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Judo, Ylenia Scapin: “Odette Giuffrida mi ha emozionato. Alcuni giovani arrivano già stanchi tra i Seniores”

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Lo scorso 19 novembre Odette Giuffrida si è laureata Campionessa d’Europa 2020 a Praga nella categoria fino a 52 kg, riportando l’Italia sul gradino più alto del podio continentale (uomini o donne non fa differenza) per la prima volta dopo 4604 giorni di digiuno. In precedenza l’ultima affermazione azzurra in un Europeo di judo risaliva al fantastico trionfo di Ylenia Scapin a Lisbona 2008 nella 70 kg. L’ex judoka nativa di Bolzano, capace di collezionare due bronzi olimpici e 11 medaglie complessive tra Europei e Mondiali in carriera, ha raccontato a OA Sport la sua esperienza a Praga nel ruolo di tecnico federale per poi analizzare diversi temi legati all’attualità in campo nazionale ed internazionale.

A poco più di un mese di distanza dalla chiusura dei Campionati Europei di Praga, che hai vissuto in prima persona da tecnico della squadra azzurra, ci puoi raccontare che esperienza è stata per te quella spedizione?

È stata un’avventura nell’avventura, una storia dentro la stessa storia. Per quanto mi riguarda è stata effettivamente una sorpresa la convocazione – perché era da molto tempo che non venivo utilizzata, anche se sono collaboratrice federale di lungo corso – ma soprattutto era la prima gara importante dopo il lockdown, quindi sono state due componenti emotive molto importanti per me e per tutta la squadra, dato che abbiamo vissuto quest’esperienza tutti insieme in maniera molto intensa. Mai come questa volta è stato fatto un ritiro in bolla dove tutti i ragazzi, compresi i tecnici ed i fisioterapisti, si sono radunati al centro olimpico di Ostia dopo aver fatto svariati tamponi sia per seguire il protocollo internazionale che per garantire il massimo della sicurezza cercando di evitare una seconda Budapest. La cosa positiva è che da quell’esperienza pregressa si è imparato tanto, per cui ritengo che sia stato fatto davvero un grandissimo lavoro di squadra da parte dei medici, dei tecnici e degli atleti stessi. È vero che loro hanno l’obiettivo e quindi davanti a questo dovrebbero essere disposti a tutto, però credetemi che non è stato facile quello che hanno dovuto sopportare. Con tutto l’alibi della qualificazione olimpica e della voglia di tornare a combattere, però oggettivamente dal punto di vista mentale i ragazzi sono stati straordinari“.

Che emozioni hai provato vedendo Odette Giuffrida salire sul gradino più alto del podio europeo 12 anni dopo il tuo trionfo a Lisbona?

Allora, diciamo che anche questa è stata un’occasione molto particolare. È quasi come se alcune imprese non nascano in realtà soltanto dal buon lavoro, dal fare le cose fatte bene e dalla routine standard degli atleti, ma mai come nel nostro sport – che è di situazione – può accadere di tutto. A Lisbona nel 2008 era il mio ultimo Europeo, avevo fatto venire i miei genitori, però non stavo bene perché venivo da un periodo molto complicato a livello emotivo. Era la mia ultima occasione, avevo fatto un percorso un po’ particolare tra la categoria 63 e 70 kg con qualche difficoltà nell’effettuare la scelta giusta, per cui diciamo che non ci sono andata pensando di vincere, al contrario di tutte le altre volte. Odette allo stesso tempo è partita convinta – perché l’obiettivo è sempre quello – però effettivamente veniva da un’esperienza devastante come quella di Budapest, ho vissuto il suo calo peso e fino all’ultimo ha avuto qualche difficoltà. Siamo proprio nei casi più estremi dove viene fuori quel quid in più che qualche atleta possiede e che poi fa la differenza. Quindi mi ha emozionato vivere il percorso, mentre il fatto di vederla salire sul gradino più alto del podio è stato poi la ciliegina sulla torta. Quando vai a vedere a ritroso capisci tante piccole cose che sono accadute e che ti davano già un segnale di un certo tipo, ma lì per lì non lo riesci ad intuire e a leggere per quello che è veramente. È stata proprio una condivisione emotiva sostanziosa, non la botta forte o il fuoco d’artificio, quando ti siedi e dici: ‘Bene, adesso me la posso proprio godere. È stato proprio un bel lavoro, doveva andare così’. C’è proprio una bella consapevolezza dietro, non tanto la sorpresa“.

L’Italia, nonostante un percorso di avvicinamento molto difficile, ha chiuso la rassegna continentale con una medaglia d’oro oro e tre quinti posti. Qual è il tuo bilancio complessivo dell’Europeo azzurro?

“L’Europeo è stato un grande segnale positivo di incoraggiamento, che ha rappresentato un buon punto di ripartenza. Adesso però chiaramente tutti quanti dovranno stringere i denti e lavorare ancora di più. L’IJF ha cominciato a promuovere un calendario – non ancora confermato – per cui sembrerebbero poter ripartire più gare. Da che si pensava che addirittura ci fosse una qualificazione ormai chiusa, adesso può davvero accadere quasi di tutto. Tranne alcuni, come Manuel (Lombardo, ndr) e Odette che sono tranquilli in vetta alle classifiche, si riaprono un po’ i giochi sia in senso positivo che in senso negativo. Se questi quinti posti, prossimi a diventare qualcosa di più importante, sono così numerosi allora perché non pensare a qualcun altro che possa ancora osare in questo scatto finale. Sono assolutamente ottimista in questo senso“.

In questi anni hai seguito da vicino il percorso di crescita di Alice Bellandi, uno dei talenti più cristallini dell’intero movimento italiano. Cosa le manca per esplodere definitivamente ad altissimi livelli anche tra le senior?

Penso che Alice sia un po’ l’emblema di questa generazione che arriva. Nel momento in cui dovrebbe cominciare a godere del proprio potenziale è già molto molto ‘strizzata’: sono atleti che sebbene abbiano 20 anni (adesso lei ne ha 22, al secondo anno senior ormai concluso), hanno già cominciato la carriera professionistica da cadetti. Alice è una di quelle che ha vinto gli EYOF, è andata ai Mondiali, poi ha fatto tutto il percorso junior e soltanto al terzo anno si è confermata per quella che era. Stiamo parlando quindi di una ragazza che è già da 5-6 anni che vive l’alto livello, però con delle pressioni, aspettative ed un carico di lavoro inimmaginabile. Se vogliamo fare un parallelismo col mio percorso, io ho cominciato a fare l’atleta praticamente nel mio ultimo anno da junior. Qui invece arrivano al primo anno da senior che c’è chi è già stanco, chi si aspetta di essere già pronto… E prendono certi schiaffi che poi non tutti hanno la capacità di assorbire e di reagire immediatamente. C’è chi lo fa, chi ha bisogno di un po’ di tempo e chi addirittura rimane un po’ scottato. Io credo che Alice sia assolutamente un talento – per caratteristiche, per carattere e per qualità – che però ha subìto moltissimo questa consapevolezza un po’ più superficiale. È chiaro che se tutti te lo dicono, a un certo punto non sei così sciocco dal non riconoscerti certe qualità, però da qui a dire: ‘Ok sono forte, adesso vado e vinco’, non è proprio così facile. La 70 kg poi è una categoria che in questi anni si è davvero organizzata e ha moltissime atlete forti. Credo però che lei in questo periodo di lockdown abbia fatto davvero un grande lavoro mentale, ha solo la necessità di tranquillizzarsi mentalmente, prendere coscienza di quello che può fare ed effettuare un passo dopo l’altro senza ascoltare troppo chi la tira per di qua, chi la tira per la giacca, chi le dice una cosa, chi le sussurra in un orecchio… Ecco, diventare un po’ meno social mentalmente, e che poi faccia tutto quello che le pare dal punto di vista dell’immagine. Devono saperci convivere, ma poi devono essere immuni dalle cose pericolose che tutto questo porta. Quindi per me è solo questione di tempo, lei deve avere pazienza”.

Adesso il mirino è puntato verso il Master di Doha, una tappa fondamentale in ottica qualificazione olimpica per Tokyo. Cosa ci dobbiamo aspettare dai dieci judoka azzurri invitati a Doha?

Doha sarà una bellissima gara, una competizione davvero straordinaria. Ci vanno i primi 36 del ranking, quindi proprio i più forti. Poi ci saranno dentro tutti, anche per esempio 4 russi o 3 francesi in ogni categoria, perché non ci sarà una selezione nazionale come all’Olimpiade o come in un Europeo. Già il fatto di avere 10 italiani nei primi 36 ci deve far pensare che siamo tra i più forti. I ragazzi adesso hanno avuto un momento di scarico durante le feste, anche se hanno continuato tutti quanti a rimanere sul pezzo. C’è chi si è allenato a casa, chi correndo per strada, quindi i ragazzi non si sono mai fermati e chiaramente sanno quanto sarà importante questo appuntamento. Tra l’altro è un evento che metterà in palio tantissimi punti: sono 200 punti solo per la partecipazione, in più già vincere un incontro vale quanto fare un 5° posto all’Europeo. L’occasione è ghiotta. Il sorteggio la farà da padrone, noi dobbiamo metterci nelle condizioni di far allineare un po’ di pianeti: il sorteggio, la condizione e poi la giornata. Nel judo conta moltissimo il momento, il qui ed ora, quindi devono riuscire a salire sul tatami sereni e carichi, pensando quattro minuti per volta“.

Recentemente il mondo del judo si è fermato per assistere all’attesissimo spareggio olimpico tra Abe e Maruyama per rappresentare il Giappone a Tokyo nei 66 kg. Alla fine il campione del mondo in carica non sarà presente ai Giochi: pensi che sia giusto in futuro valutare una modifica nel sistema di qualificazione a cinque cerchi?

Diciamo che questo è un caso un po’ a parte, perché il Giappone (in qualità di Paese ospitante) ha già la squadra qualificata. È un po’ come se avessero voluto mostrarci come avrebbero selezionato tra di loro i propri ragazzi. Onestamente il criterio di lasciare tutto nelle mani degli atleti è la cosa più giusta. Stiamo parlando del Giappone e delle Olimpiadi a Tokyo, quindi si tratta di un caso unico ed imparagonabile a nessun altro. Il regolamento dal 2017 in poi ha avuto degli stravolgimenti e c’è un aspetto che mi ha sempre colpito positivamente: nel caso in cui l’incontro dovesse trovarsi in situazione di pareggio assoluto (anche nel computo delle sanzioni), viene data l’indicazione di lasciar andare avanti il combattimento. L’obiettivo nella gestione degli incontri è quello di lasciare nelle mani degli atleti l’esito della sfida. 20 minuti di incontro non si sono mai visti… Uno può star lì a riguardare l’azione (il waza-ari decisivo di Hifumi Abe al Golden Score, ndr) e dire se c’era o meno il punto, ma alla fine è andata così. Lo hanno deciso loro. Poi non è stato solo quell’incontro, come ha dichiarato Kosei Inoue – direttore tecnico del Giappone e Campione Olimpico, personaggio rispettatissimo nel suo ambiente – che ha detto di non aver visto nemmeno la sfida, perché è il frutto di qualcosa che osservava da anni. La qualificazione olimpica è fatta di tante piccole cose, non solo di uno spareggio, quindi penso che il regolamento abbia cercato di arrivare il più vicino possibile ad un criterio equo. Certo, hanno sminuito moltissimo alcuni tornei che prima potevano aiutare – come le Continental – quindi adesso uno si può qualificare solo con i Grand Slam. Da questo punto di vista c’è da dire che le spese, per chi deve autofinanziarsi in qualche maniera, sono davvero ingenti. Tra albergo, volo e tante altre cose, servono almeno 1000 euro per partecipare ad un Grand Slam qualsiasi, anche in Europa. Magari si può pensare ad una distribuzione diversa del punteggio, ma alla fine come si fa si sbaglia. Il criterio attuale di qualificazione penso sia già sulla strada giusta“.

Ripercorrendo invece le tappe della tua carriera agonistica da atleta, vai più fiera dei due bronzi olimpici o del titolo europeo di Lisbona?

Dal punto di vista del percorso, l’Europeo è un titolo quindi fa un po’ la differenza. Poi arriva a 33 anni, all’ultima occasione e dopo tante cose che rappresentano un percorso di sostanza. Però la medaglia che mi fa più simpatia è quella del primo bronzo olimpico a 21 anni, quando ero proprio autentica e ti rendi conto di aver semplicemente vinto, senza tante dietrologie e senza tanti ragionamenti o riflessioni. Lì ho solo vinto e me la sono goduta. Poi chiaramente sono fiera di tutto il mio percorso, anche dei miei quinti posti e delle gare in cui sono uscita al primo turno, perché con molta fatica dopo sono risalita. In realtà sono molto fiera di tutta la mia carriera in generale, ed è una cosa che ho maturato nel tempo perché chiaramente – per un’atleta della mia tipologia – il fatto di non aver vinto così tanti titoli è un neo. Però ho dato un senso anche a questo e ad oggi sono fiera di Ylenia atleta, piuttosto che delle medaglie o dei titoli mancati e ottenuti“.

C’è una judoka azzurra attuale in cui ti rivedi, dal punto di vista tecnico o di attitudine?

Forse Alice (Bellandi, ndr) è quella che potrebbe assomigliare di più alla mia tipologia di judo, almeno tra quelle che seguo di più. È un’atleta molto forte fisicamente, è molto potente ed esplosiva, oltre ad essere piuttosto tecnica. Da questo punto di vista sì, mi ci posso anche rivedere. Speriamo che prima o poi riesca a trovare quel quid in più e che la faccia davvero divertire. Forse deve cercare di divertirsi un po’ come ho fatto anche io, anche perché altrimenti quattro quadrienni olimpici e quattro Olimpiadi non le avrei mai sopportate, se nel frattempo non mi fossi divertita. Le auguro proprio questo, desidero che si riveda anche questo aspetto di me in un’atleta come lei”.

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Foto: EJU

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