Ciclismo
Giuseppe Saronni: “Non ci sono italiani nemmeno un gradino sotto Pogacar. Ripartiamo dal vivaio”
È una sorta di messaggio motivazionale per il futuro del ciclismo italiano quello che voluto lanciare Giuseppe Saronni in un’intervista esclusiva concessa ad OA Sport. Il campione del mondo di Goodwood 1982, vincitore di due Giri d’Italia, una Milano-Sanremo, un Giro di Lombardia e una Freccia Vallone, ha le idee molto chiare su quella che appare come l’unica soluzione riservata al movimento ciclistico azzurro e la sua possibile rinascita.
Un rinnovamento che deve partire dall’educazione del giovane corridore e da una netta selezione di chi può avere davanti a sé un futuro promettente e duraturo, e chi no. Un ragionamento che sta attuando anche con la sua UAE Team Emirates, per cui svolge il ruolo di consulente e informatore sui talenti più cristallini del panorama internazionale. E se a pochi chilometri di distanza dal confine italiano ha trovato un fenomeno come Tadej Pogacar, adesso peró, il sogno, l’ambizione, si tinge d’azzurro. Un obiettivo che potrebbe essere una fonte d’ispirazione per chi, giorno dopo giorno, si impegna nel crescere al meglio i campioni del domani.
Secondo lei, in questo momento, il ciclismo italiano ha toccato il punto più basso della sua storia? Come siamo arrivati a questo livello?
“Nella storia del ciclismo possono capitare degli alti e dei bassi. Certo è che, adesso come adesso, probabilmente stiamo toccando uno dei punti più bassi. Ma d’altra parte dobbiamo perlopiù dirci ‘che cosa stiamo facendo per risalire la china?’. È questo il problema. Che Vincenzo Nibali non potesse essere eterno, questo è chiaro, e il confronto con le nuove generazioni è abbastanza difficile per lui. Poi va bene, abbiamo Fabio Aru, di cui stiamo vedendo un po’ la condizione e le difficoltà, o Domenico Pozzovivo, ma i cui anni passano”.
Dunque, a parer suo, come faremo ad uscirne?
“Non è facile, perchè per ricostruire un parco atleti su cui lavorare ci vogliono tempo, idee, progetti e risorse. Io prendo sempre come esempio l’Inghilterra, che era una Nazione ciclistica che non conosceva nessuno. Ad un certo punto è intervenuta la Federazione, assieme ad un pool di aziende e di sponsor e alla fine abbiamo visto cos’ha fatto al Tour de France con Bradley Wiggins e Chris Froome, poi alle Olimpiadi. È da anni che sta sfornando atleti di grandissimo livello. Ancor prima degli inglesi ci hanno pensato gli australiani con la loro base sul Lago di Varese e i corridori che venivano qui in Italia ad allenarsi con tecnici preparati che li hanno fatti crescere. D’altra parte, senza queste idee, senza questi progetti, è difficile ricreare un vivaio di atleti su cui lavorare. Mi auguro che il nuovo presidente della FCI Cordiano Dagnoni abbia dei progetti. Non c’è tanto altro da fare”.
Dunque…
“Ad oggi le difficoltà sono tante. Le squadre giovanili sono sempre meno, i problemi delle formazioni sono tanti e legati agli allenamenti, ai ragazzini che corrono. Qual è la famiglia che, quando il proprio figlio si trova in allenamento, riesce a stare a cuor leggero? Le strade sono pericolose. Dunque, bisognerebbe avere dei progetti in grado di raccogliere quegli atleti che hanno voglia di fare ciclismo e che hanno talento. Perchè poi il ciclismo è duro, è difficile, è sacrificio. E poi bisogna tenere conto del fatto che i costi sono sempre tanti sia per i team che per le famiglie. Quelle poche società giovanili che riescono ad avere ancora delle persone appassionate che vogliono star dietro a dei ragazzi motivati e con talento, devono impegnarsi a farli crescere, supportandoli con dei tecnici competenti. Andrebbe creata una sorta di accademia dove gli atleti studiano, si allenano e crescono nel modo giusto e con le persone giuste che non abbiano brutte idee per la testa. Poi si arriverà al punto in cui chi avrà la possibilità di diventare un campione, un buon corridore, passerà, mentre gli altri potrebbero diventare dei buoni tecnici, capaci di trovarsi una propria dimensione all’interno del mondo dello sport. Io la rinascita la vedo così. D’altra parte, quando ero giovane io, c’erano 150 atleti validi nelle categorie dilettanti e juniores, mentre oggi, se ne trovi 10, ne trovi tanti. Dunque dobbiamo cercare di non perdere nemmeno questi pochi ragazzi supportando sia loro che le rispettive famiglie”.
È ancora viva l’idea di creare una squadra italiana World Tour con l’apporto dei campioni del mondo del passato?
“In realtà l’idea non era quella di creare una formazione World Tour, perchè questa è semplicemente la conseguenza di un progetto che, in buona parte, ho raccontato finora. I campioni del mondo dicono ‘non disperdiamo quelle poche energie. Mettiamo la nostra faccia per andare nelle scuole, nelle squadre giovanili, diamo morale, voglia, apporto, vicinanza, esperienza. Cerchiamo di portare dei progetti, delle idee, ma anche degli sponsor e facciamoli crescere per bene’. Questa era l’idea fondamentale. Non si può partire dal World Tour, perchè questo obbligherebbe andare a prendere atleti di altre nazioni. Invece, noi vorremmo creare un vivaio Made in Italy da far crescere. Poi ovvio, se hai degli atleti importanti, puoi anche pensare ad una squadra di livello. Ma io credo che il problema principale sia ricreare un vivaio, un numero giusto di atleti, e accompagnarli nella crescita. Sia ben chiaro, l’altro problema che vedo sono i ragazzini che dopo due pedalate smettono di studiare perchè pensano di essere già dei campioni. Questo è sbagliato. Bisogna correre, ma anche imparare, studiare. Chi invece ha un’educazione giusta, raramente sbaglia. Insomma, bisogna starci dietro e cercare di perderne il meno possibile, perchè sono già pochi. Questo è il principio, e non possiamo fare altrimenti. La realtà è che ci dobbiamo raffrontare con uno sport che sta diventando sempre meno appetibile per i giovani d’oggi. E forse dovrebbe essere lo stesso Stato ad intervenire in questo ambito”.
Si vocifera che la Eolo-Kometa potrebbe diventare una squadra World Tour. Potrebbe servire per valorizzare maggiormente i corridori italiani?
“Direi di sì. Eolo è un importante sponsor italiano. Ben venga. Tutto quello che si può fare e che si mette a disposizione per il bene del ciclismo, va benissimo. Complimenti ad Ivan Basso e Alberto Contador che stanno organizzando una buona squadra che potrebbe crescere di livello. In ogni caso, il World Tour è l’ultimo passaggio, perchè il primissimo obiettivo è quello di ricreare un movimento giovanile. Poi potranno usufruirne, ma in primis andranno portati a quel livello, e a questo nessuno ci pensa. Alle formazioni giovanili che stanno smettendo perchè non hanno risorse, personale…, chi ci sta pensando?”.
Nell’immediato futuro, su quali corridori pensa che dovrà affidarsi l’Italia per le corse di un giorno e quelle a tappe?
“Ci sono dei ragazzi che stanno andando bene, come ad esempio Davide Ballerini, Andrea Bagioli, Filippo Ganna. Ma ciò che mi preoccupa è che, al momento, di corridori di grande livello, l’Italia non ne ha. E questo mi dispiace. Nemmeno io penso di poter ritrovare un altro Tadej Pogacar domattina, ma almeno degli atleti con un gradino o due sotto di lui che, al momento, non abbiamo. Questo è il problema. Abbiamo buoni atleti che stanno crescendo, e che potrebbero crescere ancora di più in futuro. Hanno delle belle qualità, peró dobbiamo mirare a quei grandi livelli passati che ha vissuto il ciclismo italiano. Probabilmente non ci ritorneremo mai, ma dobbiamo puntare a dei livelli migliori di quelli di adesso”.
Cosa non ha funzionato con Fabio Aru nella sua esperienza alla UAE?
“È difficile dirlo. Se lo sono chiesti in tanti: staff medico, tecnici, preparatori… . Il tutto per ben tre anni. Cosa posso dire, se non che sono io quello più toccato e demoralizzato, perchè l’ho voluto io a tutti i costi. Ci credevo, ma non che potesse vincere o stravincere facilmente. Peró, tra quel rendimento che ha avuto gli anni precedenti il suo approdo in UAE, e quello che ha avuto con noi, c’è di mezzo il mare. Ciò che io ho fatto per due anni e mezzo è stato dargli fiducia e difenderlo, e dopo ho ceduto anch’io, vedendo il suo ritiro al Tour dello scorso anno. Non potevo più nascondere la mia delusione. Mi sono sentito dire ‘sei stato troppo duro, cattivo…’ ; invece no, sono stato realista per il bene del corridore. Il problema, al giorno d’oggi, è che nessuno riesce a dire di ‘no’ al grande atleta”.
Senza entrare nel puro merito degli obiettivi stagionali di Tadej Pogacar, di cui oramai tutti noi conosciamo la classe immensa, fuori dalle corse, che ragazzo è?
“Un ragazzo abbastanza tranquillo, quasi timido. A volte i giovani come lui sembrano un po’ arroganti, ma proprio perchè sono timidi, schivi, e quindi con un atteggiamento che può confondere. La speranza è che rimanga così, perchè la fama, a volte, fa dei brutti scherzi. Ma al momento, per conto mio, è a posto”.
Oltre a Pogacar, da quale corridore si aspetta un buon 2021?
“Abbiamo tanti ragazzi giovani che devono crescere. Poi non tutti sono così svelti e maturi come Pogacar. Ma anche nel loro caso bisogna stare attenti per non fargli bruciare le tappe. Una volta non ci capiva nessuno, ma adesso, i giovani d’oggi, vanno capiti e seguiti. In ogni caso, posso dire che abbiamo degli ottimi atleti”.
Foto: Lapresse