Sci di fondo

“Senza norvegesi non c’è spettacolo! L’Italia a Davos? Si poteva fare di più” ‘L’ululato del Bubo’ con Fulvio Valbusa

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Dopo un weekend di pausa obbligata, la Coppa del Mondo di sci di fondo 2020-2021 è ricominciata da Davos. Almeno nominalmente, perché il campo partenti della tappa elvetica non era certo degno del massimo circuito, ma assomigliava più a quello di un’Opa Cup rinforzata. Infatti l’assenza di Norvegia, Svezia e Finlandia ha depauperato oltremodo la qualità media dei partecipanti, nonché lo spettacolo offerto dalle competizioni. Quantomeno l’Italia è riuscita a togliersi qualche soddisfazione. Merito soprattutto di Federico Pellegrino, che senza i norvegesi è tornato al successo dopo quasi due anni di digiuno. Andiamo dunque ad analizzare i temi proposti dal massimo circuito nella terza puntata stagionale de “L’ululato del Bubo”, la rubrica di approfondimento tenuta in compagnia del campione olimpico Fulvio Valbusa.

Bubo, per prima cosa chiedo la tua opinione sullo spettacolo, o per meglio dire sull’assenza di spettacolo, “ammirata” a Davos. Sotto questo punto di vista, cosa vuoi dire?
“Che purtroppo è stato un weekend scontato. A Davos è andata in scena un’autentica ‘Coppetta del Mondino’ come l’avevo definita già settimana scorsa. Di fatto, tra gli uomini abbiamo visto gare di Opa Cup a cui ha partecipato anche la Russia. Nella sprint, nel momento in cui Chanavat è caduto, si è capito che Pellegrino avrebbe vinto con le mani in tasca, perché a parte il francese non c’erano avversari alla sua altezza. È chiaro che ci si emoziona sempre, ma è stata una sprint priva di qualità e soprattutto di spettacolo. Bolshunov è stato l’unico a dare un minimo di fastidio a Chicco e, non a caso, ha fatto quello che ha voluto nella 15 km. In linea teorica c’erano condizioni di neve che avrebbero consentito di avere una gara tiratissima, invece si è capito sin dai primi metri come sarebbe andata a finire. Peccato, perché avere competizioni scontate non è nell’interesse di nessuno e, sotto questo punto di vista, senza norvegesi non c’è pathos”.

Su Pellegrino hai già detto tutto. Il duello con Chanavat è subito venuto meno e lui ha sfruttato al meglio l’occasione propizia, tornando al successo dopo quasi due anni. De Fabiani, invece, ha chiuso il suo weekend con una quinta piazza nella 15 km. Ti chiedo, però, di metterla nel giusto contesto, proprio alla luce delle tante assenze.
“Andando a spulciare le analisi, ci si rende conto di come sia stata una gara velocissima, perché Bolshunov l’ha finita in meno di 33 minuti, un tempo impressionante. De Fabiani ha pagato 50 secondi al russo e, andando a vedere le classifiche del passato, è evidente come in una 15 km con tutti i più forti al via, Francesco si sarebbe verosimilmente attestato tra l’11° e il 15° posto. Questo significa che, tutto sommato, la sua prestazione è stata comunque buona. Al di là del piazzamento, credo che possa essere una performance in grado di fare bene alla sua psiche in vista del Tour de Ski, perché mette farina dentro un sacco che ha bisogno di conferme. E quelle servono, anche se arrivano da una gara del genere”.

Cosa pensi del resto della pattuglia azzurra? Sono cattivo se dico che, alla luce del campo partenti, era lecito aspettarsi di più?
“Guarda, Pellegrino e De Fabiani a parte, secondo me l’unico per cui si può parlare di bilancio positivo è Gabrielli, soprattutto alla luce della sua esperienza pressoché nulla in Coppa del Mondo. Lui nella sprint ha fatto una bella qualifica e anche una buona batteria. Per il resto, gli azzurri hanno ottenuto meno di quanto credessi. Sai bene che io sono sempre molto sincero e parlo fuori dai denti, quindi, permettermi di continuare su questa linea. Non voglio sminuire quanto fatto dai nostri, però dobbiamo parlarci chiaro. Oltre alla Russia, chi c’era? Se andiamo a valutare le possibilità dei nostri ragazzi, allora è evidente come si dovesse fare qualcosa in più, soprattutto perché si trattava di un’occasione d’oro per ottenere un risultato di prestigio. Complessivamente è stata una prestazione di medio livello. Lo stesso Salvadori, in passato, ha saputo entrare nei quindici in gare con tutti i big al via. È evidente come il suo 18° posto, al netto delle tante assenze, non sia soddisfacente”.

Passiamo alle donne, dove il livello è stato ancora più basso rispetto agli uomini. Sbaglio se dico che la grande battuta di questo weekend è Natalia Nepyaeva? Dopotutto, al di là del podio in una sprint senza svedesi, arrivare quarta nella 10 km è un risultato deludente.
“Innanzitutto va sottolineato come sia stato un fine settimana da incorniciare per Rosie Brennan. D’accordo, è andata forte anche a Kuusamo, ma questa ragazza ha 32 anni e fino a pochi giorni fa non aveva mai vinto. Questo la dice lunga sul livello delle gare di Davos. Riguardo Nepryaeva, mi aspettavo sicuramente di più nella 10 km, tanto da pronosticarla come vincitrice. Invece non è mai riuscita a ingranare e credo ci sia una ragione ben precisa. Probabilmente lei è ancora lontana dal top della forma. La stagione è lunga e molte atlete mirano al Tour de Ski e ai Mondiali. Per esempio, guardando in casa Stati Uniti, la vera Jessie Diggins avrebbe dovuto mangiarsi la Brennan. Invece l’ho vista macchinosa, in ritardo di condizione. Evidentemente perché mira a crescere strada facendo. Proprio per questo, la 10 km è stata piuttosto estemporanea”.

Alla luce di queste premesse, cosa possiamo dire delle italiane?
“Cominciamo dalla sprint. Greta Laurent ha mandato in scena per l’ennesima volta lo stesso copione già recitato a ripetizione. Anche senza le big, non è riuscita a mettere in campo quella cattiveria necessaria per emergere in questo format. C’è qualcosa che non va. Non è possibile che una ragazza in grado di eccellere costantemente in qualifica, dimostrando quindi di avere delle qualità, esca sempre malamente in batteria. Bisogna avere più coraggio nel confronto diretto, altrimenti non si emergerà mai! Lucia Scardoni ha fatto il suo compitino e, sinceramente, mi aspettavo di meglio. Per carità, è stata una buona gara, però con un campo partenti del genere credevo di vederla in finale”.

Capitolo distance? Quali sono i tuoi pensieri sulle azzurre?
“Promuovo solo Francesca Franchi. È partita a bomba, ci ha provato sin dai primi metri e poi ha un po’ patito nel finale. È scoppiata? Non fa niente, perché ha buttato il cuore oltre l’ostacolo come hanno fatto le varie Swirbul, Eiduka e Claudel. Loro sapevano di avere una grande occasione e hanno provato a sfruttarla, proprio come la Franchi. Per il resto, è inutile guardare a quante sono entrate nelle trenta. Mancavano Norvegia, Svezia e Finlandia! Piuttosto guardiamo chi sono le avversarie arrivate vicino alle azzurre. No, non ci siamo. Si poteva fare di più. In particolare sono rimasto sorpreso in negativo da Elisa Brocard, che su un tracciato così e su una pista compatta avrebbe potuto far valere le sue qualità. Non so cosa sia successo, ma di sicuro le cose non hanno girato come avrebbero dovuto. Peccato, soprattutto perché era riuscita a guadagnarsi il posto in squadra dominando i test interni”.

Questo weekend si va a Dresda. Hai qualcosa da dire al riguardo?
“Speriamo che la Fis abbia tirato le orecchie agli organizzatori dopo lo scorso anno e la pista sia stata allargata. Dresda è sempre un terno al lotto, però senza norvegesi è nuovamente terreno fertile per Chicco Pellegrino”.

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Foto: Davide Glatz

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