c’è molta passione, molta voglia di far bene, un progetto di palasport che andrà in porto. Le persone sono cordiali, mi hanno dato una buona libertà di lavoro, ho collaboratori validi, con cui si lavora bene. Le risorse sono un po’ limitate, in questo caso ci sono anche altri vantaggi che non sono solo economici“.
A proposito del palasport, appare come una cosa molto importante anche alla luce del fatto che in Italia c’è una strutturale difficoltà nel costruirli. Quant’è importante per voi la prospettiva di avere quello nuovo abbastanza a breve, anche nella prospettiva di poter dar modo a più persone di assistere alle partite di Brindisi una volta che l’emergenza Covid sarà finita?
“Io penso sia fondamentale per il futuro del club e della pallacanestro a Brindisi, che altrimenti nel giro di qualche anno andrebbe a spegnersi. Adesso qui c’è la commissione che sta valutando l’offerta della gara d’appalto, e se non ricordo male sono abbastanza avanti. E’ uno snodo cruciale per la pallacanestro brindisina. In questo periodo, in cui gli ultimi palasport costruiti spesso non sono recentissimi, sarebbe un bel segnale. C’è quello di Cantù, e anche quella è una grande iniziativa che darà di nuovo una grande spinta a quella zona del Nord Italia. Ci vogliono strutture nuove adeguate, perché quando andiamo in giro per l’Europa ne vediamo di molto belle e più avanti delle nostre, quindi dobbiamo iniziare ad attrezzarci in fretta“.
C’è un capitolo di pallacanestro brindisina non direttamente collegato alla New Basket: quello legato a un brindisino che sta portando la città in giro per l’Europa, ed è Matteo Spagnolo. A Brindisi si sente l’orgoglio per quello che sta facendo lui?
“Lui non è un prodotto brindisino, nel senso che viene da qua, ma ha fatto un percorso tutto suo, prima poco fuori Brindisi, poi alla Stella Azzurra, poi al Real Madrid. Siamo molto contenti perché è un ragazzo giovane, di Brindisi, che sta facendo tanta strada. C’è il rammarico che giocatori e talenti così non si riescano a intercettarli e svilupparli in loco. Questo sarebbe il grande sogno che dovremmo provare ad attuare. Per il resto ha fatto delle scelte e le ha fatte anche evidentemente molto bene per arrivare a quel livello là“.
O comunque far crescere questi giovani in Italia, perché si parla sempre di un ampio discorso di settori giovanili.
“Io parlo dell’obiettivo di farli crescere qui. C’è sempre stata troppa poca attenzione a investire nel settore giovanile. Ci sono processi che richiedono lungimiranza, pazienza, investimenti e competenza, e l’insieme di queste cose non è sempre andato di pari passo, fino ad oggi, purtroppo. E quindi giocatori come Spagnolo, ma anche alcuni che sono in giro per l’Italia (uno a Trieste, uno a Torino), non siamo finora stati in grado di intercettarli, non abbiamo potuto. E questo a me le fa un po’ girare, detta come allenatore di Brindisi. Però ci sono anche decisioni strategiche che non spettano all’allenatore“.
Ed è un discorso che si allarga poi anche al territorio italiano. E’ una questione cambiata tanto, un po’ per l’evoluzione delle leggi in Europa, un po’ per l’evoluzione di tante altre cose. E’ diventato difficile vedere dei giovani italiani che stanno tanto in campo in A, anche se ora qualcuno in più ce n’è. C’è una ricetta per poter riuscire a rivederli in maggior numero?
“Sarebbe un discorso troppo lungo, non credo che sia il caso di star qua a parlarne. E’ complicato, ma ci vuole quella sommatoria di fattori che se non si mettono assieme non danno risultati“.
Per quanto riguarda il Suo lato personale di allenatore, quale delle impronte date dai personaggi a partire da Giancarlo Primo e Tonino Zorzi fino a Mike D’Antoni, Ettore Messina e David Blatt c’è di più nel Suo modo di allenare?
“Ho cercato di prendere un pochino da tutti. Dal punto di vista offensivo Zorzi mi ha dato un imprinting importante. Ognuno di questi allenatori è stato importante, da Petar Skansi allo stesso Messina, a Blatt. Se avessi fatto copia e incolla di tutti loro sarei il miglior allenatore europeo, alla fine vuol dire che non ho copiato così bene. Da ognuno c’è stato molto da imparare“.
Una speranza che Lei ha per il futuro di Brindisi?
“Non vivo di speranza perché chi di speranza campa, di speranza muore (ride). Dobbiamo guardare a obiettivi che non siano troppo lontani. Speriamo di continuare a divertirci per tutta la stagione e di rivedere il pubblico presto sugli spalti. Dappertutto“.
Escludendo questa stagione, qual è il giocatore che Lei è stato più orgoglioso di aver allenato nel passato, anche nell’avergli dato una spinta importante?
“Ce n’è qualcuno che ha fatto strade importanti. Sicuramente l’ultimo italiano che l’ha fatta è stato Moraschini. Come americani, Gary Neal che avevo a Treviso. Io sono contento quando i miei giocatori partono e vanno in luoghi importanti. Per esempio Bryant Dunston, è passato da Varese e poi ha fatto una carriera mostruosa. Io sono contento quando passano, migliorano, poi vanno via e mi dispiace un po’, ma se vanno in un posto migliore significa che ho fatto un buon lavoro e ci avevo visto bene e sono contento quando vanno via a guadagnare il doppio dei soldi, anche importanti. Mi spiace un pochino dal punto di vista personale, ma da allenatore sono molto contento. E ce n’è più di qualcuno“.
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federico.rossini@oasport.it
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Credit: Ciamillo