Sci di fondo
“La dirigenza Fis deve tutelare le tappe di Coppa del Mondo. Se non lo fa, c’è un problema” ‘L’ululato del Bubo’ con Fulvio Valbusa
La Coppa del Mondo di sci di fondo è reduce da un weekend “buco”. Inizialmente si sarebbe dovuto gareggiare a Lillehammer, ma la rinuncia della località norvegese, avvenuta nelle scorse settimane a causa dell’aumento di casi di Covid-19 nella propria regione, unita all’assenza di un palcoscenico alternativo, hanno obbligato i fondisti a un fine settimana privo di competizioni internazionali. Proprio questo fatto ha generato un effetto domino che merita di essere dibattuto. Norvegia, Svezia e Finlandia hanno deciso di porre fine alla propria attività internazionale per il 2020, rinunciando alle tappe di Davos e di Dresda. È su questo tema che verte la seconda puntata della stagione 2020-21 de “L’ululato del Bubo”, rubrica di approfondimento tenuta in compagnia di Fulvio Valbusa.
Bubo, impossibile non partire dalla scelta dei Paesi nordici di non gareggiare né a Davos, né a Dresda, mettendo in dubbio persino la loro presenza al Tour de Ski. Tu cosa pensi di quanto accaduto?
“Ti dirò, a me, più che la decisione in sé, fa storcere il naso la tempistica. Probabilmente hanno deciso di muoversi in questo modo proprio per paura dei contagi, anche perché il calendario non è certo strutturato in maniera ideale. Penso, però, che non avrebbero dovuto annunciare all’ultimo momento il loro forfait da Davos e Dresda. La mia opinione è che avrebbero dovuto esprimere tutte le loro perplessità sin da quando è stata cancellata la tappa di Lillehammer, in maniera tale da lanciare una sorta di avvertimento alla Fis, che forse si sarebbe mossa con più convinzione nel cercare un recupero per la tappa norvegese, in maniera tale da non rompere la bolla. Invece, così non è successo e Norvegia, Svezia e Finlandia si sono chiamate fuori senza far capire chiaramente quali fossero le loro intenzioni”.
Al di là di questo fatto la mossa è comunque eclatante e il calendario non è certo l’ideale. Forse, strutturandolo in maniera differente a monte, si sarebbe potuto evitare questo spiacevole incidente. Dopotutto la pandemia di Covid-19 non è certo cominciata in estate o in autunno…
“Io sono convinto di un fatto, ovvero che bisogna assolutamente scongiurare il rischio di vedere ridursi il numero di organizzatori delle gare di Coppa del Mondo. Stiamo attraversando un periodo molto difficile e non devo essere io a spiegarlo. Questo significa che deve essere tutelato il più possibile chi decide di investire risorse finanziarie nello sci di fondo, in maniera tale che le competizioni di primo livello possano avere al via tutti gli atleti migliori. Capisci che se vengono meno Norvegia, Svezia e Finlandia allora mancano metà dei protagonisti? Io non dirò mai a Klæbo, Valnes, Johaug o Karlsson di andare in una località piuttosto che in un’altra, assolutamente no. Io dico che deve essere compito della Fis fare in modo che quanto accaduto non si ripeta più”.
Già, ma come? Non puoi certo obbligare gli atleti a gareggiare, lo hai detto tu stesso. Quindi, non è un cane che si morde la coda?
“Cerco di spiegarmi meglio. Il punto non è di obbligare gli atleti a gareggiare oppure di penalizzare le nazioni che si tirano indietro dalle tappe. Queste misure sarebbero ingiuste. Il punto è che bisogna fare in modo di evitare in partenza il rischio di vedere forfait di massa come accaduto per Davos e Dresda! Ovviamente, se il calendario fosse stato disegnato in maniera diversa, forse non ci troveremmo in questa bruttissima situazione. È questo il nodo principale della vicenda, la struttura della Coppa del Mondo. Mettere giù le prime tappe come gli altri anni, senza tenere in considerazione le sfide poste dalla pandemia, si è rivelato un tremendo errore. La rottura della bolla, dovuta alla cancellazione della tappa di Lillehammer, ha fatto crollare tutto il castello di carte”.
Voglio porti un quesito apparentemente banale. Possibile che in seno alla dirigenza Fis nessuno abbia pensato a muoversi diversamente? Ribadisco, l’epidemia è nota da marzo…
“Io sinceramente non so più cosa pensare. Il compito primario della dirigenza Fis dovrebbe essere quello di tutelare lo sci di fondo, compresi i luoghi dove si organizzano le gare. Perché Davos e Dresda dovrebbero investire risorse economiche per avere la Coppa del Mondo, ritrovandosi poi a ospitare una Coppetta del Mondino? Ripeto che il problema non è la rinuncia dei nordici. Questa è solo la punta dell’iceberg, o se preferisci una conseguenza di una falla che parte da lontano. Proprio sapendo quali sono le problematiche generate dalla pandemia, il calendario andava concepito diversamente, in maniera tale da razionalizzare le tappe presenti, mettendole al riparo quanto più possibile da brutte sorprese. Davvero non si poteva avere un programma diverso? Se la dirigenza dello sci di fondo non riesce a difendere lo sport che gestisce, allora abbiamo un serio problema, perché se iniziano a fioccare le rinunce, si imbocca una china pericolosa. Infatti chi ci dice che la situazione non si riproponga anche nel proseguo della stagione per altre località?”.
Ti faccio la domanda da un milione di dollari. Non c’è proprio soluzione?
“Forse sì. Le nazioni più forti dovrebbero incontrarsi e trovare un accordo tra loro in maniera tale da prendere posizione tutte assieme per provare a scardinare un sistema dirigenziale ormai inefficiente. Abbiamo visto che si può fare. A marzo una sequela di rinunce spontanee alle ultime tappe di Coppa del Mondo in Canada ha obbligato la Fis, che voleva gareggiare a tutti i costi nonostante l’epidemia dilagante, a chiudere la stagione in anticipo. Ecco, credo che se davvero si vogliano cambiare le cose per salvare lo sci di fondo, ci si debba muovere nuovamente in questo modo. Uniti e compatti, senza pensare al proprio orticello o a interessi di parte, ma guardando esclusivamente a quello comune, rappresentato dalla malconcia salute di una disciplina dove sono già stati fatti tanti danni nel corso degli ultimi tempi”.
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Foto: Davide Glatz