Ciclismo
Riccardo Riccò: “Il doping? Peggio di quando correvo io: le squadre potenti hanno vantaggi enormi. Basta tartassare gli italiani”
Riccardo Riccò è stato inibito a vita da qualsiasi attività ciclistica. Il modenese era stato originariamente squalificato per 12 anni in seguito a un’autoemotrasfusione del 2011 e lo stop sarebbe terminato nel 2024. Non sarà così perché il Tribunale Nazionale Antidoping ha stabilito una radiazione a vita con annessa multa di 4000 euro. Mano pesante, come era stato in passato per Lance Armstrong e Danilo Di Luca.
La notizia è di un paio di giorni fa e naturalmente fa discutere. L’ex ciclista si è nel frattempo rifatto una vita e ha aperto un’attività di gelateria a Tenerife e a Vignola (in provincia di Modena) insieme alla moglie Melissa. Il ribattezzato Cobra è tornato a parlare alla trasmissione social condotta dall’ex professionista Lello Ferrara: “Certo non è piacevole tornare sui giornali come se fossi ancora coinvolto in qualcosa, ma non è cambiato nulla di ciò che già sapevamo. Avevo parlato giovedì scorso in video conferenza con il tribunale e sinceramente non mi interessa più di tanto della squalifica a vita, essendo già uscito definitivamente da questo mondo. Non farò neppure ricorso”.
Il 37enne fu secondo al Giro d’Italia 2008 e vinse anche due tappe al Tour de France di quell’anno, prima di essere squalificato per una positività al CERA. L’emiliano ha dato una sua visione del ciclismo attuale: “I corridori si ritrovano con istituzioni guidate da persone anziane, con una mentalità che non va più bene per ciò che va affrontato. Il mondo è cambiato, ma siamo sempre in mano ai soliti. Il doping? Sicuramente la situazione è cambiata molto, ma da un certo punto di vista è pure peggio perchè le squadre più potenti hanno un vantaggio enorme potendosi permettere mezzi e persone inarrivabili per altre squadre“.
Il 37enne ha poi proseguito: “Non sono più nell’ambiente, sento poco anche gli ex colleghi, ma vedendo le gare mi sono fatto l’idea che la differenza è comunque troppo grande. E aggiungo che sarebbe ora di smetterla di tartassare i corridori in Italia, mentre in Spagna e Belgio non è mai stato così”. C’è stato spazio anche per una confessione: “Quando vinsi la tappa alle Tre Cime di Lavaredo, arrivando 5° nella generale al Giro del 2007, non ho toccato una medicina per le tre settimane di corsa. Avevo valori allucinanti, ero distrutto anche se in precedenza mi ero “preparato”, ma a differenza di molti altri non mi curavo durante il Giro e vi assicuro che, senza prendere nulla, era quasi impossibile competere alle corse di massimo livello“.
Un pensiero finale alla famiglia: “Cosa direi a mio figlio di 11 anni, se mi chiedesse di fare il corridore? Semplicemente di stare attento, perché il ciclismo è lo sport più bello del mondo, ma i suoi problemi nascono da tutto ciò che lo contorna”.