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Golf
Golf, Caterina Don: “Passare professionista uno dei miei obiettivi. Lo US Open esperienza fantastica, c’è tanto da imparare”
Caterina Don da Pinerolo, al secondo anno alla Georgia University, è già un nome sulla bocca di tutti. E lo è a ragion veduta, essendo una delle migliori giocatrici del suo ateneo, di quelle che non escono mai dal novero di coloro che gareggiano per l’ateneo dall’uno all’altro capo degli Stati Uniti. Diventata la quinta facente parte della sua università a giocare lo US Open negli ultimi cinque anni, è stata inserita da Golfweek nel secondo team All-America, tra i numerosi riconoscimenti conseguiti e di cui si trova ampia traccia nella sua pagina dedicata nel sito dell’ateneo. L’abbiamo raggiunta per un’intervista, tra un Oceano e l’altro, nella quale ha cercato in qualche modo di far toccare con mano com’è la vita in un mondo così diverso, lontano eppure vicino.
Sei al secondo anno di università. In cosa ti sei adattata velocemente e cosa invece devi digerire ancora della mentalità degli States?
“Mi sono abituata di sicuro ai loro ritmi di organizzazione della giornata, che inizia prima al mattino, e da noi non è comune iniziare troppo presto, ma finisce anche prima la sera. Pranzo e cena sono differenti. Mi sono abituata a vivere con delle persone che non parlano la mia lingua, a doverne parlare una differente. Riguardo al golf, mi sono abituata a essere qua e a non avere un coach sempre a disposizione, come il mio maestro. Però l’unica cosa che devo ancora un po’ digerire riguarda alcune mentalità che gli americani hanno che potrebbero essere diverse da quella nostra, italiana“.
In ambito più prettamente accademico, che percorso di studi stai facendo?
“Sto studiando matematica, e sto scegliendo se aggiungere un Master in Computer Science o in Data Science, però sto ancora prendendo questa decisione perché non è facile. Le giornate sono piene e non è facile aggiungere qualcosa alla vita quotidiana“.
A proposito di decisioni, quando hai cominciato a ponderare la scelta di andare negli Stati Uniti? C’è qualcuno che ti ha spinta?
“Essendo parte della squadra Nazionale, ho visto le ragazze più grandi andare in America, e tornavano durante i corsi, i raduni invernali, ed erano molto contente. Tutte mi dicevano che non vedevano l’ora di tornare negli States, perché è un’esperienza unica, e comunque non è facile vivere qua, ma ti da più possibilità di allenarti e continuare a praticare il tuo sport mentre ottieni una laurea. In Italia sarebbe molto più difficile conciliare lo studio con il golf, soprattutto perché questo è uno sport in cui, quando si parte per andare in trasferta, si può saltare anche una settimana, e quindi possono saltare settimane intere di lezioni. Nel 2016 ho iniziato a parlare con qualche coach di alcune università, l’anno dopo sono venuta in America con i miei genitori, sono andata a vedere un paio di università e poi ho fatto la mia scelta. Non ho mai avuto troppo da pensarci, perché non sono mai stata sicura di voler passare subito professionista e non ho mai nemmeno avuto mai l’idea di abbandonare il golf per gli studi, e quindi questa mi sembrava l’opzione migliore. E’ difficile, perché comunque parti e lasci la famiglia, ma è tra le migliori che ti vengono proposte“.
Sottolinei correttamente il fatto di poter proseguire con golf e studi in America, perché i tornei sono frequenti. E ti trovi non soltanto a poter gareggiare, ma anche a gareggiare per qualcuno o qualcosa, nello specifico per l’università. L’anno scorso, non per caso, hai gareggiato sempre finché non è esplosa la pandemia di Covid-19.
“Penso che quando uno gioca a golf lo fa per la squadra, ed è difficile. Siamo in 10 in squadra, solo 5 viaggiano, questo vuol dire che quando non stai giocando una gara, stai disputando una qualifica per la prossima. Però non c’è solo il team di 10 persone, c’è anche tutto lo staff e in più c’è tutto il mondo dello sport all’interno dell’università. Fai parte del dipartimento di atletica, quindi ci sono anche volley, basket. Giochiamo tutti per la stessa bandiera, e poi ognuno per qualcosa di diverso. Io gioco per rappresentare la mia Nazione, me stessa, la mia famiglia, e ognuno ha una storia diversa“.
Quanto sono forti quelle tensioni, se ci sono, nel momento in cui c’è da scegliere chi va e chi no a fare le gare?
“Siamo tornate a gennaio, abbiamo fatto sette giri e chi aveva lo score migliore andava alla gara successiva, in modo da evitare tutte le tensioni. E’ ovvio che ci saranno, perché quando si è in 10 e giocano in 5, le 5 che stanno fuori vorrebbero essere lì al posto tuo, però è quello che succede. D’altra parte vuoi avere una squadra in cui, se una giocatrice è infortunata, non si resta senza alternative. E’ importante avere più di cinque persone, anche se ci può essere qualche rischio di tensione“.
Quali sono state le maggiori soddisfazioni che ti sono capitate a livello universitario nel golf?
“Sicuramente vincere una gara individuale l’anno scorso nel Minnesota. E vincere come squadra in California, appena prima della pandemia. E poi, a inizio febbraio, ho battuto il record per lo score più basso della storia dell’università, e quindi adesso qualcuno dovrà battere il mio“.
Tu, però, hai anche avuto un’altra grande soddisfazione: giocare lo US Open con Alessia Nobilio e Benedetta Moresco. Per te che cos’è stato poterlo giocare?
“Di certo una delle gare più belle che ho giocato nella mia vita. Un’esperienza diversa, anche da quello che chiunque abbia giocato lo US Open prima di quest’anno ha provato, perché con il Covid è stata creata una bolla all’interno della gara. C’è stata qualche restrizione in più rispetto a uno US Open normale. Però è un’esperienza fantastica, dalla quale c’è tanto da imparare. Ci sono anche cose positive da portare a casa, anche se nessuna di noi ha passato il taglio, ma tutte abbiamo imparato qualcosa che possiamo portare a casa e che forse ci aiuterà con il nostro golf. A me ha aiutato, e sto cercando di mettere in pratica le cose imparate. Spero che miglioreranno il mio golf in futuro, non solo ora, ma anche quando avrò la possibilità di giocarlo di nuovo“.
Quanto è diversa l’organizzazione del torneo tra la NCAA e ciò che hai trovato allo US Open?
“La differenza nell’organizzazione sta nel fatto che allo US Open hai delle professioniste che giocano, che fanno quello nella loro vita, e quindi tutto è organizzato in modo da rendere tutto perfetto. Poi la USGA prepara dei campi molto difficili, lunghi, tutto organizzato perfettamente, nei minimi dettagli. L’organizzazione delle gare di college è molto buona, però sembra quasi che noi dobbiamo andare a lezione, oltre che giocare, quindi tutto è organizzato in modo tale che l’ultimo giro di solito si giochi presto al mattino, per poter prendere l’aereo per tornare a casa la sera. Spesso abbiamo dei campi in cui giochiamo tutte e cinque insieme, mentre allo US Open giochi in tre, magari anche in due. L’organizzazione è molto buona, tutte le gare che ho giocato sono state delle bellissime esperienze. Lo US Open però è lo US Open“.
E avrai anche l’opportunità di andare a giocare ad Augusta, su quel ben preciso percorso.
“Sì. A fine marzo. Sono stata invitata assieme ad altre quattro italiane a giocare ad Augusta, che è un onore e un’emozione, perché non capita tutti i giorni di giocare in uno dei campi più famosi al mondo. Non vedo l’ora“.
Come ti trovi nei rapporti con le tue colleghe italiane?
“Adesso è più difficile viaggiare con loro perché siamo tutte qua negli Stati Uniti, e siamo tutte lontane tra di noi. Con tutte loro, Alessia, Emilie, Benedetta, Alessandra, Anna ho viaggiato di più e condiviso più esperienze. Siamo più unite, però penso di avere una grande amicizia con tutte le ragazze che sono state in squadra con me quando ancora ero in Italia. Ovviamente ora non posso partecipare a tutti i raduni, perché molte volte sono in America, però è bello tornare a casa d’estate e rivedere tutti“.
Come hai vissuto il lockdown, e come è stato organizzato dalla tua università?
“Le scuole hanno chiuso, eravamo in break. Quando hanno cancellato tutte le gare, sono andata cinque giorni a casa della mia compagna di stanza e poi sono tornata a casa. L’ho fatto a metà marzo, poi ho fatto le classi e gli esami online, e ho vissuto la vita come tutti gli altri in Italia fino a metà maggio, quando abbiamo ricominciato a vivere più normalmente“.
Tornando in Italia, quand’è che hai cominciato con il golf e come ti ci sei innamorata?
“Ho iniziato a giocare a golf per hobby quando ero molto piccola. Mio zio e mia zia giocavano e mi hanno portato il sabato o la domenica ogni tanto a giocare d’estate. Fino ai 10-11 anni ho continuato ad andare a sciare sui ghiacciai d’estate, perché prima di giocare a golf sciavo a livello agonistico. Ho iniziato a giocare a golf perché mi piaceva di più, e ho avuto la fortuna di essere stata chiamata al raduno della squadra Nazionale. Da allora ho deciso di prendere il golf molto più seriamente allenandomi di conseguenza, e abbandonando lo sci“.
E hai avuto parecchie soddisfazioni anche con la maglia azzurra, soprattutto nel periodo 2016-2018 (Europei a squadre, per dirne una). Giocare con quella divisa cosa ti ha portato?
“E’ sempre un’emozione e un onore vestire la maglia azzurra, perché non capita tutti i giorni di poter rappresentare la propria Nazione. Una delle vittorie più belle è stata quella degli Europei 2016, i miei primi. Me la ricorderò per tutta la vita. E’ un’emozione vedere il nome della propria Nazione scritto sulla Coppa e sapere che sei stata parte di quella vittoria, sperando che presto qualcuno potrà riportare su quella stessa Coppa il nome del nostro Paese“.
Quali sono stati i golfisti a cui ti sei ispirata di più nel tuo modo di essere giocatrice?
“Senz’altro i golfisti italiani, quelli più europei. Non ho un vero e proprio golfista preferito, da gara a gara guardo sempre chi rappresenta i colori del mio Pase e adesso anche i colori della mia università. Non so se ci sia stato un singolo giocatore che ha avuto una tale influenza su di me da dire ‘il mio swing, la mia mentalità, sono uguali’. Non vorrei dire un nome a caso. Penso che sia stata più forte l’ispirazione di prendere più punti di vista da tanti giocatori e tante giocatrici. Anche allo US Open ho imparato da molte di loro, e da tutti quelli con cui ho giocato e con cui ho avuto l’opportunità di parlare. Impari sempre delle cose nuove che possono esserti utili“.
Dove ti piacerebbe arrivare in futuro?
“Sicuramente passare professionista è uno dei miei obiettivi. Poi laurearmi, finire l’università, perché non si sa mai cosa possa succedere, e ritengo molto importante avere una laurea. Poi appunto vorrei passare professionista perché adoro questo sport, adoro l’ambiente e mi piace praticarlo. Sarebbe una grande soddisfazione poter fare del golf la mia vita, ma se non dovesse succedere, vorrei avere una seconda opportunità, trovare lavoro e continuare“.
Infatti è per questo che il binomio università-sport in America è considerato tanto importante. Ti dice, in pratica, che se non riesci a sfondare nello sport hai l’opportunità di poter andare a lavorare nel campo di cui hai scelto di occuparti. Una grande differenza tra America ed Italia. Ed in questo senso, quanta difficoltà avevi qui per far combaciare scuola e sport?
“Sono stata fortunata ad avere dei professori molto disponibili nell’aiutarmi al liceo, a cambiare le date delle interrogazioni, a spostare qualcosa, però non penso sarebbe stato possibile frequentare l’università. Ho visto mio fratello frequentarla in Italia. Sarebbe stato sì possibile continuare a giocare a golf, ma di sicuro sarebbe diventato impossibile continuare a migliorare al mio livello, perché è necessaria sempre più pratica e l’università in Italia richiede un sacco di studio. Non che l’università in America non lo richieda, però è semplicemente organizzata in modo differente. Vedo dei miei amici che vanno a lezione 8-9 al giorno e devono studiare, mentre io sono più fortunata e ci vado 3 ore al giorno, e poi devo studiare. Poi ho pratica, studio la sera o il pomeriggio tardi. A differenza dell’Italia, dove tutto si basa sull’esame finale, qui è più simile al liceo italiano. Ci sono degli esami, delle ricerche da mandare, dei compiti da consegnare. C’è più lavoro rispetto allo studio, ma bisogna dedicare del tempo. E’ però tempo che scegli di dedicare nell’arco della giornata“.
Stai avendo un gran successo, sei arrivata nelle zone alte del ranking amateur, molto in alto nelle liste dell’Annika Award. Arrivare a tutti questi obiettivi quanta spinta ti porta?
“Trovo molto bello come in America abbiano tutti questi riconoscimenti. Secondo me ti danno una spinta a voler lavorare sempre di più per ottenere un riconoscimento più alto, o lo stesso nell’anno successivo. Non è detto che tutti gli anni riuscirò a ottenere qualcosa, perché il livello è molto alto, però è qualcosa in più per cui giocare, praticare. E’ sempre bello ricevere una targa, che dice che sei stata nominata tra le migliori giocatrici in America e poterla mostrare in casa. O avere qualcosa che ti dice che il tuo livello scolastico e il tuo livello di partecipazione nello sport è stato tra i più alti. E’ un riconoscimento“.
Se ti dovessero venire a chiedere un parere sull’andare a giocare negli States, cosa diresti?
“Se hai l’opportunità, coglila, prendi l’aereo e parti. Non è facile, non tutti i giorni saranno una passeggiata. Certamente ti mancherà casa, ci saranno dei momenti in cui non avrai avuto il tempo necessario per prepararti a un esame, hai dei momenti in cui non puoi svegliarti alle cinque di mattina per andare a fare workout quando non funzionava l’aria condizionata, non vorrai qualificarti sotto la pioggia alle otto del mattino a gennaio. Però ci sono anche i momenti in cui avrai l’opportunità di giocare su campi in cui non giocheresti, nel momento in cui hai la chance di disputare gare come US Open, Augusta. Vivi in una comunità differente a livello atletico, e secondo me è un’esperienza diversa. Anche andare alle partite di football è qualcosa che non faresti a casa. E poter dire che quel giocatore è seduto di fianco a me in classe. Il supporto che hai alle spalle dalla tua università è una cosa che ti rende molto felice. Secondo me i costi non superano i benefici, e quindi secondo me è una scelta che bisogna fare“.
A proposito di campi: qual è quello che ti è piaciuto di più?
“In America l’Augusta National, è uno dei campi più belli su cui abbia mai giocato. L’anno scorso abbiamo giocato al Trump National a Los Angeles. Molto bello, uno dei più belli su cui abbia mai giocato. Poi anche in uno in Oregon“.
Foto: Federazione Italiana Golf