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Tennis: chi è Filippo Volandri, il nuovo capitano di Coppa Davis dell’Italia. Numero 1 azzurro per quattro anni

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Filippo Volandri è stato da poco designato quale capitano dell’Italia di Coppa Davis. Una successione, quella a Corrado Barazzutti, che ha dello storico, perché l’ex top ten e semifinalista del Roland Garros e degli US Open era al timone da ben 19 anni, dopo aver guidato molto a lungo anche la rappresentativa dell’allora Fed Cup (oggi Billie Jean King Cup).

Il tennista toscano è una pietra miliare dei nostri anni recenti. Nato a Livorno il 5 settembre 1981, è passato professionista nel 1997, legandosi a quello che sarebbe diventato il suo storico allenatore, Fabrizio Fanucci. Giocatore prevalentemente da terra rossa, in campo ha saputo sciorinare un rovescio a una mano che, forse ingiustamente, sono troppo pochi a ricordare, ma chi lo ha sperimentato sa bene quanto grande fosse l’efficacia di questo suo colpo.

Già protagonista a livello Challenger a cavallo tra i due millenni, nel 2001 diventa suo malgrado protagonista della vicenda più celebre di inizio millennio, con che lamentavano di non esser stati consultati nella scelta del nuovo capitano dopo l’uscita di scena di Paolo Bertolucci, causata dalla retrocessione dal Gruppo Mondiale pochi mesi prima contro il Belgio. Con le squalifiche di molti, è toccato a lui cercare di portare di nuovo l’Italia al piano di sopra. Al Foro Italico, contro Goran Ivanisevic da poco campione di Wimbledon, la prima impresa: una vittoria in cinque set contro tanti pronostici. Non sarebbe bastata, perché un doppio fallo nel doppio Navarra/Galimberti-Ivanisevic/Ljubicic fece da spartiacque tra la Davis vera e quella dei gruppi zonali.

La vera esplosione è però del 2003: vinse la finale al Challenger di Cagliari contro un certo Rafael Nadal, di cui negli anni si sarebbe sentito assai parlare, a Montecarlo eliminò in sequenza Radek Stepanek, David Nalbandian e Magnus Norman prima di uscire contro Vince Spadea ai quarti, a Barcellona arrivò al terzo turno e a Roma di nuovo ai quarti, battendo Nicolas Massu, Raemon Sluiter, di nuovo Stepanek e arrendendosi in tre set a Roger Federer. Un nome che sarebbe ritornato. A luglio la prima finale ATP con Carlos Moya a Umago, persa dopo aver quasi completato una rimonta al terzo set contro lo spagnolo ex vincitore del Roland Garros. A fine anno non poté impedire la retrocessione dell’Italia sul veloce dello Zimbabwe, nel 2° gruppo della zona euro-africana, praticamente la Serie C.

Il 2004 fu altalenante, ma vide la prima vittoria in un ATP a St. Polten, battendo in finale il belga Xavier Malisse, personaggio dalle mille sfaccettature. Tornato in finale a Umago, perse contro Guillermo Coria (ma l’argentino il suo più grande rimpianto l’aveva vissuto qualche settimana prima), mentre a Palermo fu Tomas Berdych, un ceco dalla futura grande carriera, a sbarrargli la strada. Consolidatosi come numero 1 d’Italia, nel 2005 tornò nei quarti in due 1000 rossi, a Montecarlo (battendo tra gli altri Guillermo Canas e Mariano Puerta) e ad Amburgo (contro Nicolas Almagro, Feliciano Lopez e Sebastien Grosjean, col francese unico non spagnolo dei tre). A fine anno, però, la grana Davis: messo fuori squadra per lo spareggio con la Spagna (sulla terra, fra l’altro) per una problematica di compensi.

Nel 2006 altre tre finali ATP, due perse a Buenos Aires contro Moya e a Bucarest con l’austriaco Jurgen Melzer, e finalmente il successo a Palermo, in quella che sarebbe rimasta l’ultima edizione maschile del torneo, con l’ecuadoriano Nicolas Lapentti, ma anche una ruggente Davis in Spagna battendo Tommy Robredo, allora top ten stabile, e mettendo paura a Nadal. Il suo miglior anno è rimasto però il 2007, nel quale fu protagonista di una primavera culminata nel cammino al Foro Italico di Roma battendo, tra secondo turno e quarti, Richard Gasquet, Roger Federer (partita passata alla storia, con il Centrale del Foro Italico allora ancora versione “stadio dei crampi” in delirio) e Tomas Berdych, prima di fermarsi con una versione indemoniata del cileno Fernando Gonzalez, alias Mano de Piedra, in semifinale. Al Roland Garros i primi e unici ottavi in carriera: dopo la beffa dell’infortunio alla mano nel 2005, la gioia del successo al quinto su Ivan Ljubicic, croato con tanta anima italiana. A luglio il best ranking di numero 25, ottenuto praticamente solo coi risultati sul rosso, dal momento che a livello ATP di partite sul veloce ne ha vinte appena nove: tre negli Slam, tre a Doha nel 2006 e tre altrove. Un rimpianto, questo, spesso manifestato da Volandri, che ha iniziato a frequentare quelle superfici solo a 16 anni.

La parabola di un giocatore arrivato tanto in alto con un servizio di potenza relativa, se confrontato con quello dei top player, iniziò ad andare verso la discesa nel 2008. Risultati negativi, infortuni e problemi di vario genere lo fecero scendere. Nel 2009 fu squalificato per doping, ma l’uso regolare di un antiasmatico fu dimostrato in pieno (l’episodio incriminato risaliva a Indian Wells) e arrivò l’assoluzione. Sceso quasi fuori dai primi 300, nel 2010 fu in grado di risalire e dare ancora emozioni, sfiorando i quarti al Foro Italico in un’intensa partita contro Ernests Gulbis: il lettone aveva battuto Federer e avrebbe poi sfidato Nadal in semifinale. Dopo un 2011 ancora di risalita, nel 2012 tornò in finale ATP a San Paolo, dove fu Almagro a batterlo. Altri risultati di buon livello li ha colti fino al 2014, prima del calo e degli ultimi anni. L’ultimo ruggito a Roma 2016, rischiando di battere David Ferrer dopo aver passato le qualificazioni. Il Centrale, quel giorno, è stato per l’ultima volta con lui. Gli appassionati di tennis l’hanno visto allenare diversi validi giocatori negli anni successivi, e ora lo rivedranno sulla panchina azzurra di Davis fin dall’edizione di fine anno delle Finals.

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Foto: LaPresse

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