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Sci di fondo
“Il fondo italiano deve cambiare adesso metodologia di lavoro. Altrimenti ci giochiamo Milano-Cortina 2026 e il futuro!” ‘L’ululato del Bubo’ con Fulvio Valbusa
La Coppa del Mondo di sci di fondo si è presa una settimana di pausa per tirare il fiato dopo il massacrante Tour de Ski. Cionondimeno, L’ululato del Bubo non si ferma. Anzi, si approfitta del weekend buco per approfondire alcuni temi lanciati da Fulvio Valbusa durante la precedente puntata. Ecco dunque una puntata in cui vengono analizzate in profondità diverse tematiche relative a quanto accaduto durante la prova multi stage, con uno sguardo in particolare sullo stato del movimento italiano che, Federico Pellegrino a parte, appare addirittura agonizzante.
Bubo, settimana scorsa dopo il Tour de Ski hai detto testualmente: “Non posso credere che ci siano tanti singoli in grado di infilarsi nei dieci sparsi per il mondo, ma nessuno di loro sia italiano a parte Pellegrino e De Fabiani. Secondo me manca un qualcosa o un qualcuno che riesca a tirare fuori il meglio dalle nostre seconde linee, perché non possiamo accontentarci di quanto visto in questo Tour de Ski”. Puoi articolare il tuo pensiero in maniera tale da approfondire queste parole?
“Allora permettimi di fare una premessa, sottolineando cosa funziona. Perché deve essere chiaro che il mio pensiero non è che nel fondo azzurro sia tutto da buttare. Negli ultimi anni, abbiamo visto come l’Italia sia riuscita a ottenere buoni risultati con gli sprinter. Al di là di Federico Pellegrino, il quale è un’eccellenza assoluta di questa specialità, sottolineerei che anche Francesco De Fabiani ha ottenuto un podio in una sprint. Fra le donne Lucia Scardoni è stata in grado di distinguersi in più di un’occasione, mentre di Greta Laurent abbiamo parlato più volte, perché le qualificazioni denotano tanto potenziale inespresso. Lo stesso Michael Hellweger, pur essendo ancora molto grezzo, ha lanciato dei segnali che fanno intendere come, se si dovesse lavorare bene, possa diventare un atleta interessante. Quindi, la realtà dei fatti è che il settore velocità è solido e produce risultati. Abbiamo un tecnico valido come Stefano Saracco, il quale peraltro è tornato in Italia dopo aver cresciuto una splendida generazione di sprinter in Slovenia, a dimostrazione delle sue qualità. Invece la nota dolente del fondo azzurro è, chiaramente, il settore distance”.
Benissimo, allora puoi spiegarci cosa intendevi con le tue parole in merito al fatto che manchi qualcosa o qualcuno in grado da tirare fuori il meglio dalle nostre seconde linee?
“Senza nulla togliere all’attuale allenatore della squadra italiana, io penso che non debba essere messo a seguire anche la parte distance. Facciamo un passo indietro. Chi c’era prima di Saracco? Giuseppe Chenetti. Io so qual è la sua filosofia lavorativa, perché ha seguito anche me. ‘Sepp’ lavora sull’atleta in base alle sue lacune. Le osserva, dopodiché imposta una metodologia di lavoro concentrata principalmente sul tallone d’Achille di ognuno, in maniera tale da eliminarlo. Per esempio, con me ha lavorato sulla centralità. Oppure pensiamo a Giorgio Di Centa, del quale ha colmato le lacune atletiche. Ecco cosa manca all’Italia in questo momento, una persona del calibro di Chenetti, in grado di prendere in mano i nostri ragazzi del settore distance, permettendo loro di tirare fuori qualche coniglio dal cilindro. Non si chiede la costanza, perché comunque il livello dei big è mostruoso, ma quantomeno bisognerebbe mettere gli atleti di distanza nelle condizioni di realizzare qualche exploit, come già successo nel recente passato. Non dimentichiamoci che Giandomenico Salvadori e Mirco Bertolina, le cose migliori le hanno fatte quando erano seguiti da Chenetti. Salvadori ha persino sfiorato un podio, raccogliendo un quarto posto. Va bene, in un tempo di tappa, ma comunque quarto posto rimane. Inoltre vorrei ricordare che Maicol Rastelli era stato capace di entrare nella top ten in una gara di distanza!”
Bubo, facci capire bene. Stai proponendo un ritorno di Chenetti, almeno per il settore distance?
“Non sto dicendo questo. Dico però che serve un allenatore in grado di tirare fuori il meglio anche da atleti su cui bisogna lavorare e non solo dai purosangue come Pellegrino. Se il settore sprint funziona e quello distance no, allora mi pare evidente che i due team debbano tornare a essere distinti. Gli sprinter con un tecnico, che può benissimo essere Saracco. In questo modo possono lavorare in maniera dedicata e avere come punto di riferimento un fuoriclasse come Pellegrino, il quale può trascinarsi dietro gli uomini veloci. Gli atleti di distanza, invece, devono lavorare con un altro allenatore e un altro staff. Le prove distance sono completamente differenti dalle sprint. Non sono lo stesso sport, anche se uno sprinter deve allenarsi in maniera concreta e allenarsi per tanti chilometri. Però la preparazione è completamente diversa. Non dico di far tornare Chenetti, si può ingaggiare qualcuno dal Nord o un civile, ma di sicuro ci deve essere un cambiamento, perché se restiamo nella situazione attuale non cresceremo mai più. Anzi affonderemo definitivamente. Ci deve essere un cambiamento e, secondo me, deve essere fatto ora, altrimenti ci giocheremo il nostro futuro, comprese le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, che sono dietro l’angolo”.
A proposito di Milano-Cortina 2026, voglio farti una domanda scomoda. I giovani di oggi saranno il nerbo della squadra di domani. Però, qual è la loro vera dimensione? Possibile che i vari Gabielli, Del Fabbro, Graz ottengano risultati di grido a livello junior, ma poi fatichino a trovare la loro dimensione in Coppa del Mondo?
“Io sono dell’idea che gli atleti debbano sempre essere condotti e mai trascinati. La squadra A deve essere un punto di partenza, non un punto d’arrivo. Non è che se un ragazzo fa il proprio ingresso nella squadra di Coppa del Mondo, allora ha raggiunto un traguardo. Anzi, quello è l’inizio di qualcosa di nuovo, ovvero della possibilità di confrontarsi con i più forti del mondo. Quindi, una volta inseriti in Squadra A, sta ai tecnici incolonnare e sviluppare i giovani in maniera tale da permettere loro di crescere ulteriormente. In questo senso dico che vanno condotti e non trascinati. Condotti verso nuovi obiettivi e un ulteriore miglioramento, perché se non vengono stimolati adeguatamente e se non vengono seguiti a dovere, completando la formazione che possono avere avuto fino a quel momento, allora si corre il rischio di perdere tempo prezioso e anni buoni per ottenere grandi risultati. Noi non possiamo certo permetterci di trascinare avanti una generazione senza svilupparla, soprattutto considerando come le Olimpiadi di casa non sono lontanissime!”.
ULULATO DEL BUBO – PUNTATE PRECEDENTI
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Foto: Davide Glatz