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Calcio, Roberto Baggio compie 54 anni: il doveroso tributo a un campione mai dimenticato

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18 febbraio 1967, Caldogno (Italia): sono queste le coordinate spazio temporali di chi ha interpretato il calcio in una parola chiamata sogno. Roberto Baggio compie 54 anni oggi e, anche se le sue gesta fanno parte del passato, riportarle alla mente ha in sé un significato quasi terapeutico. In una società divisiva e incattivita dall’emergenza sanitaria, far conoscere alle nuove generazioni chi fosse quel n.10 con il codino non è retorica, ma un dovere morale. Per chi l’ha vissuto, lui è stato il fantasista italiano più amato grazie a cui tutti i tifosi amavano incontrarsi in piazza per assistere alle partite della Nazionale

Più di 200 gol (205) in Serie A, 2 Scudetti, una Coppa Italia e una Coppa UEFA, oltre ad un FIFA World Player, un Pallone d’Oro e la classifica capocannonieri della Coppa delle Coppe i suoi successi. Vestendo maglie di club prestigiosi (Juventus, Milan, Inter e Fiorentina) e di provincia (Bologna, Brescia), Baggio si è fatto voler bene per un atteggiamento mai sopra le righe e la classe sopraffina sul rettangolo verde. Un giorno Michel Platini lo definì un “nove e mezzo”, non un vero dieci, perché univa la creatività del più classico trequartista alla capacità realizzativa della punta d’area di rigore.

Un folletto che dribblava gli avversari con una facilità impressionante, ricordando le gesta di chi si ammirava in un cartone animato giapponese, un po’ come nel suo gol nei Mondiali in Italia del 1990, contro la Cecoslovacchia, quando, ricevendo palla da Giuseppe Giannini, partì in progressione, dalla linea di centrocampo, e nessuno fu in grado di fermarlo. Un’azione d’antologia.

Ebbene si, come dimenticarle quelle 27 realizzazioni azzurre in 56 partite. Lui non era juventino, milanista o interista, ma essenzialmente il “Codino Magico”, troneggiante nelle stanze di molti bambini con il pallone sempre tra i piedi attraverso gigantografie o poster ad altezza naturale.

Un amore infinito per il tricolore. Nel campionato del mondo negli Stati Uniti del 1994 fu un punto di riferimento dagli ottavi di finale in avanti. Tanti, per non dire tutti, avevano dato per persa quella partita contro la Nigeria, ma poi arrivò una doppietta folgorante. A seguire la realizzazione a due minuti dalla fine contro la Spagna, saltando Andoni Zubizarreta, e i due gol contro la Bulgaria di Hristo Stoichkov, che nel turno precedente aveva eliminato la Germania campione del ’90. Certo, c’è la finale persa con il Brasile e l’errore dal dischetto, ma come si suol dire non è da questi particolari che si giudica un giocatore. Lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia (citazione: Francesco De Gregori).

Del resto, del fuoriclasse nostrano si erano accorti 12 mesi prima anche i colleghi di France Football (1993) così allergici ai giocatori italiani, forse anche per la classica rivalità tra il Bel Paese e la Francia. Il Pallone d’Oro fu un riconoscimento alle grandi imprese con i colori bianconeri, valse il trionfo della Coppa Uefa, in quello stesso anno, con Giovanni Trapattoni in panchina, contro i tedeschi del Borussia Dortmund in finale.

Un rapporto però contrastato con gli allenatori: da Renzo Ulivieri, che al Bologna non voleva, a Marcello Lippi, nella sua sfortunata esperienza all’Inter, passando per Fabio Capello che lo usava con il contagocce al Milan. Invidiosi della personalità di un atleta che oscurava la propria o quella degli altri membri della rosa? Chissà…Certo è che dopo aver portato praticamente da solo i nerazzurri di Lippi in Champions League (2000), con una doppietta strepitosa contro il Parma di Gigi Buffon e Fabio Cannavaro, Baggio si ritrovò solo e senza una squadra.

Arrivò poi l’offerta del Presidente del Brescia Gino Corioni e la chiamata di Carletto Mazzone a convincerlo riprovarci in un club non di alto rango, ma vicino alla sua residenza e che credeva in lui. E così fu. Il campione veneto trascorse gli ultimi quattro anni della sua carriera, deliziando il pubblico bresciano con giocate d’alta scuola e contribuendo alla salvezza della squadra, mai così convincente nella massima serie.

Il giorno dell’ultimo saluto fu a San Siro (16 maggio 2004) contro il Milan, in uno stadio gremito ad applaudirlo. La passione per il calcio era stata più forte delle sofferenze patite per i tanti infortuni perché, vuoi o non vuoi, il pallone è sempre stato il migliore amico del “Divin Codino” e lo sarà per sempre.

Foto: LaPresse

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