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Luna Rossa: l’elogio dell’italianità. In arrivo nuovi pezzi e vele per l’America’s Cup

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Luna Rossa sette bellezze, sette vittorie, di quelle che non lasciano tanto spazio alla fantasia o al rammarico di chi ha perso. Dieci giorni fa, nell’incertezza del pronostico, si pensava che chiunque avesse vinto la Prada Cup il punteggio per arrivarci non sarebbe stato meno di 7 a 4. Insomma una finale combattuta, incerta.

Invece dopo due giorni e quattro regate si era già delineata una gerarchia. Luna Rossa era già in fuga e Ineos costretta a inseguire. Poi ci si è messo il Covid, con le varie allerte neozelandesi a mescolare le carte, ad accendere gli animi. Questo weekend è stato di vento leggero, ma nello scorso ci sono stati anche 20 nodi e gli inglesi stavano sempre li a guardare la poppa con il guidone del Circolo Vela Sicilia. Insomma il tentativo non era tanto per cercare condizioni più adeguate alle prestazioni di Britannia, ma soprattutto innervosire Max Sirena e i ragazzi di Luna Rossa Prada Pirelli.

Si sa che attorno alle regate del trofeo sportivo più antico del mondo si gioca spesso una sottile guerra psicologica, così alla vigilia dell’ultima giornata gli inglesi hanno presentato una protesta sull’uso del winch della randa e sulle telecamere a bordo della barca italiana. Azioni di disturbo che si sono risolte con un nulla di fatto, tutto in regola per Luna Rossa.

È la terza vittoria italiana nelle selezioni per lo sfidante alla Coppa America: prima il Moro di Venezia nel 1992 e poi Luna Rossa nel 2000. Ci sono poi due sconfitte nel 2007 e nel 2013. Che valore ha questa rispetto alle altre? È la vittoria della perseveranza, del volerci credere anche se un certo gotha della vela ti guardava con sufficienza perché Max Sirena non ha il pedigree di un Terry Hutchinson o di un Ben Ainlslie. Ricordiamo che questa è la quinta sfida di Luna Rossa che arriva in mare, seguendo alla lettera il messaggio del 2000 di Peter Blake che invitava a non mollare.

Luna Rossa, che appassiona tanti sportivi, a cominciare da Sofia Goggia e Gregorio Paltrineri, oltre ai tifosi che si svegliano alle 4 di notte, rappresenta un’Italia che si allontana da tanti luoghi comuni. È la consacrazione di una vela che in venti anni ha lasciato il segno. Ci sono italiani in tutti i team, ci sono aziende che forniscono attrezzature a tutte le barche. Ma soprattutto Luna Rossa è un team veramente nazionale: tolto James Spithill, in barca solo velisti di casa nostra, tanti giovani che sono entrati grazie al programma next generation che formano anche un serbatoio per il futuro, vada come vada la Coppa America che comincia il 6 marzo.

Ora lo sviluppo della barca è la chiave per arrivare pronti al prossimo appuntamento, che è quello che conta davvero. Nuovi pezzi e vele sono in arrivo dall’Italia. Se guardiamo alla storia di questi due mesi, dalle regate delle World Series di dicembre, è chiaro come il team italiano sia quello che ha lavorato meglio di tutti, concentrato e a testa bassa, facendo sempre un passo avanti. Una strategia dei piccoli (non sempre piccolissimi) passi studiata anche a tavolino, ma confermata dal lavoro in mare. Mentre gli altri challenger cercavano sempre la massima velocità, Luna Rossa ha costantemente puntato si migliorare le transizioni, la manovrabilità, l’aggressività in partenza. Non c’è un settore in cui non si sia messo a fuoco cosa ci fosse da migliorare e, a quanto pare, riuscendo nell’intento. La tattica non era perfetta? Ecco che si sono concentrati sulla comunicazione tra Bruni, Spithill e Sibello. Poppa e vento forte erano punti deboli? Si è migliorato, anche se le brezze sotto 12 nodi sono più amate. Fa sorridere pensare che la configurazione con due timonieri, che è stata tanto criticata, ora sembra studiata anche dai neozelandesi. Ora godiamoci il trionfo senza perdere la concentrazione e l’umiltà che aiutano a scalare le montagne. Infine ci vorranno spalle larghe perché gli italiani ad Auckland non sono più amati come un tempo, le azioni di disturbo non sono finite

Stefano Vegliani

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