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Ciclismo su pista, Marco Villa: “Scelte difficili per le Olimpiadi. Ganna ci deve provare. Velocità? Problema culturale”

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Manca sempre meno alle attesissime Olimpiadi di Tokyo che ci terranno compagnia quest’estate. A breve verranno sciolte le riserve, andranno prese delle decisioni definitive da parte di coloro che avranno in mano le sorti a cinque cerchi degli atleti. Un compito molto arduo anche per il Commissario Tecnico della Nazionale italiana maschile di ciclismo su pista Marco Villa, intervistato in esclusiva da OA Sport sul lavoro svolto finora, la situazione dei nostri azzurri e altissime ambizioni tricolori in terra nipponica.

Filippo Ganna ha vissuto un avvio di stagione altalenante. Il Covid dello scorso autunno ha influito? Rivedremo il vero Filippo alle Olimpiadi?

“Filippo ha iniziato bene la stagione vincendo cronometro e una tappa in linea. Quindi, per me, non ha avuto conseguenze strane dal Covid. In più ci sono controlli severi e attenti di idoneità per chi ha avuto il contagio al virus, e se ha avuto l’idoneità penso sia tutto a posto. Abbiamo lavorato 6-7  anni per raggiungere le Olimpiadi, dovevamo esserci lo scorso anno ed eravamo arrivati molto competitivi, ma purtroppo le hanno rinviate di un anno. Anche se non importa, perchè cercheremo di lavorare come siamo sempre stati abituati, per poter arrivare competitivi come sempre”.

Le convocazioni non saranno semplici. Chi disputa l’inseguimento dovrà fare anche omnium e madison. Noi riteniamo che Elia Viviani, nel quartetto, potrebbe avere qualcosa in meno rispetto ad un Plebani, Bertazzo o Lamon, dando per scontati Ganna, Milan e Consonni. La sua scelta guarderà più all’inseguimento o a omnium/madison?

“Le scelte, come ho sempre detto, saranno difficili; ma lo devono essere, perchè vuol dire che ho una squadra molto competitiva.
In primis voglio ringraziare tutto il gruppo che ha saputo arrivare a livelli altissimi in quasi tutte le discipline. Questo mi rende molto orgoglioso di loro. Non voglio sacrificare niente! Puntiamo su tutte le specialità. Fra un mese dovrò fare le scelte definitive. Terrò conto delle prestazioni singole di ognuno in questi anni, della condizione al momento della scelta con l’aiuto del cronometro. Ma dovrò fare anche valutazioni in base a quello che esige il regolamento. Devo presentarmi alla competizione con cinque atleti. Questi, tutti e cinque, devono fare l’inseguimento a squadre. Dovrò scegliere in base alle posizioni di partenza, ma dovrò cercare di avere atleti polivalenti, che posso cambiare anche di posizione alla partenza, in caso di sostituzione durante il torneo. Poi di questi cinque, due faranno la Madison e uno l’Omnium. Se parliamo di nomi, Francesco Lamon e Jonathan Milan potranno entrambi far bene la partenza. Milan, Liam Bertazzo e Simone Consonni potranno supportare bene la seconda posizione, che forse è quella più  complicata. Elia Viviani, Davide Plebani e Michele Scartezzini, oltre ai già citati Milan, Bertazzo e Consonni, possono fare bene anche in terza posizione davanti a Ganna che sarà fisso in quarta posizione. Oltre a queste valutazioni, dovrò tener presente che Consonni e Viviani, al momento sono i più accreditati per correre la Madison e anche l’Omnium. Ecco, è difficilissimo scegliere, ma diciamo che, una volta scelto, credo di avere una bella squadra polivalente, grazie al loro lavoro di questi anni”.

Nell’omnium, eventualmente, è già certa la presenza di Viviani, oppure Consonni può giocarsi le sue carte?

“Viviani è il campione Olimpico in carica e merita la scelta. In questi mesi si è applicato alla specialità per ritornare al livello che ci ha abituato a Rio e anche prima. Naturalmente, facendo tutti gli scongiuri, è sempre meglio avere dei validi sostituti, e Consonni, nell’ultimo Mondiale che ha corso, ha sfiorato il podio; quindi merita la giusta attenzione”.

Che tempo servirà per andare in finale e per vincere l’oro nell’inseguimento a squadre?

“Per entrare in finale bisognerà essere forti. Forti come lo siamo stati all’ultimo Mondiale a Berlino: lì il tempo lo abbiamo fatto. A Tokyo, per il cronometro, sarà determinante la temperatura, l’umidità e la pressione atmosferica che troveremo. In Giappone, ad agosto, ci sono giornate molto umide e calde che non aiuteranno le prestazioni cronometriche. Ma è certo che saremo tutti in quella situazione, quindi conterrà essere forti più del tempo”.

Come è conciliabile per Filippo Ganna preparare sia l’inseguimento su pista sia la cronometro su strada? Peraltro si disputerà prima la cronometro su strada: vantaggio o svantaggio?

“Filippo correrà la cronometro perchè è campione del mondo e ci deve provare. Correrà l’inseguimento a squadre perchè è da lì che siamo partiti per ‘arrivare a Tokyo’. C’è dietro un lavoro di molti anni e un gruppo che ci ha creduto e ci crede. Andiamo fino in fondo al progetto. Sarebbe stato meglio avere prima il quartetto della cronometro, ma non possiamo fare il programma a nostro piacimento; per cui stiamo lavorando alternando la cronometro alle giornate in pista per abituare Filippo a questo tipo di sforzi differenti”.

Il settore della velocità resta un grosso tallone d’Achille. Qualcosa si muove in vista di Parigi o servirà pazientare ancora?

“Per il settore velocità serve un cambio di mentalità e di direzione. Per mentalità, da ragazzino, un velocista, anche se strutturalmente non adatto ad avere un futuro come professionista su strada, viene sempre indirizzato alle gare su strada. Questo perchè la nostra cultura ciclistica ci porta a collocare il ciclista alle grandi gare come Giro ,Tour, le classiche… Abbiamo una tradizione che non ci porta a pensare al velocista delle Olimpiadi su pista. A volte penso che sia meglio cercare il talento fuori dalle gare ciclistiche giovanili o in altre discipline del ciclismo, come ad esempio la bmx, che di partenza non colloca il ciclista alle grandi gare su strada. Bisognerebbe provare con un equipe di scouting che lavori solo in questa direzione: il velocista su pista. Dobbiamo provarci, ma ormai Parigi è già alle porte”.

Quanto è difficile dover fare i salti mortali tra Covid, il velodromo di Montichiari “incerottato” e quello di Spresiano che non ha mai aperto?

“Tutto è difficile. Credo anche per chi lavora per le squadre su strada. Se poi trovi un gruppo come quello che ho io, a volte diventa anche facile. Il velodromo di Montichiari ci ha aiutato, poi messo in difficoltà e ora ci sta aiutando di nuovo perchè ora è tecnicamente perfetto. Il Velodromo di Spresiano deve andare avanti, non può fermarsi e diventare una ‘barzelletta’. Il ciclismo italiano, lo sport italiano, non meritano impianti incompiuti. Ci dobbiamo credere e portarlo alla realizzazione. Poi ce ne vorrebbero altri di velodromi coperti, magari con formule multidisciplinari e più economici. Un pensiero comunque va anche ai velodromi all’aperto. Molti funzionano molto bene durante la stagione estiva, e vanno aiutati”.

Tanti britannici sono diventati uomini da corse a tappe partendo dalla pista. Pensa che qualche azzurro potrebbe ripercorrere lo stesso percorso?

“Sì vero, molti britannici hanno vinto gare, grandi giri a tappe, arrivando dalla pista. Credo che sia quasi automatico. I britannici fanno tutti pista da giovani. Poi hanno imparato ad abbandonarla anche il più tardi possibile, nonostante l’attività su strada, e hanno dimostrato che tutto è possibile con l’abitudine e, a mio parere, anche molto funzionale. Credo che anche noi italiani abbiamo contribuito a inculcare questa mentalità ai britannici. I nostri campioni passati hanno fatto tutti pista, da Fausto Coppi a Francesco Moser a Giuseppe Saronni… . Poi, non so perchè, è stata abbandonata. Nonostante tutto abbiamo avuto ugualmente campioni olimpici in pista come Giovanni Lombardi e Silvio Martinello, che su strada hanno fatto una bellissima carriera, fino ad arrivare a Viviani e Ganna”.

Foto: Lapresse

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