Ciclismo
Ciclocross: perché l’Italia, tra gli uomini, è indietro rispetto ad altre Nazioni?
Il ciclocross, in Italia, ormai viaggia a due velocità. Da un lato ci sono le donne, che tante soddisfazioni hanno regalato al Bel Paese negli ultimi anni. Basti pensare, ad esempio, che Alice Maria Arzuffi è stata l’ultima atleta non proveniente dai Paesi Bassi capace di vincere per due stagioni consecutive una tappa di Superprestige e che Eva Lechner è stata l’unica non orange ad arrivare sul podio di una competizione per Nazionali nelle ultime due stagioni. Dall’altro, invece, ci sono gli uomini, categoria ove le cose sono decisamente diverse. Il sesto posto di Giole Bertolini ai Mondiali di Valkenburg 2018 è stato l’ultimo grande risultato di un atleta nostrano in campo internazionale. Da quel momento, l’Italia è stata completamente assente dagli ordini d’arrivo delle manifestazioni più importanti. Non solo sembrano lontanissimi i tempi in cui Daniele Pontoni e Luca Bramati dominavano Superprestige e Coppa del Mondo, ma anche quelli in cui un solido Enrico Franzoi era capace di tenere alto il tricolore in Belgio appaiono, ormai, un lontano e sbiadito ricordo.
Purtroppo il Bel Paese paga il fatto che sovente i tecnici del ciclismo su strada abbiano osteggiato la doppia attività. Inoltre, il ciclocross, non essendo disciplina olimpica, da fine anni ’90 ad oggi, si è ritrovato a dover rivaleggiare, non ad armi pari, con il cross country. Molti specialisti del fuoristrada, da Marco Aurelio Fontana agli attuali fratelli Braidot e Nadir Colledani, passando perfino per il già citato Gioele Bertolini, pur avendo dell’evidente talento per questa specialità, hanno preferito metterla un po’ in disparte per dedicarsi alla mountain bike.
Questa, per la verità, è stata una problematica condivisa con diverse altre grandi scuole del ciclocross. Si pensi, ad esempio, alla Svizzera, per anni una Nazione faro di questa disciplina, ma oggi costretta al ruolo di nobile decaduta. In Italia i crossisti non vengono ricoperti d’oro come accade in Belgio e nei Paesi Bassi, ove i più forti guadagnano anche un milione di euro l’anno e sono autentiche superstar, per cui cedere alle sirene della più redditizia strada o della vetrina olimpica della mountain bike è più semplice e sicuramente anche comprensibile.
Stante il fatto, però, che l’Italia di ragazzi che hanno palesato grande talento nelle categorie giovanili ne ha sempre avuti, da Davide Malacarne ed Elia Silvestri ai tanti bravi juniores e U23 dei giorni nostri, capaci di fare bene sia in Patria che all’estero, viene da chiedersi se non sia il caso di cambiare mentalità e incitare i nostri portacolori a dedicarsi a più specialità nell’arco dell’annata. Sarebbe inutile e pretestuoso dire che van der Poel, Pidcock e Van Aert ci mostrano che è possibile fare due e financo tre discipline ad alti livelli durante la stagione. I citati sono dei fenomeni e per fare ciò che fanno loro bisogna avere il loro talento. D’altro canto, però, ci sono fior fior di atleti che riescono a fare con ottimi risultati sia strada che cross anche tra gli umani.
Pensiamo a Tim Merlier, nato buon ciclocrossista e ormai consacratosi come uno dei più forti velocisti al mondo. O a Gianni Veermersch, solido atleta da top-10 nel cross, ma anche eccellente corridore da gare in linea su strada. Ma pensiamo anche a un ragazzo nostrano come Jakob Dorigoni, che nonostante le sirene della strada, meritate, dato che ha mostrato ottime cose anche là, ha portato avanti l’attività nel fuoristrada e nelle poche occasioni in cui ha potuto gareggiare all’estero, in questa stagione, la sua prima da Elite, ha fatto vedere di essere un atleta di primo piano anche fuori dallo Stivale. Ecco, ragionando su questi elementi, vale davvero la pena continuare a trattare il ciclocross come una disciplina inutile e perfino dannosa per i nostri ragazzi e non come un segmento del pedale che, invece, può essere propedeutico a strada e mountain bike?
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Foto: Valerio origo