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Nuoto e doping di Stato, Elisabetta Dessy: “Ricordo una tedesca farsi la barba. In URSS regalammo i collant”

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Il buio degli anni ’70, quando un muro divideva un mondo a colori da uno in bianco e nero. Giovani ragazze manipolate artificialmente ed inconsapevolmente. I decenni della DDR (Repubblica Democratica Tedesca) e del doping di Stato, dove lo sport perse la connotazione più pura per lasciar spazio al più bieco utilitarismo.

Lo scorso anno vi avevamo raccontato la storia di Kornelia Ender, capace di aggiudicarsi la bellezza di quattro ori ed un argento alle Olimpiadi di Montreal 1976. Chi ha vissuto l’era del monopolio della Germania Est nel nuoto è Elisabetta Dessy, all’epoca una presenza fissa nella Nazionale italiana, nota anche per il matrimonio con il tuffatore Klaus Dibiasi e per una brillante carriera da modella. Anche la romana era presente in quella edizione dei Giochi, nella quale stabilì il record italiano nella staffetta 4×100 mista. L’ex-velocista ci ha raccontato alcuni aneddoti di quei giorni lontani. Una testimonianza diretta che, a distanza di oltre 40 anni, fa riflettere.

Elisabetta ci tiene subito a puntualizzare un aspetto caratteriale delle ragazze tedesche: “Erano deliziose, generose, molto carine. Devo dire che erano anche timide, perché erano sempre sottoposte a controlli particolari e non potevano familiarizzare molto con le altre squadre“.

Un episodio, più di ogni altro, è rimasto scolpito nella memoria: “Agli Europei di Vienna 1974 eravamo negli spogliatoi e sentivamo delle voci maschili. Alcune di noi si vergognavano, perché sapevamo che erano ammesse solo le donne negli spogliatoi. Invece erano proprio queste ragazze con delle voci molto importanti. Una di loro era Gudrun Wegner e mi è rimasta impressa: si mise allo specchio e tirò fuori un rasoio, perché aveva della peluria sul mento ed intorno al viso. Eravamo rimaste tutte esterrefatte mentre si radeva. Comunque in generale erano timide, o forse intimidite. Ci facevano dei sorrisini quasi rassegnati, perché con noi non potevano familiarizzare più di tanto. Mentre si faceva la barba Gudrun era seria, abbastanza triste, come tutte loro. Non erano brillanti come le francesi, spagnole o svedesi. Loro a Vienna avevano una sala massaggi privata. Tutto avveniva in comune, ogni nazione aveva un angolo da occupare in una sala unica, loro invece avevano una stanza privata. Una volta ci siamo entrate per errore e una persona ci ha indicato con il dito il cartello DDR“.

Le azzurre, a quell’epoca, pensavano dunque di doversi confrontare in gara con degli uomini? Non esattamente. E’ la stessa Dessy a spiegarcelo: “Erano strutturate fisicamente in maniera più potente rispetto a noi. Ma non erano uomini. Adesso si fanno più lavori di qualità che di quantità, è cambiato tutto. Noi eravamo belle tornite, lavoravamo molto in palestra, ma eravamo più naturali, loro invece erano molto pompate. Alcune di loro, in altri sport, hanno avuto delle crisi di identità. Diciamo che erano le famose Valchirie, noi invece eravamo più piccole e mediterranee, anche se io ero alta 1,78 ed ero adatta allo sprint“.

Importante una considerazione sulla volontà di quelle ragazze: “Le atlete baravano, ma non volevano farlo. Sono convinta al 100% che non sapevano nulla di tutto ciò che succedeva alle loro spalle. Da che mondo è mondo, il doping è sempre esistito. Io non ho nessun rammarico per aver vissuto quell’epoca, ho sempre fatto tutto solo con le mie forze, le mie soddisfazioni me le sono prese“.

Elisabetta Dessy ci ha poi raccontato un altro aneddoto molto interessante e riguardante l’Unione Sovietica: “Se non è zuppa è pan bagnato… Le dinamiche erano un po’ simili. Arrivammo a Minsk per un Sei Nazioni e avevamo tanta fame. Quello che si mangiava in quella mensa di un ostello non è che non era buono, non era proprio commestibile. Ci avevano dato del pane nero con qualcosa di simile al burro. Siamo quindi tornate in stanza e stavamo morendo di fame. Allora sono arrivate le russe con dei ragazzi e ci hanno portato dei salami con del pane nero. Sapevano che avevamo fame, sono state veramente splendide! Loro erano innamorate delle nostre magliette con delle scritte semplicissime. Gliene regalammo qualcuna, oltre a dei collant, che loro a quei tempi non avevano. Forse lì non si usavano ancora. Ci faceva proprio piacere dare un qualcosa che loro non avevano il coraggio di chiedere, ma dagli occhi si vedeva che lo desideravano. Per noi quegli oggetti erano banali, per loro no. Alcune di quelle ragazze erano molto belle. In Unione Sovietica eravamo sempre controllate, perché avevamo un bus che ci portava alla piscina e sul quale c’erano sempre due poliziotti, uno si metteva davanti e uno dietro. Non avevamo paura, ma disagio sì. Dovevamo tenere sempre il passaporto con noi“.

A quei tempi viaggiare tanto consentiva realmente di apprendere molto più che studiando su un libro di scuola. Elisabetta traccia un toccante affresco del mondo di allora: “Noi siamo state a Berlino Est e Ovest. La parte Est era veramente un paese in bianco e nero. A quei tempi era veramente uno shock, ci rendevamo conto della fortuna che noi avevamo. In Italia avevamo la libertà, il nostro era un mondo a colori. Le ragazze tedesche erano delle vittime sacrificali, ma ribadisco che erano delle persone stupende. Hanno gettato fango su queste ragazze, ma non è stato giusto. Secondo me, anche senza essere pompate, avrebbero comunque ottenuto dei grandi risultati, anche se non certi tempi. Avevano leggerezza ed acquaticità innate. Forse avrebbero vinto, ma non dominato“.

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Foto: Olycom

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