Ciclismo
Wladimir Belli: “In Italia manca la fame. Troppi allievi si perdono, non si dà risalto al ciclismo”
Wladimir Belli ha vissuto uno dei periodi più fulgidi della storia del ciclismo italiano. Erano gli anni ’90 e ’00, quando gli azzurri dominavano su tutti i terreni, dalle corse a tappe alle classiche. Una abbondanza di campioni che oggi appare solo un ricordo sempre più sbiadito e lontano. Professionista dal 1992 al 2006, Belli disputò una carriera onorevole e di tutto rispetto, nella quale spiccano ben tre top 10 al Giro d’Italia (nel 1997, 2000 e 2004) e la nona piazza al Tour de France del 1999. Con l’attuale commentatore tecnico di Eurosport abbiamo analizzato le cause che hanno portato il Bel Paese a piombare in una crisi senza precedenti.
Wladimir, perché il ciclismo italiano è caduto così in basso?
“Si è arrivati a questo perché negli anni passati c’è stato un massacro mediatico nei confronti del ciclismo per varie cause. I genitori non avevano più quella voglia di far correre i propri figli, per paura che capitasse a loro quello che era accaduto ad altri ragazzi.
Non c’è più un vivaio, nel senso che i tesserati italiani nelle categorie più piccole sono tanti, ma man mano le squadre diventano sempre meno, con il grosso problema di quelle juniores. Lì alcune formazioni fanno già il professionismo. Tanti ragazzi vanno a scuola, magari sono indietro con lo sviluppo. Se non ottengono dei risultati si demoralizzano, non trovano una squadra che li ingaggi da juniores e lasciano. Più si va avanti e più i giovani ciclisti italiani si perdono. Io ho iniziato a correre nella Sedrinese al secondo anno Allievi; Sedrina è il paese di Felice Gimondi. Eravamo 5-6-7 in squadra. Ogni paese aveva la propria squadra di allievi e ogni squadra organizzava la propria corsa. Lì avevi tempo di maturare, c’erano tante corse, non c’era tanta tattica. Adesso, se non fai risultato da allievo, fai fatica ad essere preso tra gli juniores. Tanti restano a piedi. L’esempio è la Svizzera, una nazione grande quanto la Lombardia. Loro in ogni generazione hanno tirato fuori dei corridori che sono diventati dei campioni. Da loro prima viene lo studio, poi a tempo perso i ragazzi escono in bici. Così maturano dopo, non sono logori a livello mentale e poi fanno il salto di qualità“.
Sembra che la nuova Federazione abbia ben chiari questi problemi e voglia intervenire proprio sull’attività delle società giovanili. Che idea ti sei fatto?
“Ho letto il programma, Dagnoni a me piace, è una persona che arriva dalla fatica, sa cosa significa fare il corridore. Ha gli strumenti per poter fare qualcosa che sinora si è fatto in parte. E’ stato molto bravo Marco Villa a far rinascere il movimento della pista, nonostante non abbiamo velodromi coperti in Italia (quello di Montichiari è accessibile con una deroga solo per le Nazionali azzurre, ndr). Bisogna investire e mettere delle regole che consentano ai giovani di venire educati: è importante che un ragazzo faccia sport, si diverta e vada avanti. L’importante è avere la possibilità, poi qualcuno diventerà Merckx, tanti no. Ma a livello umano avrai comunque costruito un bagaglio di esperienza importante per affrontare la vita“.
Su quali giovani corridori italiani possiamo fare affidamento per provare a sperare in un futuro migliore di quello attuale?
“Non siamo messi bene, ma nemmeno malissimo. Sono proprio cambiati i tempi. Sicuramente pochi si ricorderanno di Marco Milesi, ma nel 1996 giunse 10° alla Parigi-Roubaix. Oggi verrebbe considerato un corridore d’elite e guadagnerebbe cifre importanti, all’epoca passò inosservato. A quei tempi c’erano 2-3 italiani per ogni gara in grado di vincere, 2-3 che avrebbero potuto provarci e altri 2-3 possibili sorprese. Il problema è che adesso non c’è più fame. Qualche talento lo abbiamo, ma dobbiamo farli crescere e maturare: da vedere se hanno testa, gambe e cuore. Filippo Ganna è una garanzia a cronometro, poi c’è Andrea Bagioli, Antonio Tiberi mi piace molto, Alessio Martinelli. Kevin Colleoni è figlio d’arte, un bergamasco vero, mi piace molto, credo possa far bene, mentalmente è sul pezzo. Alessandro Fancellu è un talento che deve crescere in un ambiente tranquillo, ma non può neanche attendere più di tanto, perché abbiamo visto cosa fanno i giovani all’estero. Come velocisti abbiamo Matteo Moschetti, poi potrebbe arrivare Michele Gazzoli. Davide Ballerini per le classiche può fare molto bene. Un corridore che deve ritrovarsi è Alberto Bettiol“.
La sensazione è che corridori come Davide Ballerini e Gianni Moscon siano troppo chiusi nelle rispettive squadre dai tanti capitani stranieri.
“Lo spazio te lo devi creare. Alla Ineos è arrivato Thomas Pidcock, va forte e si è creato tante opportunità. Anche la mia generazione, dopo il passaggio al professionismo, scalzò quella precedente in fretta“.
Il ciclismo, negli ultimi anni, interessa meno in Italia?
“Alberto Tomba ha fatto da traino allo sci in Italia, portando tanti ragazzini a praticare questo sport. Se c’è un personaggio che emerge, come lo sono stati Chris Froome e Bradley Wiggins in Gran Bretagna, tutto il movimento ne beneficia. Qui in Italia vedo che Ganna vince il Mondiale a cronometro e non mi va in prima pagina sui giornali principali, significa che tutto questo grande interesse per il ciclismo non c’è. Altrove si dà più risalto a livello mediatico“.
Il Giro d’Italia si annuncia molto complicato per i colori azzurri. A 36 anni e dopo l’infortunio al polso, Vincenzo Nibali non può prodigarsi ancora come Salvatore della Patria.
“Da Nibali non mi aspetto niente. Il suo lo ha fatto e lo ha fatto alla grande. Il problema è che dietro non abbiamo nessuno. Non è giusto mettergli pressione o chiedergli l’impossibile. Ci manca ricambio“.
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Foto: Olycom