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Basket, Alessandro Lever: “Grand Canyon, l’obiettivo è andare al torneo NCAA. Mi ispiro a Gallinari e Nikola Jokic”

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Il contingente italiano in NCAA da tempo è piuttosto ampio, sia in campo maschile che in campo femminile. Quest’anno, il campionato universitario americano, pur con difficoltà a causa della questione Covid-19, sta muovendosi, ed Alessandro Lever ne è ancora un protagonista all’interno della Western Athletic Conference. Al suo quarto anno alla Grand Canyon University, il lungo classe ’98 cresciuto nelle giovanili di Reggio Emilia è ormai una certezza. Nelle precedenti stagioni non ha mai chiuso sotto i 12 punti di media, con un massimo di 15.7 nella scorsa annata, quella incompiuta anche nel basket universitario USA. Lo abbiamo raggiunto, direttamente negli States, per un’intervista nella quale ha raccontato diversi aspetti della sua vita universitaria, cestistica e non, ma anche del suo passato.

Che percorso di studi stai facendo?

La mia laurea è in Business Management, che si traduce come Gestione Aziendale, con una minor, una micro-laurea, in Communication, comunicazione“.

Quando hai iniziato a pensare di fare questo percorso che unisce la pallacanestro con gli studi?

All’ultimo anno di scuola superiore, quando ero a Reggio Emilia. Dopo gli Europei Under 18 di categoria, che si sono svolti a Samsun, in Turchia (in cui l’Italia arrivò terza, N.d.R.), alcune squadre di college si sono interessate a me, proponendomi una borsa di studio, e lì ho iniziato ad avere più interesse verso il mondo dello sport collegiale, che fino a quell’anno conoscevo poco e prima ancora non conoscevo praticamente per niente. Anche i miei genitori mi hanno fatto capire che è importante avere una laurea nella propria vita: non si sa mai quando si smette di giocare a basket, per cui ho deciso verso gennaio 2017 di intraprendere un percorso di studi in America e giocare a basket parallelamente“.

Il tuo impatto sia con l’America che con Grand Canyon com’è stato?

All’inizio è stato tosto. Mi ci sono voluti due anni per abituarmi, e ci sto ancora provando ogni giorno. I primi due anni non mi sono abituato per niente alla cucina americana, infatti avevo preso, a suo tempo, circa 10 chili. Adesso sono riuscito a tornare al mio peso forma, quello che mi permette di giocare al livello più alto possibile“.

Diciamo che hai cercato di integrare qualcosa di italiano nel menu americano.

Esatto. In realtà è difficile trovare cibo buono italiano in America, però ci sono alcuni ristoranti che mi piacciono parecchio, che sono più o meno italiani“.

Questa stagione, al netto di tutte le situazioni che si sono create con il Covid, c’è stata una bella partenza di squadra. Per voi sarà ancora duello con New Mexico State e Utah Valley? E quanto peserà, soprattutto per New Mexico State, dover cambiare arena a causa delle restrizioni legate proprio al Covid?

“È sempre un duello contro le squadre importanti. New Mexico State domina la conference da 10-15 anni, quindi sono sempre il punto di riferimento per tutte le squadre che vogliono batterla. È il nostro derby, mettiamola così. Utah Valley ha costruito una buona squadra anche quest’anno, quindi sarà un’altra partita molto importante per noi, da vincere. Anche perché ci saranno poche partite a disposizione, visto che il Covid sta forzando tante squadre a cancellare tanti incontri, come ad esempio New Mexico State, che non si sa quando verranno recuperati, e se verranno recuperati. Giocare partite è importante. Ci stiamo preparando, questa settimana abbiamo proprio loro e sarà una sfida importante. Come squadra è pronta a giocare sia in casa che fuori, quindi non penso che abbia un grande impatto dove giochino“.

A proposito di recupero delle partite dal Covid, qual è il protocollo della NCAA in queste situazioni?

Se un giocatore risulta positivo ai test settimanali, la partita viene cancellata e, in caso ci sia tempo per recuperarla, la si recupera. Infatti noi veniamo testati ogni due giorni con il tampone rapido per vedere se siamo positivi. Però in squadra sono stati quasi tutti positivi al Covid durante l’estate, quindi siamo stati ‘fortunati’ per ora a non avere altri casi“.

Anche a te è capitato?

Sì, anche a me. Tutti in estate l’abbiamo preso. Siamo tornati da quel periodo di vacanza forzata dal Covid, siamo rientrati all’università verso luglio, qualcuno ce l’ha portato dentro e l’abbiamo preso tutti quanti“.

Ci sono due temi in merito alla sospensione dell’ultima stagione. Il primo: quanto ti è pesato non poterla vedere concludersi? Il secondo: quanto è stato difficile dover rimanere lì molto a lungo?

Ha pesato il fatto di non poter vedere se c’era la possibilità di ribaltare la stagione che stavamo facendo, avevamo 13 vittorie e 17 sconfitte, mi sarebbe piaciuto provare a rimediare con un paio di partite per dimostrare quanto valevamo come squadra. Sono rimasto in America per il resto dell’estate per paura di non poter rientrare, visto che c’erano stati un sacco di aerei cancellati e gli Stati Uniti sospendevano i voli internazionali soprattutto provenienti dall’Europa. Avevo paura di non poter rientrare qui“.

A GCU è nata l’idea dei cartonati con le figure degli spettatori sulle tribune, che in Italia ha importato Sassari. Quanto pesa l’assenza di spettatori?

La nostra arena viene riempita, negli spalti più vicini al campo, con queste immagini di attori famosi, personaggi televisivi o di cartoni animati. Grand Canyon University, comunque, permette a 400-500 persone di entrare e fare il tifo. Durante le partite fanno sentire il ‘finto tifo’ dagli altoparlanti, hanno registrato le voci e il tifo che facevano gli studenti negli anni precedenti e lo hanno riproposto durante la partita“.

Come hai vissuto il cambio in panchina da Dan Majerle a Bryce Drew?

Sono entrambi grandissimi allenatori. Le differenze in campo sono minime. Entrambi chiedono ogni giorno leadership in campo e fuori. Il mio ruolo è cambiato leggermente, perché negli anni precedenti giocavo più da 5, e quest’anno invece sono più un’ala grande, ma le richieste sono sempre le stesse da parte degli allenatori“.

A proposito di questa tua doppia dimensione, ti piaceva di più il ruolo di 5 ‘alla Lorbek’, per citare un grande nome del basket europeo, o questo che è più da 4 puro?

Non fa molta differenza, alla fine le richieste del 4 e del 5 sono più o meno le stesse. Al giorno d’oggi anche i 5 devono saper tirare da tre punti. In fin dei conti è più o meno lo stesso ruolo, solo che il 4 deve avere miglior capacità di palleggio. Mi sto adeguando, a me piacciono entrambi, non mi fa nessuna differenza. In allenamento gioco anche da 5, quindi sono abituato a entrambi“.

Ed è sempre la questione per cui, con la pallacanestro che cambia col tempo, di 5 puri ne sono rimasti davvero pochi.

Esatto. Anche in NBA si vedono sempre più 5 che devono saper tirare da tre punti per spaziare il campo“.

Con Majerle quanto ti è capitato di parlare dei suoi tempi della NBA e con Drew quanto è invece successo di parlare di Valparaiso e dell’esperienza che lui ha avuto a Reggio Calabria?

Quando Bryce Drew è arrivato come capo allenatore ha parlato ai giocatori, ha anche parlato un po’ dell’esperienza in Italia, di quanto gli era piaciuta e del fatto che gli piacerebbe tornare presto. Le esperienze che ci raccontano professionalmente sono quelle dei tempi in cui giocavano. Con Majerle, nei prepartita capitava di parlare un po’ delle sue NBA Finals contro Michael Jordan per ispirarci e portarci un po’ di grinta nelle nostre partite“.

Il sito di GCU, particolarmente dettagliato, riporta sia la possibilità che tu diventi il secondo miglior marcatore della storia dell’università che quello per cui (da inizio stagione), con 25 ulteriori partite, puoi diventare il giocatore con più presenze nella storia del tuo ateneo. Quanto ti inorgoglisce far parte in questo modo della storia di Grand Canyon?

Sarebbe un orgoglio poter essere lì, tra i migliori giocatori che l’università abbia mai avuto. L’obiettivo però è di arrivare al torneo NCAA, che abbiamo mancato un paio di volte negli ultimi anni“.

Questa continua rincorsa come viene vissuta, anche a livello di risposta del vostro pubblico?

GCU vive di basket, è lo sport principale dell’università. Il preside è spesso presente agli allenamenti, e insiste spesso con gli allenatori per spronarci il più possibile perché arrivare al torneo NCAA è sempre stato un obiettivo dell’università. E lo è anche quest’anno, è il nostro ‘dovere’ non provarci, ma arrivarci. Negli anni precedenti si vedeva il palazzo che si riempiva, un’arena sempre piena. Quest’anno con il Covid i posti sono limitati. Con New Mexico State verranno ammesse 1000 persone dentro l’arena“.

Per te com’è una giornata tipo tra campo e lezioni?

A causa del Covid questo è un anno un po’ particolare. Di solito il lunedì abbiamo pesi, prima dell’allenamento, ma quest’anno lo abbiamo al pomeriggio, quindi pesi alle 3, poi allenamenti dalle 4:30 fino alle 7. Il martedì è l’unico giorno in cui ho lezione in presenza, quindi allenamento alle 9:30 fino a mezzogiorno, all’1 ho lezione fino alle 5. Il mercoledì è simile al lunedì, il giovedì è simile al martedì, solo che in questo caso è presenza online“.

Nella Western Athletic Conference c’è anche un altro italiano, Mattia Da Campo, a Seattle. Quando vi ritrovate sul parquet quanto tempo vi rubate per parlarvi o dirvi qualcosa?

Negli anni precedenti un po’ sì. E c’era anche Scott Ulaneo (ex Stella Azzurra, N.d.R.). Ci fermavamo a chiacchierare un paio di minuti, in riscaldamento. Poche parole, perché eravamo ‘nemici’ in campo, giocavamo una partita importante per diventare primo o secondo della conference. C’erano due chiacchiere, poi eravamo sempre preparati per la partita“.

Tu sei un prodotto di Reggio Emilia, quella in cui c’era, in prima squadra, gente come Pietro Aradori, Amedeo Della Valle, Rimantas Kaukenas, Federico Mussini (anche lui per un periodo in NCAA a St. John’s), Achille Polonara, Stefano Gentile. Quanto hai avuto, nella tua crescita, dal vedere ciascuno di loro dal vivo da vicino?

Gli anni che ho vissuto in prima squadra ad allenarmi, e il paio di partite che ho giocato, mi hanno aiutato tantissimo a crescere come giocatore. Ho imparato anche a che livello voglio giocare e cosa comporti arrivarci. Penso che tra quelli da cui ho preso di più come giocatori ci siano stati Andrea De Nicolao e Kaukenas. Con lui ci scriviamo ancora, ci sentiamo su Instagram, ci scriviamo di come stiamo, come procede e tutto il resto. Le persone che mi hanno aiutato a crescere di più, a Reggio Emilia, come giocatore, erano loro“.

Pallacanestro che è una cosa di sangue nella tua famiglia: tua madre giocava a Bolzano, insieme a Paola Mazzali, cui poi è stato intitolato il palasport.

Ho sempre vissuto in palestra. Mio padre allenava gli under 13-14, se non sbaglio. Ero sempre lì, ogni giorno, da quando sono nato, ogni weekend, tra allenamenti e partite. I miei genitori mi hanno trasmesso questa passione“.

Quali sono i compagni più forti che hai avuto a Grand Canyon e quali sono invece quelli contro cui hai giocato che ti hanno fatto la maggiore impressione?

Nell’anno da freshman (il primo, N.d.R.), mi ha fatto tanta impressione Nevada, che era una squadra importantissima che ci ha battuto nettamente. C’erano Caleb e Cody Martin, che ora giocano agli Charlotte Hornets, mentre il terzo fratello si è rotto un piede un paio di mesi fa ed è free agent. Di quelli con cui ho giocato, o che ho conosciuto, DeWayne Russell, con cui non ho giocato personalmente perché c’era nell’anno prima, secondo me è stato il giocatore più forte nella mia squadra. Lui, Michael Finke e Trey Drechsel sono i giocatori più importanti con cui abbia giocato. Tutti e tre sono pro: Drechsel è in Serbia (Mladost Zemun via Partizan, N.d.R.), Finke nei Paesi Bassi (ZZ Leiden, N.d.R.) e Russell, invece, a Treviso“.

A proposito di campionato italiano, da lì quanto riesci a seguire le vicende che ci sono qui?

Riesco a seguire quel poco che la LBA mette su YouTube. Ho provato a cercare su qualche sito la possibilità di vedere le partite in diretta, soltanto che vengono trasmesse da Eurosport o dalla Rai e in America non riescono a vederle. Quel poco che posso vedere sono highlights sul canale YouTube della LegaBasket“.

Quale percorso, nella pallacanestro, stai iniziando a vedere dopo la NCAA?

Mi piacerebbe giocare da professionista, quindi ovunque questo percorso mi porti voglio giocare a basket, che sia in Italia o in Europa non penso sia una gran differenza. Però per ora sono focalizzato solo sul finire bene questa stagione e arrivare al torneo NCAA, poi in estate vedremo cosa succederà“.

Se devi citare una persona a cui devi dire grazie per quello che stai facendo adesso, chi citeresti?

Tante persone. In primis i miei genitori che mi sostengono ogni giorno, guardano le partite in diretta, si svegliano alle 3-4 di mattina. Dopo la partita parliamo sempre di come loro pensano sia andata. E poi tutti gli allenatori che ho avuto precedentemente mi hanno fatto crescere, quelli a Grand Canyon e prima ancora a Reggio Emilia. Sono tante le persone che mi hanno aiutato a crescere, è difficile ringraziarle una per una. I miei genitori sono quelli che mi hanno influenzato di più sia nelle scelte personali che a livello di giocatore“.

C’è un giocatore che per te è quasi il modello di come sei tu in campo?

Mi ispiro a un paio di giocatori che sono in NBA, come Danilo Gallinari, Nikola Jokic, un ex giocatore come Pau Gasol, e poi Kevin Love è l’altro giocatore che mi piace veramente, a cui provo a ispirarmi quando gioco a basket“.

Parlando di Kevin Love, la sua è una storia non solo di pallacanestro, ma anche di un percorso umano, di quanto a volte sia difficile gestire il successo. Lui ha improvvisamente avuto un crollo emotivo. E c’è anche la storia di Delonte West che conosciamo. Per te, invece, com’è gestire il fatto, che è un avere successo nel suo piccolo, di essere uno dei giocatori chiave di Grand Canyon?

La mia vita ovviamente è diversa da quella di un giocatore NBA. Il livello di stress giornaliero è decisamente minore rispetto a quello che potrebbero avere giocatori NBA come Kevin Love, West e altra gente importante. Il livello di stress qui esiste, ma non ci do tanta attenzione“.

Quali sono le cose che ti hanno più impressionato del pubblico NCAA?

Una cosa che mi ha colpito è stata probabilmente la prima partita, che ho giocato in casa. Era una partita di esibizione, che non conta nel record personale di squadra. Sono partito in quintetto base, e quando sono entrato in campo facevo fatica a sentire i miei pensieri. C’erano 7500 studenti che facevano un tifo accanito prima ancora della palla a due. Fuori casa, quando ho giocato contro New Mexico State in casa loro, quell’arena tiene 12000 studenti. Loro sono un pochino più coloriti, insultano un pochino di più di quello che potrebbero fare gli studenti di Grand Canyon“.

Con buona parte degli spettatori, poi, ci si conosce, perché non sono solo spettatori, ma anche tuoi compagni di corso, o comunque di università. In questo senso, quant’è diverso tutto questo da ciò che hai vissuto prima?

“È diverso perché anche quando vai a lezione la gente ti chiede com’è andata la partita, dice che ti ha visto, che hai giocato bene. Ti parlano sempre di basket. Qui è diverso, perché Grand Canyon è una piccola cittadina di 27.000 studenti, ti conoscono, sanno chi sei. Ogni volta che passi, che giri per strada, ti salutano, ti fermano, ti chiedono come vanno gli allenamenti, le partite. È una vita diversa, non sembra quasi reale“.

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Foto: David Kadlubowski / GCU

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